Non c’è un manager dei tanti che si sono succeduti alla guida dell’Alitalia, che abbiano fatto morire e rinascere la compagnia di bandiera i questi ultimi tre lustri, che non sia partito sempre da un punto fisso: il costo del lavoro. Pubblici o privati che fossero gli azionisti, alla fine la prima scure si è sempre abbattuta sul personale. C’era più di una ragione per farlo, perché per anni piloti e dipendenti Alitalia hanno goduto di contratti particolarmente vantaggiosi e di non pochi privilegi. Ma alla fine il taglio è stato fatto, ed è la sola linea di continuità che si è verificata sotto le varie gestioni aziendali.
I dipendenti Alitalia erano 21.294 nel 2004, diventati 18.500 quattro anni dopo- nel 2008- al momento del salvataggio predisposto dalla cordata nazionale favorita dall’allora premier Silvio Berlusconi, scesi ancora a 13.721 nella primavera 2014 al momento della trattativa per l’ingresso di Etihad nel capitale sociale benedetta da Matteo Renzi. Nell’ultimo bilancio della nuova Alitalia arrivata per l’ennesima volta a un capolinea, i dipendenti erano scesi a 10.134, meno della metà di quelli che c’erano 10 anni prima. Un numero in linea con quello riportato nei bilanci dei principali vettori che operano sul mercato europeo.
Ryanair ha 11.458 dipendenti, Easyjet ne ha 10.774, Iberia ne la 15.809, ne hanno assai di più anche per le dimensioni non paragonabili ad Alitalia sia British Airways (43.874) che Air France-Klm (82.175) e soprattutto Lufthansa (124.306), che è la più grande compagnia esistente. Anche il costo per dipendente Alitalia non è più scandaloso come era un tempo. E’ nella linea mediana di quel che viene registrato dai principali concorrenti, comprese le compagnie low cost.
Il costo medio del dipendente Alitalia è di 60.515 euro, praticamente identico a quello Iberia (60.282), appena superiore a Easyjet (59.309) e Lufthansa (59.160), inferiore dell’8-9% a Vueling (65.071) e British Airways (65.566) e molto inferiore a quello di Air France-Klm (88.295). Il solo vettore in Europa ad avere un costo del lavoro pro capite inferiore del 10% ad Alitalia è Ryanair (53.578). Il fatturato per dipendente di Alitalia è di 325.636 euro, cifra nettamente inferiore alle low cost (oscilla fra 500 e più di 600 mila euro per Ryanair, Easyjet e Vueling), ma non sfigura con le grandi compagnie: Air France-Klm, British Airways, Iberia e Lufthansa hanno un fatturato per dipendente fra l’8 e il 25% inferiore ad Alitalia.
I numeri dicono che se Alitalia rischia di schiantarsi sui tagli del personale, il suo problema non è quello. E’ stata grottesca l’idea del referendum voluto dai sindacati. Non ci voleva molto a capire come sarebbe stato accolto dopo anni di ristrutturazioni del personale un quesito-roulette russa: sei d’accordo a licenziare un dipendente su 10, sapendo che il malcapitato potresti essere tu? Vuoi premere il grilletto di una pistola con un tamburo da 10 e un colpo letale in canna?
Ma se non è il costo del personale il problema di Alitalia, perché l’azienda perde tanti soldi ed è fuori mercato? Le risposte sono molte, dai costi di manutenzione, ai contratti di fornitura. Ma forse quello più decisivo che li unisce tutti è uno: i costi impropri del sistema politico caricati su una azienda privata come fosse ancora pubblica.
Alitalia non ha peso sul mercato internazionale: la massa del suo traffico è ancora nazionale e sul mercato Ue. La compagnia è stata sì aiutata, ma anche fortemente danneggiata dalle politiche pubbliche, con il gran pasticcio che fu fatto con l’hub di Malpensa, l’aeroporto di Linate e quello di Fiumicino. Ristrutturazioni intere furono fatte in una direzione (Malpensa hub), salvo poi prendere per pressioni politiche quella opposta (Linate resuscitato e Fiumicino hub).
In contemporanea lo Stato si fece concorrenza da solo con l’alta velocità ferroviaria che azzoppava il core business Alitalia (la tratta Roma-Milano). Risultato: oggi la prima tratta aerea nazionale è la Roma-Catania, seguita dalla Roma-Palermo e la Roma-Milano è solo al terzo posto con la metà dei passeggeri e appena al di sopra della Roma-Cagliari e della Roma-Bari. Non sono molte altre le tratte profittevoli. Anzi. Provate però a chiuderne una, come ha fatto da poco l’Alitalia privata su Reggio Calabria. Insorge mezzo mondo politico, locale e nazionale. Spara la stampa locale, diventa un inferno.
Ad Alitalia si è sempre chiesto quello che erroneamente era ritenuto un obbligo di servizio nazionale, anche quando gli azionisti erano privati. La compagnia è volata su rotte dove perdeva un fracco di soldi, e poi fa scandalo che lo Stato debba poi coprirne i costi con un intervento o finanziario o sociale. Certo, sono soldi pubblici. Identici però a quelli che Regioni e comuni pagano con la finzione degli accordi di co-marketing a Ryanair per entrare su tratte su cui non guadagnerebbe mai. Arrivano così alla low cost irlandese 80 milioni di euro l’anno. Pubblici, come quelli che fanno scandalo in Alitalia…
Il flop dell'Alitalia è simile a quello che stiamo vivendo in Italia,
RispondiEliminaAddirittura si offre agli altri...ma nessuno la vuole...e stiamo ancora ad aspettare per cacciare quelli che hanno svenduto l'Italia.??
riaprire l'asinara e metterceli dentro e buttare le chiavi
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