domenica 30 dicembre 2018

“Ascani, sei imbarazzante” l’epica crisi di nervi della PiDiota dopo la figuraccia in diretta tv

Volano gli stracci a In Onda su La7 tra il leghista Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia, e la deputata Pd Anna Ascani, la reginetta delle gaffe. Si parla del decreto dignità, e la Ascani afferma che “7mila persone facevano gli insegnanti e non lo faranno più, perché il loro contratto a tempo indeterminato viene trasformato in contratto a tempo determinato, valido fino al 0 giugno 2019”. E aggiunge: “Dopo accederanno a un fumoso concorso che non si capisce, insieme a decine di migliaia di altre persone, peraltro senza garanzie”.

Fedriga, a quel punto, ribatte: “Da dove deriva quel problema degli insegnanti?”. “Da una sentenza”, risponde Ascani. “No – replica il politico leghista –. Deriva dal fatto che il vostro governo non aveva affrontato nulla”. “E certo, è sempre colpa di chi c’era prima. Mi spiace, ma casca proprio male”, commenta, interrompendo, la deputata. “Quelle insegnanti sono venute a incontrare me da presidente della Regione”, riprende Federiga. “Anche me – ribatte Ascani –. Io sono capogruppo in Commissione Cultura, quindi mi sa proprio che le va male oggi, Fedriga. Le va male, perché è una questione che conosco molto bene”. “No, lei non conosce la questione“, controbatte il leghista.

Colpito e affondato! Fiano il moralizzatore di sta cippa? Così scappa dal tribunale adesso che è lui l’imputato

Finché il piddino Emanuele Fiano sedeva tra i banchi della maggioranza, lanciava campagne battagliere per trascinare in tribunale tutti quelli che non la pensavano come lui. Resterà agli annali il suo instancabile impegno per processare chi si fosse azzardato a comprare cimeli del fascismo, tazze con la faccia di Benito Mussolini o magliette con slogan nerissimi. Oggi Fiano è un uomo nuovo, con il gusto per il vecchio caro diritto all’immunità parlamentare, da mettere in pratica quando si tratta di difendersi contro querele a suo carico.

A sbertucciarlo è l’ex ministro Francesco Storace, come ricorda il Tempo: “Hai voglia a fare le pulci agli altri – ha scritto l’ex direttore del Secolo d’Italia sul suo sito – a sparare giudizi sui tuoi avversari. Era il ritornello di Emanuele Fiano contro i grillini, ad esempio, al primo rifugio nell’immunità parlamentare, con i suoi sottili distinguo sulle opinioni collegate alle attività parlamentari contrapposte all’esercizio della pratica del fango. Ora ci è cascato lui e nelle peggiore e più ipocrita maniera possibile. Perché la chiede contro chi è defunto. Casta da morto, potremmo dire. Già perché Fiano è in causa contro Casaleggio senior”.
Nel 2016 infatti, poche settimane prima di morire, Gianroberto Casaleggio lo querelò per diffamazione. All’epoca Fiano scrisse: “Si spìano con soldi dei contribuenti, decidono a casa Casaleggio nessuno sa chi o cosa e parlano di democrazia? La faccia come il culto #gurugate”. In quei giorni scoppiava lo scandalo delle email dei parlamentari grillini che sarebbero state “spiate” dall’interno del Movimento cinque stelle. Un caso tutto mediatico dal quale non seguì alcuna inchiesta giudiziaria.
Il processo contro Fiano è partito solo nei giorni scorsi, ma il giudice ha subito sospeso tutto perché: “l’eroe dell alotta a tutti gli altri – scrive ancora Storace – ha invocato l’immunità parlamentare, chiesta in questi giorni alla Camera dei deputati. Teme la condanna post mortem per aver diffamato chi evidentemente continua a essere legittimamente difeso dalla Casaleggio associati. E lui, povero Fiano, quello che vorrebbe in galera le opinioni altrui, ha paura di dover pagare per le proprie e chiede il soccorso alla maggioranza pentastellata e leghista, i cui massimi esponenti sogna di vedere in cella. Ora, il rischio San Vittore potrebbe invece riguardare lui e dovrà approntare una solida difesa di fronte alla Camera”.

La pacchia è finita e la galera è vicinissima! Fini è alla resa dei conti con la giustizia, ecco chi gli stanno per arrestare: è questione di poche ore

Chissà che sia la volta buona. La Camera approverà oggi la legge che renderà operativo il Trattato di cooperazione giudiziaria e di estradizione con gli Emirati Arabi Uniti, che dovrebbe consentire il rientro in Italia dei latitanti oggi ormeggiati sulle spiagge del Golfo Persico. Come riporta l’huffingtonpost.it, il “Trattato di mutua assistenza giudiziaria in materia penale” era stato siglato dal governo italiano nel settembre del 2015 ad Abu Dhabi, ma sospeso per gli effetti di una direttiva europea. Negli Emirati vige infatti la pena morte e in caso di estradizione verso il Paese contraente sarebbe stati inflitta la pena capitale.
In base al nuovo accordo la condanna “prevista in loco” dovrà essere commutata in pena detentiva. I due nomi più noti, tra quelli dei latitanti scappati a Dubai e dintorni, sono quelli dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena e del cognato di Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani. Quest’ultimo, che è ricercato dalla giustizia italiana con l’accusa di riciclaggio internazionale di denaro, era stato peraltro arrestato a Dubai a fine 2017 dalle stesse autorità emiratine, ma era poi riuscito a tornare in libertà nel dicembre dello stesso anno pagando una cospicua cauzione.
Fabio Amendolara per “la Verità”
Il grand hotel Dubai chiude. Le vacanze nel Golfo Persico degli italiani latitanti lì da anni sono finite: è prevista per oggi, salvo colpi di scena, la ratifica del trattato di estradizione tra Italia ed Emirati Arabi firmato nel 2015.
Superato il passaggio normativo legato alla pena di morte (negli Emirati Arabi è prevista dalla legislazione) che ne impediva la completa approvazione da parte italiana, si va alla ratifica in Parlamento. Una pessima notizia per chi, criminale economico o padrino della mala, aveva scelto quel Paese perché si sentiva al sicuro.
Potrebbero essere guai seri, ad esempio, per il potente armatore siciliano ed ex parlamentare Amedeo Matacena, condannato in via definitiva a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa e dal 2014 ricercato con un mandato di cattura internazionale per un’ inchiesta su un trasferimento fraudolento di beni che vede tra gli indagati anche l’ ex ministro Claudio Scajola.
L’ altro big a cui potrebbero tremare le gambe è il cognato dell’ ex presidente della Camera Gianfranco Fini: Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, a Dubai già ci viveva prima che il gip di Roma Simonetta D’ Alessandro disponesse per lui la privazione della libertà personale con l’ accusa di aver riciclato i soldi del re del gioco d’ azzardo legalizzato Francesco Corallo.
Tulliani, nel mese di marzo dello scorso anno, al termine di inutili ricerche, è stato dichiarato latitante. Il 4 novembre, dopo essere stato inseguito da una troupe di giornalisti di La7, si rivolse alla polizia per protestare. Fu in quell’ occasione che scoprì l’ esistenza di un mandato di cattura internazionale che pendeva sulla sua testa e che ora potrebbe riportarlo in Italia.
Dubai è la meta scelta, sin dal 2010, anche dal famigerato manager in bancarotta Samuele Landi, ex amministratore delegato di Eutelia, il quale porta sulle spalle due condanne che sommate fanno un totale di 15 anni di detenzione. Negli Emirati ha ripreso a fare affari e ha avviato un’ azienda che sta sperimentando sistemi di telecomunicazione non intercettabili.
Stessa spiaggia e stesso mare per Andrea Nucera, costruttore fallito, ricercato per la bancarotta fraudolenta nata dal crac della società Geo, dopo la lottizzazione abusiva della zona diventata il più grande cantiere edile del Ponente ligure. Nucera, che nel suo esilio arabo si è portato dietro la nonnina ultranovantenne, ha avviato nuove attività imprenditoriali, aprendo ristoranti e negozi.
Anche Claudio Cirinnà, fratello della Signora delle unioni civili, fu cercato dai carabinieri inutilmente a Dubai, meta scelta per sottrarsi a un’ indagine su una brutta faccenda legata a un traffico illecito di carburante tra l’ Italia e la Repubblica Ceca.
Nelle intercettazioni lo definivano «il matematico» e, infatti, con precisione matematica, sparì proprio il giorno delle perquisizioni.
Da anni si godono una insolente vacanza nel Golfo Persico due capibastone della camorra: Tano Schettino, considerato dalla Procura antimafia napoletana il broker della droga del clan degli scissionisti di Scampia (nel 2016 fu arrestato e liberato a Dubai nel giro di 40 giorni) e il suo socio in affari Raffaele Imperiale, al secolo Lelluccio Ferrarelle, perché passò con successo dalla distribuzione delle acque minerali alla grande distribuzione della cocaina.
Anche Imperiale ha scelto Dubai, dove vive spendendo ogni mese 400.000 euro, almeno secondo le stime tracciate fino al 2016, anno dell’ inchiesta che ha disposto il suo arresto.
A Dubai c’ è anche Mazinga, nomignolo usato da Massimiliano Alfano, giovane salernitano, romano d’ adozione, che ordinò la gambizzazione di un’ estetista sessantenne nel quartiere Ardeatino. Si era trasferito sul Golfo già prima dell’ arresto anche Anton Giulio Alberico Cetti Serbelloni, rampollo di una famiglia nobile di Milano che nell’ albero genealogico vanta anche un papa, Pio IV, e che ha costruito un impero nel campo immobiliare e dell’ arte.
È finito a Dubai per un’ evasione fiscale da un miliardo di euro. In Italia è atteso per un ordine di esecuzione per l’ espiazione di una pena residua di poco più di otto anni di reclusione.
L’ ultimo nome della lista è quello dell’ imprenditore piacentino Luigi Provini, ricercato con l’ accusa di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio per un giro di frodi fiscali nel quale sarebbero finite anche le sponsorizzazioni di team e piloti di Formula uno e rally.
E ora che il trattato è quasi legge per loro potrebbe essere in preparazione un biglietto di sola andata per l’ Italia. Potrebbe. Perché non è detto che l’ estradizione sia automatica: la magistratura valuterà gli incartamenti giudiziari, ma è al governo emirato che spetterà comunque l’ ultima parola.

BOLDRINI, LA PAGLIACCIATA DEI CARTELLI: senza vergogna alcuna, la traditrice del popolo gioca con i cartelli contro il Governo

Luigi Di Maio riesce nell’impresa di farsi ridicolizzare da Laura Boldrini. La fu presidenta della Camera, infatti, ha postato su Facebook un video in cui spiega con alcuni cartelli scritti a mano che cosa ne pensa della manovra. Ovviamente nulla di buono. La Boldrinova cita Bob Dylan nel video di Subterranean Homesick Blues, celebre brano che risale al 1965. Ma non solo: ovviamente fa il verso anche alla ridicola lista di Natale che Di Maio aveva pubblicato sui social dopo il Sì al Senato alla legge di Bilancio.

SINDACATI SPA: ECCO I BILANCI MILIONARI DELLA PEGGIO CASTA. COME UNA MULTINAZIONALE SENZA AVER MAI LAVORATO UN SOLO GIORNO

Per Susanna Camusso è quasi un’ossessione. Da quando si è insediata al vertice della Cgil (il 3 novembre 2010) si è arrampicata 67 volte su palchi di ogni ordine e grado per invocare trasparenza. La leader del più grande sindacato italiano se ne è poi però puntualmente dimenticata man mano si avvicinava la fine dell’anno e il momento per la Cgil di fare due conti sui contributi degli iscritti rastrellati nei dodici mesi.
Sì, perché il sindacato di corso d’Italia, che non è tenuto a farlo per legge, si guarda bene dal pubblicare un bilancio consolidato: come del resto i cugini di Cisl e Uil, si limita a mettere insieme in poche paginette i numeri che riguardano la sola attività del quartier generale romano. Spiccioli, rispetto al vero giro di soldi delle confederazioni, che negli anni si sono trasformate in apparati capaci di lucrare pure su cassintegrati e lavoratori socialmente utili (nell’ultimo anno l’Inps ha versato a Cgil, Cisl e Uil 59,4 milioni di trattenute su ammortizzatori sociali).
Ai primi di novembre 2014 ha mollato di colpo il suo incarico il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni: nel palazzo circolava un dossier dove si documentava l’impennata del suo stipendio dai 79 mila euro precedenti la nomina ai 336 mila del 2011. E quest’estate una mail di un dirigente della Cisl ha alzato il velo sulla retribuzione d’oro di alcuni suoi colleghi capaci di mettere il cappello su più incarichi: il presidente del patronato Inas-Cisl, Antonino Sorgi, per esempio, nel 2014 ha portato a casa 77.969 euro di pensione, più 100.123 per l’Inas e altri 77.957 per l’Inas immobiliare.
I soldi dunque li hanno. Ma sapere quanti è quasi impossibile. I veri bilanci dei sindacati sono uno dei segreti meglio custoditi del Paese. Loro si rifiutano di fornire dati esaustivi. E chi conosce le cifre preferisce non esporsi. Così, almeno su alcuni capitoli, bisogna andare per approssimazione. Vediamo.
IL TESORETTO DEI TESSERATI
Lo zoccolo duro delle finanze sindacali è la tessera, che ogni iscritto paga con una piccola quota dello stipendio di base (o della pensione). Nei bilanci delle tre confederazioni sono indicati complessivamente 68 milioni 622 mila 445 euro e 89 centesimi. Ma è una presa in giro bella e buona. Si tratta infatti solo delle quote trattenute dalle holding. Per avvicinarsi alla cifra vera bisogna seguire un altro percorso. Cgil, Cisl e Uil dichiarano di rappresentare tutte insieme 11 milioni 784 mila e 662 teste (che scendono in picchiata quando è il momento di versare i contributi alla Confédération Européenne des Syndicats, dove si paga un tanto per iscritto). I sindacati chiedono per l’iscrizione lo 0,80 per cento della retribuzione annua ai lavoratori attivi e la metà ai pensionati.
Conoscendo la ripartizione degli iscritti tra le due categorie, gli stipendi medi dei dipendenti italiani (25.858 euro lordi, secondo l’Istat) e le pensioni medie (16.314 euro lordi, per l’Istat), è dunque possibile fare il conto. La Cgil dovrebbe incassare 741 milioni di euro e rotti (loro ammettono poco più della metà: 425 milioni). Alla Cisl si arriverebbe a 608 milioni (in via Po parlano di 80 milioni circa). E la Uil intascherebbe 315 milioni (in via Lucullo ridimensionano a un centinaio di milioni).
Solo le tessere garantirebbero dunque quasi 1,7 miliardi. Ora: è possibile che i calcoli de “l’Espresso” siano approssimati per eccesso, se si considerano il mix degli iscritti (full-time, part-time, stagionali); la durata del versamento, non sempre ininterrotto; l’incidenza di eventuali periodi di cassa integrazione. Ma una cosa è certa: il tesoretto delle tessere non vale solo i circa 600 milioni e spicci che dicono Cgil, Cisl e Uil. Secondo quanto “l’Espresso” è in grado di rivelare, infatti, nell’ultimo anno solo l’Inps ha trattenuto dalle pensioni erogate, e girato a Cgil, Cisl e Uil, 260 milioni per il pagamento della tessera sindacale. Una cifra alla quale va sommata la quota-parte di competenza delle confederazioni sui 266 milioni che l’Inps incassa da artigiani e commercianti e poi trasferisce alle organizzazioni dei lavoratori per la tassa di iscrizione. Già con queste voci si arriva vicino alla somma totale ammessa da Cgil, Cisl e Uil. I conti dunque non tornano.
Fin qua abbiamo comunque parlato di soldi di privati e quindi di affari dei sindacati e di chi decide di finanziarli (anche se Cgil, Cisl e Uil non sempre giocano pulito: una serie di meccanismi impone a chi straccia la tessera di continuare a versare a lungo il suo obolo). Poi c’è, però, tutto il capitolo dei quattrini pubblici, dove la trasparenza non dovrebbe essere un optional. In prima fila si trovano i Caf, i centri di assistenza fiscale che aiutano i cittadini per la dichiarazione dei redditi (e intanto fanno proselitismo): in teoria sono cosa a parte rispetto ai sindacati, ma il legame è strettissimo.
La legge di Stabilità 2011 ha tagliato i loro compensi. Così piangono miseria, tanto più oggi con l’arrivo della dichiarazione precompilata, che toglierà loro clienti. Ma che presidino un business ricchissimo lo dimostra un fatto: per scardinare il loro monopolio è dovuta intervenire, il 30 marzo del 2006, la Corte di Giustizia Europea, che ha imposto al governo italiano di consentire la presentazione dei modelli 730 anche a commercialisti, esperti contabili e consulenti del lavoro.
All’Agenzia delle Entrate dicono che su 19 milioni, 41 mila e 546 dichiarazioni 2014 quelle passate dai Caf sono più di 17,6 milioni (il 92,6 per cento). Siccome i centri di assistenza incassano dallo Stato 14 euro per ogni dichiarazione (e 26 per i 730 presentati in forma congiunta dai coniugi) e il 45 per cento del settore è appannaggio dei sindacati è facile calcolare il loro giro d’affari: se anche le dichiarazioni che compilano e presentano fossero tutte singole (e così non è) si arriverebbe a più di 111 milioni. In questo caso, i dati ufficiali del ministero dell’Economia non si discostano troppo dalle stime: dicono che nel 2014 il Caf della Cgil ha incassato 42,3 milioni di euro (oltre ai contributi volontari della clientela), quello della Cisl 38,6 milioni e quello della Uil 15,5 milioni. Ai quali vanno sommati i 20,5 milioni che l’Inps ha versato nell’ultimo anno ai Caf confederali per i modelli 730 dei pensionati. E gli ulteriori 33,9 milioni sborsati sempre dall’istituto presieduto dal professor Tito Boeri a favore dei Caf confederali per la gestione di servizi in convenzione (dalle pratiche relative agli assegni di invalidità civile a quelle dell’Isee, l’indicatore per l’accesso alle diverse prestazioni assistenziali).
SOLO DALL’INPS 423 MILIONI
Poi ci sono i patronati, che forniscono gratuitamente servizi di assistenza a lavoratori e pensionati per prestazioni di sicurezza sociale e vengono poi rimborsati dagli istituti di previdenza. Secondo la “Nota sul finanziamento diretto e indiretto del sindacato”, messa a punto da Giuliano Amato su incarico dell’allora premier Mario Monti, solo nel 2012 l’Inps ha versato loro 423,2 milioni di euro (quattrini esentasse, per giunta, in base a una logica imperscrutabile).
Secondo quanto risulta a “l’Espresso”, a fare la parte del leone sono stati Inca-Cgil (85,3 milioni di euro), Inas-Cisl (65,5 milioni) e Ital-Uil (31,2 milioni). «Sembra evidente che il funzionamento dei patronati non comporti un finanziamento pubblico, sia pur indiretto, delle associazioni o organizzazioni promotrici (i sindacati, ndr)», ha scritto Amato nella sua relazione. Poi però lo stesso Dottor Sottile si è sentito in dovere di aggiungere una postilla: «C’è per la verità un’unica disposizione (non legislativa, ma statutaria) che può essere letta in questa chiave e cioè quella secondo cui, nel caso di scioglimento dell’ente (il patronato, ndr), è prevista la devoluzione dell’intero patrimonio di quest’ultimo in favore dell’organizzazione promotrice. Al di la di ciò…». Ma come sarebbe a dire “al di la di ciò”?

SALVINI E DI MAIO SONO UN ESEMPIO IN TUTTO IL MONDO: il guru di Trump come il Financial Times fa i complimenti al governo italiano

“La chiamiamo la scuola dei gladiatori, la chiave è formare agenti di cambiamento”: è la formula della scuola di Steve Bannon, l’ideologo americano che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca, per la certosa di Trisulti, l’abbazia benedettina che farà da centro propulsore per il suo The Movement, il movimento per connettere i populisti europei, dove ieri c’è stata una manifestazione per fermare il progetto. “Fantastico – ribatte Bannon parlando al Corriere della sera -. Anche che non penso che capiscano che porteremo lavoro gente negli hotel e nei ristoranti, rendendo omaggio alle origini del monastero”.
Bannon dice di ispirarsi alla sinistra e al finanziere americano George Soros. “Sono al 100% contrario alla sua ideologia, ma ammiro sempre chi ottiene risultati. Soros forma persone orientate all’azione”, ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera. E aggiunge: “Il 2019 sarà un anno straordinario per i populisti.

“Quando giro per il mondo, dico a tutti: guardate Salvini e Di Maio, non si vedono spesso politici moderni pronti a mettere da parte le differenze per lavorare insieme come hanno fatto loro sul bilancio”. Steve Bannon, l’ex stratega di Donald Trump, non ha mai nascosto il suo apprezzamento per i due vicepremier del governo italiano e lo ripete. In una rassegna dei politici in campo, in vista delle elezioni europee, Bannon, che parla di “maturità da statista” per Salvini, vede invece il presidente francese, Emmanuel Macron, “in una spirale mortale perché non ha ascoltato il suo popolo”. Quanto alla cancelliera tedesca, Angela Merkel, non ne apprezza l’ideologia, “ma è una dura” e lui ammira “le persone tenaci”.
Infine la politica e un suo diretto coinvolgimento. “Ridicolo”: liquida così Steve Bannon l’ipotesi di una sua candidatura alla Casa Bianca. “Non ho aspirazioni politiche, sono uno che opera dietro le quinte”, ha aggiunto in un’intervista al Corriere della Sera.Piuttosto per Bannon, è l’ex sindaco di New York, il miliardario Michael Bloomberg, l’uomo “da tenere d’occhio” per le elezioni presidenziali americane del 2020 come antagonista del presidente Donald Trump

FRECCERO CHE GODURIA, IL PIDIOTA LO INFAMA, LUI LO DEMOLISCE IN TEMPO ZERO

Volano gli stracci tra Michele Anzaldi, il piddino fustigatore della Rai, e Carlo Freccero, nuovo direttore della Rai 2 sovranista. Al centro del diverbio l’anticipazione di Dagospia, secondo la quale il nuovo The Voice of Italy costerà la bellezza di 1 milione di euro a puntata. Cifre altissime, contro le quali Anzaldi ha puntato il dito su Facebook.
Di seguito, il post integrale di Anzaldi:
È vero che la nuova stagione di The Voice of Italy costerà la cifra spropositata di 1 milione di euro a puntata? È vero che questa produzione faraonica, affidata ad una società esterna che peraltro produce anche la trasmissione concorrente X Factor su Sky, è stata espressamente richiesta dal neo direttore di Rai2 Freccero? Come si giustificherebbe un costo a puntata così alto per una trasmissione che nell’ultima edizione non ha raggiunto neanche il 10% di share? Presento un’interrogazione in Vigilanza, la Rai deve chiarire come spende i soldi dei cittadini, dopo le indiscrezioni pubblicate da Dagospia. La precedente stagione di The Voice, infatti, ha ottenuto 2.103.000 telespettatori e il 9,52% di share di media, un risultato buono per Rai2 ma non tale da giustificare una nuova produzione così costosa. Che, poi, il campione delle nuove spese pazze in Rai, con mega produzione esterna ad una società storicamente fornitrice della concorrenza, sia proprio il direttore indicato da Di Maio, l’ex consigliere in quota M5s Freccero, è ancora più imbarazzante: all’opposizione erano per la spending review, ora diventano gli alfieri dello spreco. Per 5 anni gli italiani hanno sentito il presidente Fico, allora presidente della Vigilanza, e l’ex capogruppo M5s in Vigilanza Airola dibattere e sgolarsi per dire basta alle inopportune produzioni esterne: erano solo chiacchiere.
A stretto giro di posta, ecco la durissima replica di Freccero:
Leggo sul profilo Facebook di Michele Anzaldi un delirante post: forse ha già iniziato a festeggiare la fine dell’anno prematuramente e commenta notizie infondate (il riferimento è al post di Dagospia, ndr) e calunniose su cui cercherò di chiedere alla Rai di agire in sede legale”.
Dunque, Freccero smentisce quanto affermato da Dagospia sul costo di 1 milione a puntata:
Falso, falso, falso. Ma sopratutto chi l’ha detto che sarà The Voice? Quindi Anzaldi e Dagospia lavorano sul vuoto. Notizie infondate, ma so che dovrò sopportare un rosario di nefandezze dagli invidiosi. Non sono pagato, ma mi ripagherò con le risate che mi regaleranno gli Anzaldi

sabato 29 dicembre 2018

ECCO COSA ACCADE A RACCONTARE BALLE: REPUBBLICA CACCIA 400 GIORNALISTI MA NESSUNO LO RACCONTA PERCHE’ LORO SONO ‘DEMOCRATICI’

Feste natalizie amare per i giornalisti. Una categoria in estinzione. Esodo e contratto di solidarietà per 400 giornalisti del sistema “Repubblica” tra edizione cartacea, online, inclusi tutti i supplementi e gli inserti del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, Carlo De Benedetti e Carlo Caracciolo. Uno tsunami concluso con una tormentata trattativa tra il direttore Mario Calabresi, il vice Giuseppe Smorto che ha la delega ai rapporti sindacali e, per l’azienda, l’amministratore delegato Laura Gioli, il direttore generale Corrado Corradi e quello del personale Roberto Moro. Sottoposta alla votazione dei redattori l’intesa durata tre mesi ha ottenuto il parere favorevole di 221 giornalisti, i no sono stati 133, 11 le schede bianche e 3 nulle. Un “piano di risparmi” secondo l’azienda. Un “massacro” redazionale e qualitativo per il mondo del giornalismo e per quanti hanno ritenuto in questi anni “la nave” di Barbapapà, la portabandiera di un certo modo di fare informazione, impegnata e d’avanguardia.
Contemporaneamente altra tegola all’Ansa, una delle prime sei agenzie di stampa del mondo ed erede dalla gloriosa Stefani. L’azienda dopo il taglio di 10 giornalisti, in gran parte prepensionati, ha presentato la richiesta di altri 27 esuberi che si aggiungono a 5 mesi di cassa integrazione al 50 per cento. Due duri colpi all’editoria e all’Istituto di previdenza (Inpgi) che perde altri attivi e incrementa la quota dei pensionati. A settembre, il comitato di redazione di “Repubblica” è stato chiamato dai vertici aziendali per spiegare la difficile situazione che stava attraversando il gruppo, annunciando il taglio dei costi giornalistici per un importo di almeno 15 milioni. Una trattativa partita in salita dopo che il cdr composto da Marco Patucci, Giovanna Vitale e Carmine Saviano per la sede centrale, Dario Del Porto e Marco Contini per quelle locali aveva sottoscritto a marzo 2018 un accordo per il taglio di alcune voci variabili degli “integrativi”. Negli ultimi 9 anni a Repubblica sono stati dichiarati due stati di crisi con pensionamenti e due interventi sui costi. Si è arrivati, con questi ultimi ridimensionamenti, a mettere in sicurezza il giornale? Ci sono molti dubbi, anche perché la distanza delle vendite con il primo giornale italiano, il “Corriere della sera”, si è allargata e gli “inserti” non vanno più bene, anche perché sono troppi durante la settimana, con un notevole dispendio di carta e di impegni redazionali. Il nuovo accordo dovrebbe valere per due anni, facendo scattare subito un piano di incentivi all’uscita volontaria con una indennità per ognuna di tre annualità e mezzo, destinata a ridursi semestralmente da marzo.

Per gli over 55 anni è stato stabilito in più un bonus pari a un anno di contributi al minimo tabellare (10mila 800 euro). Da marzo parte anche la solidarietà con una riduzione dell’orario tra il 14 e il 16 per cento, fino a raggiungere 74 unità. L’intesa prevede altre forme di welfare, il taglio delle collaborazioni e un intervento sulle retribuzioni dei manager. Per l’Ansa e l’Askanews le decisioni aziendali sono un duro colpo sull’organico al termine del piano di crisi che aveva consentito il raggiungimento dell’equilibrio di bilancio. Anni di sacrifici hanno decimato il corpo redazionale nonostante in agosto il Cda abbia firmato con la presidenza del Consiglio un contratto triennale. L’azienda, secondo la Fnsi, viene meno agli impegni assunti in sede di firma del piano di ristrutturazione.

“MA QUALE AUMENTO DELLE TASSE!” PARAGONE SMASCHERA LE BALLE DI REPUBBLICA E CORRIERE

di Gialuigi Paragone (deputato M5S)
Visto che i giornali ne danno una lettura storpiata, in questo video vi racconto come stanno davvero le cose. Il racconto dei giornali sulla manovra è daltonico. Repubblica e il Corriere della Sera non vogliono vedere cosa c’è realmente scritto.
Ecco chi pagherà più tasse от Mag 24 informazione indipendente на Rutube.

NAPOLITANO, LA VERITA’ SVELATA: ANNI DOPO, IL RAPPORTO CHE CONFERMA IL SUO INFAME TRADIMENTO AI DANNI DEL POPOLO

Il 2018, l’anno del crollo di Giorgio Napolitano. Politicamente, sottolinea Antonio Napoli su Italia Oggi, il ritorno al proporzionale e il ruolo finalmente di arbitro imparziale del Quirinale, con Sergio Mattarella, rappresentano la nemesi di Re Giorgio, che per quasi 10 anni ha interpretato il ruolo in modo debordante.

Dal 2011, “il ruolo giocato dalla Presidenza della Repubblica in questi anni cruciali è stato unanimemente riconosciuto come centrale. Per cui (pur apprezzando lo straordinario impegno personale profuso) non si può non partire da un bilancio fallimentare della presidenza Napolitano”. I suoi obiettivi più volte sbandierati, anche durante “la drammatica rielezione del 2013”, sono stati tutti mancati: “Non siamo approdati ad alcuna riforma costituzionale” e, “unico caso in Europa, si è venuto maturando un successo enorme delle forze populiste” che, ironia della sorte, “ora governano pure insieme”. Poi, impossibile dimenticarlo, “le politiche di austerità volute dalle leadership europee, e che Napolitano ha condiviso e sostenuto, hanno prodotto una spaccatura insanabile tra élite e popolo, fino a condurre in tutta Europa e negli Stati Uniti alla sconfitta storica della sinistra democratica”, col Pd passato in 10 anni (di cui 6 al governo) da 12 a 6 milioni di voti. Qualcuno ringrazia, ma non è chi sperava Napolitano.

MACRON, LO SCANDALO DELL’AMICHETTO MAGHREBINO SI ALLARGA: MA COME HA FATTO UN COATTONE DI PERIFERIA A DIVENTARE COSÌ POTENTE DA TENERE IN OSTAGGIO IL PRESIDENTE FRANCESE?

Adriano Scianca per “la Verità”
Dai gilet gialli all’ uomo nero. La coda del 2018 è popolata di incubi, per Emmanuel Macron. L’ uomo nero è Alexandre Benalla, il suo ex factotum, nero non tanto per la carnagione (l’ origine marocchina gli ha lasciato semmai in dote un incarnato olivastro), ma nel senso dell’ oscurità delle trame, di ciò che avviene all’ ombra del potere.
Che ci faceva, per esempio, l’ ex bodyguard in Ciad, a inizio dicembre, solo poche settimane prima di una visita ufficiale di Macron nel Paese? E in Congo e Camerun, dove si è recato qualche tempo prima, assieme all’ uomo d’ affari franco-israeliano Philippe Hababou Solomon e ad alcuni turchi non meglio identificati? E in Israele, altra nazione toccata dall’ instancabile e imperscrutabile attivismo diplomatico di Benalla? Lo scorso ottobre, invece, era stato avvistato al Chinese Business Club, a un evento con degli investitori del Paese orientale.
Sempre nel mese di ottobre, Libération aveva svelato un incontro tra Benalla e Alexandre Djouhri, un faccendiere implicato nello scandalo dei finanziamenti libici a Nicolas Sarkozy, molto influente in diversi Stati africani.
Singolare protagonismo per uno appena degradato, che dovrebbe quanto meno mantenere un basso profilo, dopo aver messo nei guai l’ inquilino dell’ Eliseo per aver aggredito, con un casco da poliziotto, dei manifestanti a margine di una manifestazione politica. Il 26 dicembre, Benalla spiegava con candore a Le Monde che questi viaggi erano stati condotti senza passaporto diplomatico, prontamente restituito dopo la bufera politica scoppiata sul suo conto.
Un’ altra balla: il giorno dopo, il sito Mediapart dimostrava il contrario, fornendo anche il numero del documento: 17CD09254.
Un passaporto diplomatico consegnato il 24 maggio scorso. Ovvero nel periodo di tempo intercorso tra il pestaggio del 1° maggio e lo scoppio del caso, avvenuto in luglio su Le Monde. Che si sia voluto fornire un salvacondotto a un personaggio che stava per essere investito da una bufera? Molto resta ancora da chiarire, perché i passaporti diplomatici sarebbero due. L’ entourage di Benalla ha inoltre spiegato che i documenti gli sarebbero stati restituiti agli inizi di ottobre da un dipendente dell’ Eliseo.
In ogni caso, sta di fatto che la diplomazia di un Paese con testate nucleari e seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’ Onu, oltre che padrone fattuale dei destini di mezza Africa, sembra passare per le mani di questo coatto palestrato il cui potere resta ancora in gran parte inspiegabile.
In Ciad, tanto per dire, Benalla avrebbe incontrato il presidente Idriss Déby, oltre al fratello, capo della direzione generale della riserva strategica. A che titolo? Lo scorso 22 dicembre, il direttore del gabinetto del presidente, Patrick Strzoda, ha chiesto spiegazioni sui viaggi del bodyguard. Il Quai d’ Orsay, cioè la Farnesina francese, ha dal canto suo chiarito di aver «chiesto la restituzione» dei passaporti diplomatici a fine luglio, come se fosse la biblioteca comunale che reclama un libro tenuto in prestito per troppo tempo e non un ramo dello Stato che deve tutelare la sicurezza nazionale.
Perché tutta questa timidezza? Perché lo Stato francese non dà un calcio nel sedere all’ uomo che sta procurando tanti imbarazzi? Forse la risposta è in una frase sibillina pronunciata da Benalla in questi giorni: «Non starò più in silenzio». Il che ha proprio tutta l’ aria di essere un avvertimento a chi di dovere su determinati segreti che è meglio non escano fuori. Viene davvero da chiedersi come si sia potuti giungere a questo punto.
E allora rivediamo tutto il film dall’ inizio. Alexandre Benalla nasce l’ 8 settembre 1991 in una banlieue di Evreux, in Normandia, da una famiglia marocchina. I genitori, due professori, non sono degli sbandati, ma il padre pare fosse violento e incline a riportare il figlio in Nordafrica, cosa non permessa dalla madre dopo la separazione dei due. Il ragazzo comincia a interessarsi di sicurezza già a 14 anni, quando frequenta uno stage sull’ argomento. Nel frattempo pratica rugby e mette su un bel fisico, cosa che ne aumenta la sicurezza e anche un po’ la strafottenza.
Aderisce ai giovani socialisti e, a partire dal 2011, è incaricato della sicurezza di diversi dirigenti del partito, da Martine Aubry a François Hollande, per diventare poi autista del ministro Arnaud Montebourg. Quando Macron fonda En Marche, fiuta l’ occasione e diventa responsabile della sicurezza del partito. Dopo l’ elezione del suo nuovo mentore, riceve le chiavi dell’ Eliseo. È l’ uomo ombra di Macron: segue il leader ovunque, gli guarda le spalle, ma è molto più che un semplice bodyguard. La sua ambizione, è chiaro, è quella di prendere in mano l’ intera gestione logistica dell’ Eliseo. Il suo piano fila liscio, in barba a regole e consuetudini, fino a quel maledetto 1° maggio in cui viene immortalato mentre strattona violentemente dei manifestanti. Un caso montato ad arte per gelosie professionali, si difenderà lui, giocando la carta della discriminazione: «Un ragazzo di 25 anni, che non ha fatto l’ Ena (la scuola dell’ alta amministrazione francese, ndr), che non è sottoprefetto – sono il solo di tutta la squadra a non esserlo, sono l’ extraterrestre della banda – e che, in più, dice le cose in faccia in un luogo in cui regnano i non detti, evidentemente suscita rancori».
Un parvenu che ha fatto questa carriera fulminea, in effetti, genera gelosie. E pettegolezzi.
«Benalla non è il mio amante e non ha i codici nucleari», sarà costretto a precisare, sia pur in maniera ironica, Macron. Particolare grottesco: Benalla ha anche un profilo su Tinder, la popolare app per incontri. Nelle foto postate, alcune lo ritraggono insieme al presidente, utilizzato come specchietto per le allodole per rimorchiare. Il suo nickname, inoltre, è Mars, ovvero Marte, laddove Macron si è sempre fatto chiamare Iuppiter, cioè Giove. Un rompicapo che imbarazzerebbe persino il grande indagatore delle religioni indoeuropee, Georges Dumézil.
C’ è lo zampino di Benalla anche in un altro caso spinoso.
È stato infatti lui ad aver presentato a Macron un’ altra delle sue guardie del corpo: Makao, un rugbista congolese alto 2,13 metri, che tuttavia annovera tra le proprie conoscenze anche Jawad Bendaoud, l’ affittacamere dei terroristi del Bataclan, come comprovato da alcune story di Instagram, pubblicate sul profilo di Bendaoud, in cui i due sono insieme. Un caso sfortunato, forse, ma resta il fatto che Benalla ha anche la responsabilità di aver drasticamente ridotto i gradi di separazione tra l’ Eliseo e l’ Isis.

“MA ANDATE VOI A CASA, VERGOGNA” COSI’ GLI ITALIANI INSULTANO LA FECCIA PD CHE OCCUPA PIAZZA MONTECITORIO

Questa mattina la feccia PD ha chiamato in piazza i propri galoppini per protestare contro la manovra. La pagine Facebook di Repubblica ha pubblicato il comizietto di Del Rio e Martina in diretta. Il risultato però ci è parso pessimo, vista la valanga di insulti che hanno ricevuto nei commenti. Qui ne presentiamo una piccola parte:

madonna che ridere a sentire del rio…ma ci crede davvero alle idiozie che dice?
PUOI PARLARE QUANTO VUOI .. UNA COSA E’ CERTA COGLIONE .. HAI PERSO
 Ciò che neanche la Repubblica si rassegna ad accettare è che l’elettorato di questi figuranti di Confindustria non vuol più nemmeno sentir parlare.
 MA DOVE CAZZO SONO ANDATI A PRENDERLI QUESTI ALL’OSPIZIO?
dopo che hanno imposto la Fornero, adesso la usano per criticare chi la vuole levare. Del Rio è il modello perfetto del disonesto. E’ umiliante sentirlo parlare mentre dice solo falsità. Tutti a comando come burattini…
lo zio fester? peccato che non e piu segretario dei piddioti, quando parlava lui la dx guadagnava 1000voti al minuti
I corottiiiii ahahah pd ladroni ladri di corte vergogniateviiiiii andate a lavorare ladroniiiii
Povera gente che si fa imbambolare da dei perdenti inutili
Voi che state presenti appartenete tutti alla casta prima di cantare bella ciao sciacquatevi la bocca 
Imbarcatevi andate fuori ..andate via…bella ciao l’avete insultata e sempre la insultare te!

 

LA FECCIA ROSSA CHIAMA IL POPOLO IN PIAZZA? NON C’ERANO NEPPURE I PARENTI: UN FLOP TOTALE alla faccia delle menzogne che da giorni propinano giornali e Tv

Pd a Piazza Montecitorio contro Manovra
Protesta Pd in piazza Montecitorio contro la manovra economica. Alla manifestazione, organizzata dai dem contro la manovra del governo all’esame della Camera, i quattro militanti presenti hanno intonato in coro ‘Bella ciao’. Dalla foto, scattata in tempo reale da un palazzo che si affaccia sulla Piazza si evince che erano di più i fotografi, i giornalisti leccaculo ed i cameramen che i PiDioti presenti.

In piazza molti big del partito,in prima linea Maurizio Martina,Graziano Delrio, Ettore Rosato,Matteo Orfini, Luca Lotti ed Emanuele Fiano,ieri protagonista di un acceso scontro in aula.Assenti invece Matteo Matteo Renzi e Nicola Zingaretti che plaude all’iniziativa ma
non è presente per impegni fuori Roma.

“Gli stranieri dobbiamo tutelarli più degli italiani” Così il giudice rosso senza vergogna ammette che a lui interessano solo gli immigrati

Torino, il pg Saluzzo: “Il cittadino straniero ha egualmente il diritto di essere tutelato nei confronti degli altri stranieri e direi ancora di più degli italiani”
La procura di Torino ha deciso di porre una maggiore attenzione sui reati che riguardano episodi di razzismo.
Il procuratore capo Armando Spataro ha fornito alcune direttive alla Procura che di fatto serviranno ad incrementare le indagini su tutti quei reati commessi per finalità di discriminazione o odio etnico, nazionale, razziale o religioso. Per Spataro questi reati dovranno essere trattati come prioritari sul fronte investigativo. Spataro ha poi parlato dell’emergenza immigrazione e ha affermato: “Non si può respingere in mare gli immigrati e non vagliare la loro richiesta di status di rifugiato politico. Se per assurdo un barcone di immigrati attraccasse ai Murazzi sul Po, nessuno potrebbe vietare alle persone a bordo di scendere. Se accadesse, tale comportamento sarebbe oggetto di una nostra indagine”.
Ma in questo contesto vanno sottolineate anche le parole del procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo che presentando le nuove direttive ha affermato: “Il cittadino straniero ha egualmente il diritto di essere tutelato nei confronti degli altri stranieri e direi ancora di più degli italiani. Nel senso che se si commettono dei reati nei confronti di uno straniero, non bisogna nè banalizzare nè dire ’beh, in fondo questi se la sono cercata”. Infine, sempre Saluzzo ha aggiunto: “Non discuto che il singolo straniero che viene fatto oggetto di espressioni odiose possa avere alle spalle un vissuto non specchiato – ha spiegato Saluzzo – ma qui entra in gioco il rispetto della persona umana. L’individuo, se deve essere sanzionato, è perchè ha fatto qualcosa, non può essere soggetto ad ulteriori sanzioni che sono quelle dell’umiliazione, dell’aggressione verbale, del dileggio, del disprezzo per ragioni di provenienza o religiose. Questo è semplicemente inammissibile”.

FINALMENTE E’ IN ARRIVO IL DECRETO! COSI’ BOERI SARA’ PRESO A CALCI NEL SEDERE

Ribaltone all’Inps, il presidente Tito Boeri fatto fuori “per decreto” dal governo. Secondo quanto riporta il Giornale, nel decreto che conterrà reddito di cittadinanza e Quota 100 ci sarà anche una mini riforma dell’istituto previdenziale. Addio al presidente unico, si tornerà a una gestione collegiale in mano a un consiglio di amministrazione

La misura ovviamente non riguarda solo Boeri (il suo mandato scade “naturalmente” a febbraio) ma il futuro di un istituto da 400 miliardi di eurol’anno. I criteri di nomina del CdA saranno quelli classici: “un decreto al ministero competente (quello del Lavoro in questo caso) con parere vincolante delle commissioni parlamentari competenti”. Lo scenario, sottolinea il Giornale, potrebbe vedere anche un nuovo consiglio tutto a marca M5s-Lega, in maggioranza nelle commissioni.


venerdì 28 dicembre 2018

“Ma basta con quella spocchia quando parli con Salvini e Di Maio” Gruber asfaltata per come si deve dalla collega conduttrice

Sfida all’ultimo telespettatore: sarà Barbara Palombelli, su Rete4, l’avversaria diLilli Gruber su La7. Contro lo storico Otto e mezzo, ora Mediaset ha deciso di schierare la padrona di casa di Forum con un nuovo talk, Stasera Italia. Si parlerà di politica, in modo forse diverso da quanto fatto fino a oggi da Lilli la rossa. L’obiettivo della Palombelli, spiega lei al Messaggero, sarà “spingere la gente a far pace con la politica. Spiegando come stanno le cose: non è vero che la situazione è così drammatica come è stato detto in questi anni. Questo è ancora un Paese che lavora e tiene in piedi tutto, fregandosene della politica e dei suoi giochini”.

Fra lei e la Gruber, giura, “c’è grande stima. E Otto e mezzo l’ho condotto anch’io nel 2003 con Giuliano Ferrara“. Il suo giudizio su chi governa è distante anni luce da quello della Gruber, guarda i nuovi politici “con interesse e senza spocchia”: “La Lega ormai ha una storia trentennale, spesso di grande efficienza come in Veneto. Quelli del M5S hanno intercettato un malessere che il Pd in cinque anni non ha intravisto nemmeno da lontano”.

Ladri a casa di Celentano? Questa volta se la sono vista brutta loro: si son trovati davanti un comitato d’accoglienza con i fiocchi

Cominciano ad assumere una frequenza “preoccupante” le incursioni di sconosciuti nel parco della villa di Adriano Celentano a Galbiate, in Brianza. L’ultimo episodio, sul quale gli inquirenti mantengono il massimo riserbo, risale all’inizio di giugno, ma è stato reso noto solo nelle scorse ore. A raccontarlo è il quotidiano Il Giorno, che parla dell’incursione di alcuni sconosciuti incappucciati nel parco della villa del Molleggiato. Gli intrusi hanno scavalcato il muro di cinta, ripresi dalle telecamere della videosorveglianza, ma poco dopo sono stati costretti alla ritirata dal sistema di allarme e dalle guardie giurate che costantemente sorvegliano la proprietà. Le due precedenti incursioni risalgono al marzo 2017 e a un mese prima: sei uomini, più uno che restava fuori a fare da “palo”. Episodi che, a suo tempo, lo stesso Celentano aveva definito “molto gravi” sul suo blog “Il mondo di Adriano”. Gli inquirenti indagano per capire se gli episodi sono collegati.