venerdì 30 novembre 2018

Occhetto: “Il vitalizio mi serve per mantenere i miei figli”- Peccato che abbiano più di 30 anni

Guardate il mio reddito. Non ho altre entrate. Se mi fosse tolto il vitalizio di cosa vivrei? E di cosa vivrebbe la mia famiglia?”


Achille Occhetto, intervistato da Libero, difende i suoi 5860 euro netti che riceve mensilmente da quando, nel 2006, ha lasciato il Parlamento. Cifra pari a un totale di circa 33 mila euro percepiti a fronte dei 371,736 versati con una differenza di 261.201 euro.
“Sono pronto a restituirli, ma – specifica Occhetto – vi assumete voi la responsabilità del fatto che finirei in povertà. Con questo mantengo anche i miei due figli che sono disoccupati, perché non ho mai approfittato del mio ruolo per trovare loro un posto”. L’ex leader della sinistra difende la legge sul vitalizio che, secondo lui, aveva una sua ratio: “Permetteva ai parlamentari di fare politica senza rubare, senza arricchirsi”. Cambiarla ora sarebbe sbagliato perché “la Costituzione vieta di rendere retroattive le norme. Io adesso come farei? – domanda Occhetto – Quei soldi mi servono per vivere e mantenere i miei familiari. Piuttosto, andate a controllare chi si è arricchito ingiustamente”. E infine l’affondo: “Se le regole fossero state diverse, avrei accantonato dei soldi e mi sarei fatto un’altra pensione. E poi che discorso è? Andando avanti, la differenza aumenterà. Dovrei morire così siete contenti”. E quando la giornalista Elisa Calessi gli fa presente che anche sua moglie Aureliana Alberici percepisce un vitalizio di 3791 euro mensili, Occhetto risponde: “In una famiglia ci sono tante spese e tante situazioni che non potete conoscere. Per cosa volete mettermi alla gogna? È tutto secondo la legge” ma poi precisa: “Se si decide di togliere il vitalizio, sia io, sia mia moglie ci confermeremo a questa decisione”.

“Anche un cane è più intelligente di chi vota Salvini” Toscani, l’ennesimo insulto per difendere i suoi padroni rossi, che lo hanno reso immeritatamente ricco

“Mimmo Lucano lo ospitiamo noi qui a Fabrica, a Treviso. Sarà la Riace d’Italia, una specie di Fort Knox, il centro della resistenza. Venga pure, la dimora gliela diamo noi, una camera e tutto”. Lo dice Oliviero Toscani a La Zanzara su Radio 24 con l’annuncio di voler ospitare in veneto il sindaco Mimmo Lucano che non può abitare nel suo comune per disposizione della magistratura. Ma a Treviso non sono tutti d’accordo, dicono i conduttori: “E’ mio diritto, cazzo. Gli amici miei li invito dove cazzo voglio. Chi sono questi? Davide Visentin? Sto mona può andare a cagare…”.
“L’obbedienza – insiste Toscani – non è una virtù, lo diceva Don Milani. E gli eroi sono quelli che vanno contro le regole. Hanno fatto le leggi razziali e qualcuno ci andò contro. Anch’io farei un matrimonio combinato pur di ospitare qualcuno che non ha il diritto di stare qua, è logico.
Magari alla fine si amano. E quelli che si sposano per amore e poi divorziano, e magari si ammazzano anche? Più neri in Italia vuol dire più cultura. Come in Francia, come in America. Nella Francia che ha vinto i Campionati del mondo, tre quarti erano neri. Abbiamo capito che il mondo ormai funziona quando è così. Più siamo mescolati, meglio è. Solo i cretini non lo capiscono. E questo della Lega, Salvini, si dia da fare per ritrovare i 49 milioni che hanno fatto sparire, invece di rompermi”. Poi sulla questione di Lodi dice: “Mi sento più intelligente di qualsiasi leghista. Anche il mio cane lo è. Quando abbaia ha un’aria più intelligente”.
Poi torna sulle foto della Boschi per Maxim: “Mi sono incazzato perché quelli di destra la volevano nuda. Siete tutti dei finocchiacci strani, dei pervertiti. Le donne devono avere i tacchi, devono essere pitturate, devono avere le robe, il culo fuori…Al Giornale ho detto che a destra sono dei pipparoli, piacciono queste donne un po‘ da travestiti, queste donne che sono super volgari”.
Come lo chiameresti un partito adesso?: “Radical Chic. Radical perché ho sempre votato radicale, e Chic perché vuol dire gusto e stile…”. Hai sentito il Papa sull’aborto? Ha detto che è come affittare un sicario…: “Il Papa e tutti i preti non hanno diritto di parlare su certe cose, non si sposano, non hanno rapporti con l’altro sesso, quindi non hanno diritto di dire certe cose. Sul sicario il Papa ha detto una cosa tremenda, anche lui può dire cazzate.
A parte che io trovo qualsiasi religione una fiction. Tutte. Il supermercato religioso è grande, c’è marketing anche lì, ognuno cerca di vendere il suo Dio”. Hai “avuto” qualche aborto in vita tua?: “Tanti, anch’io sono stato un mandante. Non vorrei dire una squadra di calcio, però…Difficile fare il conto. E per la verità anch’io sono un figlio non voluto, durante la guerra. Mia madre non mi voleva, aveva una certa età. Voleva abortire ma non riuscì a farlo perché c’erano i bombardamenti. Mi ha salvato la Royal Air Force. Anch’io non volevo qualcuno dei miei figli”. Riapre la cripta di Mussolini, sono previste manifestazioni di fascisti a Predappio:
“Sono contrario a proibire queste cose. E poi quelli che vanno in camicia nera alla tomba del Duce sono come quelli del Gay Pride, lo fanno anche lì, fanno delle cagate. Io sono contrario ai Gay Pride, perché devono travestirsi così? Ma perché se sono gay devo passare da baraccone? Come quelli che si vestono di nero e vanno a fare la parata per il Duce. Sono patetici, poveretti, hanno perso tutto, anche culturalmente. E’ come a carnevale, vestiti così. Fanno ridere”.

ULTIM'ORA - F.FAZIO NEI GUAI. L'ANAC BOCCIA IL SUO CONTRATTO CON LA RAI. ADESSO INDAGA LA CORTE DEI CONTI..

Fabio Fazio, Anac boccia il contratto con la Rai: “Elementi di criticità e perplessità su costi-ricavi”. Carte alla Corte dei Conti


L'Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, come anticipato da La Repubblica, boccia l'accordo tra il conduttore e l'azienda pubblica. E gira il dossier ai giudici contabili per valutare quanto emerso nel corso dell'istruttoria. Michele Anzaldi, che presentò l'esposto: "La Corte dei Conti si pronunci presto per evitare che continuino eventuali danni erariali"
Nel contratto di Fabio Fazio si “ravvisano elementi di criticità” e “perplessità sulla giustezza dei costi/ricavi preventivati”. Con questo atto d’accusa l’Anac ha deciso di ‘denunciare’ il caso dello stipendio del conduttore Rai alla Corte dei Conti. La decisione è arrivata al termine di un’istruttoria lunga e complessa riguardo al compenso, alla durata dell’accordo tra il volto di Che tempo che fa e i rapporti con la società di produzione dello stesso Fazio che è anche autore del programma.
L’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, come anticipato da La Repubblica, si è concentrata sull’aumento dello stipendio di Fazio e i quattro anni di durata del contratto nonché sull’affidamento a una società costituita appositamente dal conduttore. Tre elementi che contestati subito da diversi fronti e giustificati dalla Rai con un sicuro ritorno economico per la tv di Stato grazie allo spostamento del programma da Rai Tre a Rai Uno.
Ma proprio su questo, si legge nella delibera dell’Anticorruzione, “evidenziamo perplessità sulla giustezza dei costi/ricavi preventivati”. La prossima settimana la delibera firmata dal capo dell’Anac sarà con ogni probabilità pubblicata sul sito dell’Autorità e potrebbe contenere tutti i dettagli dell’accordo. A giugno, quando scoppiò il caso, si parlò di un compenso attorno ai 3 milioni di euro annui per Fazio, in netta controtendenza rispetto a una contrazione dei cachet elargiti dalla Rai. E in deciso aumento rispetto al precedente compenso di 1,8 milioni.
L’esposto da cui è nato il dossier dell’Anac che ora finirà all’attenzione dei giudici contabili venne firmato dal deputato del Pd Michele Anzaldi e “condiviso” dai parlamentari del M5s che evidenziarono come Fazio fosse, a loro avviso, “il classico comunista con il cuore a sinistra e il portafoglio a destra”. Ora Anzaldi, chiede alla Corte dei Conti “di pronunciarsi prima possibile, in modo da evitare il perdurare di eventuali danni erariali” e al presidente della Vigilanza Rai, Roberto Fico, “che il dossier venga messo a disposizione del Parlamento, che della vicenda si è occupato più volte nei mesi scorsi con audizioni e interrogazioni“.

Fone: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/22/fabio-fazio-anac-boccia-il-contratto-con-la-rai-elementi-di-criticita-e-perplessita-su-costi-ricavi-carte-alla-corte-dei-conti/4243550/
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TERREMOTO NEL PD! Risultano versamenti di Buzzi da 5mila euro alla fondazione di Renzi e da 15 mila al PD

Il capo della cooperativa "29 giugno" intercettato conferma versamenti diretti alla Open di Marco Carrai oltre che per le cene. Il tesoriere: "Restituiti dopo l'arresto"

Per partecipare alla cena con Renzi “ho versato 15mila euro al Pd e 5mila alla Leopolda”. Salvatore Buzzi, sodale di Massimo Carminati nel Mondo di mezzo, fa il conto di quanto gli è costato sedersi a tavola a poca distanza dal premier. Lo dice lui stesso nel corso di una telefonata intercettata due giorni dopo l’evento.
Dalle carte dell’inchiesta Mafia Capitale 2 emerge una nuova verità sulla presenza di Buzzi alla serata di raccolta fondi delPartito democratico organizzata dal segretario Matteo Renzi la sera del 7 novembre 2014 al Salone delle Tre Fontane di Roma: il ras della cooperativa 29 Giugno non ha versato solamente 10mila euro come era emerso lo scorso dicembre dalla prima ondata di arresti nella Capitale. Non solo: oltre ai soldi al Pd spunta un nuovo versamento da 5mila euro effettuato alle casse dellaFondazione Open, la cassaforte personale del premier guidata dal fidato Marco Carrai e dall’avvocato Alberto Bianchi nonché dal ministro delle Riforme e rapporti con il parlamento Maria Elena Boschi e da Luca Lotti, sottosegretario di Stato allaPresidenza del Consiglio dei ministri con delega all’editoria e segretario del comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe).
Nel pomeriggio del 6 novembre Guarany telefona a Buzzidicendogli di chiedere i dettagli della serata a Lionello Cosentino, ultimo segretario del Pd di Roma, commissariato daMatteo Orfini lo scorso dicembre. “Orario della cena e come ci sediamo?”. Buzzi esegue e comunica anche i nomi dei presenti: “Io,Guarany, Nanni (l’allora direttore generale di Ama, la municipalizzataromana per l’ambiente, Giovanni Fiscon, ndr)”. Tutti e tre ora sono in carcere ma quella serata andò benissimo tanto che i tre continuarono a parlarne nei giorni successivi. La mattina dell’8 novembre alle ore 11.14 Buzzi svela a Fiscon di aver fatto due versamenti diversi per poter partecipare alla cena: 15 mila euro al partito e 5 mila a Renzi per la Leopolda.
Oltre ai riscontri bancari dei versamenti gli inquirenti riportano il messaggio inviato a Buzzi il pomeriggio prima della cena dall’onorevole Micaela Campana con gli estremi per il pagamento al Partito democratico: “c/c intestato a Partito democratico presso: Banca Intesa San Paolo Spa Iban IT 47T0306903390680300093335 Causale: Erogazione liberale”. Messaggio che poi Buzzi gira al commercialista Paolo Di Ninno. Una volta ricevuto il messaggio del buon esito dell’operazione il patron delle coop dava “conferma del bonifico appena effettuato” alla stessa Campana.
Quando nel dicembre 2014 dalle carte dell’inchiesta Mafia Capitale emerse che Buzzi aveva versato 10 mila euro al Pd, il tesoriere del partito Francesco Bonifazi si era impegnato a rendere trasparenti i versamenti ricevuti alle due cene di raccolta fondi organizzate a Milano e Roma. Dopo una settimana di insistenze da parte della stampa e di richieste di informazioni, Bonifazi comunicò che la sera del 7 novembre con l’evento nellaCapitale il Pd aveva registrato 840 adesioni, 441 bonifici per un incasso complessivo di 770.300 euro per poi fare marcia indietro sull’annunciato elenco dei benefattori: “Ferma restando l’intenzione del partito di dare massima trasparenza alla cena di finanziamento esistono ostacoli oggettivi legati alla normativa sulla privacy e sulla divulgazione dei dati”. Ora, a distanza di sei mesi e con altri 44 arresti che hanno coinvolto l’intero Pd capitolino e fatto emergere persino una richiesta di soldi diretta a Buzzi per pagare gli stipendi del partito da parte del tesoriere cittadino,Carlo Cotticelli, la necessità di trasparenza appare ancora maggiore.
La legge sulla privacy a tutela di quanti finanziano movimenti efondazioni politiche è spesso usata come paravento per coprire ibenefattori come ha detto lo stesso Renzi nelle settimane successive allo scandalo promettendo un intervento legislativo per attuare una reale trasparenza. Il premier, del resto, conosce bene la materia considerato che dal 2007 a oggi ha avuto due associazioni (Noi Link e Festina Lenta) e due fondazioni (Big Bang e Open) attraverso le quali ha raccolto circa quattro milioni di euro e dei quali solamente si conosce la provenienza di appena il 40%. Ma dei cinquemila euro versati da Buzzi alla Open “ce ne siamo accorti”, afferma Alberto Bianchi, tesoriere della fondazione contattato il 10 giugno dal Fatto. “Mi sono insospettito per quel nome ‘coop 29’ indicato nella voce mittente del bonifico, ma era incompleto”, spiega. “Dopo gli arresti di dicembre però non volevamo lasciare nulla al caso, ovviamente il clamore era enorme e così ho deciso di proporre al cda di restituire quel versamento: nel dubbio meglio agire radicalmente, così poi è stato deciso con unanimità nel corso di un apposito cda”. Noi, aggiunge Bianchi, “siamo da sempre più trasparenti possibile e spesso abbiamo per questo anche perso dei finanziatori”.
Anche Buzzi se ne fa vanto. Lo dice ai pm. “Noi non abbiamo mai finanziato illegalmente la politica, ma tutto legalmente: Rutelli, Veltroni, Alemanno, Marino, Zingaretti, Badaloni, Marrazzo, tutti praticamente, anche Renzi: tutti contributi dichiarati inbilancio”.
d.vecchi@ilfattoquotidiano.it 

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/11/mafia-capitale-da-buzzi-5mila-euro-alla-fondazione-renzi-e-15mila-al-pd/1769751/
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NOMINE RAI: M5S E LEGA PRONTI A NOMINARE DUE MOSTRI SACRI PER I CITTADINI. ECCO CHI SONO..

La voce circolava già da qualche tempo ed era stata in un primo tempo smentita dallo stesso Marco Travaglio, che aveva liquidato il discorso con un editoriale ironico nei confronti del quotidiano Il Giornale che per primo aveva diffuso l’indiscrezione. Eppure, il quotidiano La Stampa torna a riproporla con una certa insistenza, in vista delle prossime nomine che verranno fatte in Rai dopo il 30 giugno. All’attuale direttore de Il Fatto Quotidiano il nuovo esecutivo M5S-Lega affiderebbe volentieri il ruolo di direttore del TG1, attualmente ricoperto da Andrea Montanari. È solo uno dei tanti tasselli previsti dalla partita sulle nominen per sostituire gli attuali vertici della Rai.


Travaglio TG1 e Milena Gabanelli come presidente Rai

Oltre ai direttori dei vari telegiornali, infatti, in discussione sono anche il presidente della Rai (attualmente Monica Maggiorni) e il direttore generale(attualmente Mario Orfeo). Per la prima casella sarebbe gradita al Movimento 5 Stelle Milena Gabanelli. L’ex conduttrice di Report, attuale responsabile della sezione DataRoom del Corriere della Sera, potrebbe tornare clamorosamente all’ombra del cavallo di viale Mazzini. Le sue ultime dichiarazioni in questo senso sono piuttosto sibilline: «Io di nuovo in Rai? Mai dire mai» – ha detto la Gabanelli.

Travaglio TG1, le altre possibili nomine

Come dg, invece, il confronto sarebbe tutto interno al Corriere della Sera, tra i due editorialisti Massimo Franco e Ferruccio De Bortoli, che del quotidiano di via Solferino è stato a lungo direttore. In ogni caso, Mario Orfeo (per lui, con ogni probabilità, si libererà la casella di direttore della Gazzetta dello Sport) presenterà prima i palinsesti (il prossimo 27 giugno), con tanto di conduzione del prossimo Festival di Sanremo affidata nuovamente a Claudio Baglioni, e il bilancio in attivo della Rai.
Più complesso il discorso relativo ai consiglieri di amministrazione. Due vengono nominati dal presidente del Consiglio su suggerimento del ministro dell’Economia Giovanni Tria, un altro con elezione interna (il suo è l’unico nome sicuro, Gianluca de Matteis Tortora), altri quattro da Camera e Senato. Per queste poltrone sono arrivate già diverse candidature, tra cui quelle dei giornalisti Giovanni Minoli e Michele Santoro. Per quanto riguarda la vigilanza, invece (ruolo che il Parlamento affida solitamente alle opposizioni), potrebbe tornare in auge il nome di Maurizio Gasparri. Per ora sono soltanto rumors, ma i nomi saranno scritti nero su bianco tra meno di un mese.

Per non dimenticare: quel servizio delle Iene sugli scontrini di Renzi che non poterono MAI mandare in onda

Siamo nel 2015. Il servizio era già pronto. Tagliato, confezionato e approvato per la messa in onda lunedì 23 novembre. Poi il dietrofront: Mediaset decide che non deve andare. E così sparisce anche il post che sulla pagina ufficiale delle Iene aveva annunciato nuove rivelazioni sugli scontrini di Matteo Renzi. “Anteprima del servizio ‘Gli scontrini di Renzi #escili’ di Iena Dino – Dino Giarrusso in onda questa sera #LeIene“, si leggeva online. Oggi, cliccando su quel post, il risultato è una pagina vuota in cui si legge: “Spiacenti, questo contenuto non è al momento disponibile”. Sulla vicenda degli scontrini di Renzi sindaco (2009-2014) oggi si è pronunciata la Corte dei Conti, che ha archiviato l’inchiesta. Stesso destino anche per quella che riguardava le spese quando era presidente della Provincia (2004-2009).

La mancata messa in onda è stata rilanciata anche da diversi utenti su Twitter, specie dopo l’intervento – riportato anche da Dagospia– di Giuseppe Cruciani, conduttore de la Zanzara su Radio 24Perché ieri sera non è andato in onda il servizio delle Iene di Dino Giarrusso sugli scontrini di Renzi quando era sindaco e presidente della Provincia? – ha detto durante la trasmissione del 24 novembre – Sul sito Facebook del programma era uscita persino un’anteprima di trenta secondi in cui si annunciavano nuove rivelazioni imbarazzanti per il premier. E il pezzo era regolarmente in scaletta. Cosa è successo?”. E prosegue ancora: “E’ intervenuta una manina dall’alto o l’ufficio legale Mediaset ha bloccato tutto per fare ulteriori verifiche? Nel servizio si parlava di una cena familiare di Renzi al ristorante da Lino interamente rimborsata dalla Provincia, con tanto di fattura”.
Cruciani, si legge sul sito di Radio 24, rivela anche il contenuto del servizio: “La iena aveva scoperto – ho poi saputo da altre fonti – che Renzi si sarebbe fatto pagare dalla provincia di Firenze una cena familiare da 80 euro, con la moglie che era incinta della terza figlia (nata nel 2006, ndr). Hanno pure scoperto che la scusa ridicola del sindaco Nardella di non rendere trasparente le spese di Renzi al comune – c’è un’inchiesta della Corte dei Conti – non regge da un punto di vista legislativo”.

In nero nella ditta di papà? Quelle inchieste che nessuno ha mai fatto su Renzi ed i suoi finti contributi pagati dagli italiani

Marco Lillo – Il Fatto Quotidiano 30.11.2018
Il tabulato a fianco è l’estratto degli attivi dell’Inps. Il documento certifica i “montanti contributivi” di Matteo Renzi anno per anno con accanto i giorni lavorati, il tipo di contratto e i contributi versati dalle aziende e dagli enti che hanno avuto rapporti con l’ex leader Pd. Il tabulato risale al marzo 2015 e a leggerlo si scopre che Renzi ha un’invidiabile anzianità contributiva. Il Fatto ha raccontato più volte come è riuscito a crearla: alla vigilia della candidatura da parte del Pds e della Margherita a presidente della Provincia fu assunto dalla società della mamma. La Chil Srl lo aveva tenuto fino ad allora come collaboratore coordinato e continuativo, come tanti.
Non solo: Matteo era socio al 40 per cento (la sorella Benedetta aveva il 60) della Chil. Proprio quando sta impegnandosi in una campagna elettorale a rischio quasi zero, però la famiglia ha un guizzo: a ottobre 2003 Matteo cede le quote alla mamma e poi la Chil (non più di Matteo) assume Matteo, unico dirigente. Per 7 mesi lo stipendio lo paga la Chil ma quei 30 mila euro sono un grande investimento per la famiglia. Dopo l’elezione ad aprile 2004 infatti non è più la famiglia a pagare i contributi ma l’ente Provincia. La stessa cosa si ripeterà nel 2009.
Chil lo paga come dipendente solo per tre giorni. Poi, dopo l’elezione, da fine giugno a pagare i contributi è sempre l’ente pubblico, cioé stavolta il Comune.
A noi queste sembravano le notizie presenti in questo tabulato e le abbiamo pubblicate allora. Se oggi lo ripubblichiamo è solo per aiutare i colleghi dei grandi quotidiani e delle televisioni. In questi giorni si sono scatenati alla ricerca dei contributi versati a Luigi Di Maio dieci anni fa quando il figlio dava una mano nei cantieri dell’impresa della mamma. Di Maio ha pubblicato i suoi documenti sul Blog M5S. Matteo Renzi non lo ha mai fatto e allora abbiamo deciso di farlo noi, sempre per aiutare i colleghi.
A leggere il tabulato certamente i grandi quotidiani si avventeranno su una notizia che a noi sembra inesistente ma che a loro appare evidentemente uno scoop: Matteo ha dato una mano nella società a babbo e mamma Laura senza che all’INPS risultasse nulla nel 1998. Lo racconta al Fatto un ex co.co.co della Chil. Matteo Renzi – secondo la nostra fonte – andava con il furgone a portare i giornali agli strilloni che dovevano vendere le copie della Nazione agli eventi.
Il 3 gennaio 1998, per esempio, Matteo è andato ad Assisi a portare i giornali nella giornata in cui Papa Giovanni Paolo II andò a portare solidarietà ai terremotati. Ebbene, secondo i canoni rigidi in voga oggi, dovremmo chiedere conto all’amministratrice, cioé a mamma Laura, perché i primi versamenti all’INPS risultino solo nel 1999. Quell’anno risulta infatti una retribuzione a Matteo di 6 mila e 800 euro. Nel 2000 lo stipendio da co.co.co. sale a 10 mila. Il Fatto da tre anni sa di questa discrasia ma non ne ha mai scritto. Semplicemente perché non ci sembra una grande notizia che Matteo lavorasse per Tiziano come un figlio che aiuta il babbo senza contratto. Ora però i grandi quotidiani potranno scatenarsi a fare domande simili a quelle poste a Di Maio. Certamente Matteo metterà on line i contributi versati all’Inps nel 1998 come ha fatto Di Maio. Noi non lo abbiamo mai chiesto. Mentre ci piacerebbe tanto che Matteo pubblicasse il bonifico con la cifra esatta del Tfr da lui incassato quando si è dimesso finalmente dalla Chil, nel 2014, dopo essere stato nominato premier. Il Tfr è per noi il frutto del giochino dell’assunzione da parte della Chil nel 2003. E questa ci sembra una notizia.

giovedì 29 novembre 2018

“TRA LUI E SALVINI? SALVINI TUTTA LA VITA” Travaglio senza peli sulla lingua, così ammazza sul nascere il burattino che la sinistra considera il vero leader in Europa

Vien quasi voglia di stare con Matteo Salvini, parola di Marco Travaglio. A convincere il direttore del Fatto quotidiano è la spocchia immotivata di Emmanuel Macron, che in questi giorni si sta ergendo ad anti-salviniano e baluardo della democrazia in Europa. “Col risultato di instillare in tutti gli italiani, anche nei più anti-salviniani, una domanda angosciante: ma siamo proprio sicuri di voler essere salvati da Macron?”, chiede ironicamente Travaglio nel suo editoriale”.
Macron, cioè il “gattopardo parigino creato nei caveau di banca Rotschild per fingere di cambiare tutto lasciando tutto com’era”, il “finto buonista che ci dà lezioni di accoglienza e poi fa massacrare i migranti alle frontiere di Ventimiglia e Bardonecchia, donne incinte comprese”. Risposta: no, grazie. E con lui a casa anche i maldestri imitatori italiani del presidente francese, da Matteo Renzi a Carlo Calenda, dai veri renziani del Pd fino a Giorgio Napolitano, l’ex presidente che vedeva nel leader di En Marche la risposta europea ai sovranisti in ascesa. “Dopo un anno – conclude Travaglio caustico -, già sta sulle palle a quasi tutti. Una picchiata persino più repentina di quella di Renzi, che almeno, per guadagnare tante antipatie, di anni ne ha impiegati quattro”.

NOTIZIA CENSURATA DA TUTTI MA CONTE HA OTTENUTO UNA VITTORIA STRAORDINARIA PER GLI ITALIANI

“La visita di Giuseppe Conte a Washington, a soli due mesi dall’insediamento del nuovo governo, è stata un successo.”
Lo scrivono i 5Stelle sul proprio blog ufficiale.
“Il presidente del Consiglio – spiegano i pentastellati – ha ottenuto da Donald Trump un pieno riconoscimento per il nostro Paese che torna ad essere protagonista a livello internazionale, recupera centralità nel Mediterraneo e capacità di attrarre investimenti”.
Il M5S elenca quindi i 4 risultati ottenuti da Giuseppe Conte nella sua visita a Washington:
1. “Nasce, con l’ok dell’amministrazione americana, una cabina di regia permanente “Italia-Usa” per il Mediterraneo allargato. Questo significa che il nostro Paese diventa l’interlocutore privilegiato degli Stati Uniti in Europa per tutte le più importanti sfide da affrontare, dalla lotta al terrorismo alla gestione dell’immigrazione illegale fino alla complessa partita della stabilizzazione della Libia”.

2. “Il sostegno del Presidente americano alla Conferenza internazionale sulla Libia che il nostro Paese sta organizzando proprio in Italia nel prossimo autunno, con l’obiettivo di coinvolgere tutti i principali protagonisti del processo di stabilizzazione del paese nord africano”.

3. “Il nuovo approccio italiano al fenomeno dell’immigrazione illegale viene indicato da Trump come modello per gli altri leader europei”.

4. “L’appello del Presidente della prima potenza economica mondiale agli investitori: “Vi consiglio di investire in Italia, nazione grandiosa con gente grandiosa”. Questo significa che Trump condivide la politica economica che il nostro governo sta realizzando per rilanciare la crescita e l’occupazione. Un percorso che abbiamo avviato con il decreto dignità e che proseguirà con la riforma fiscale e il reddito di cittadinanza”.

“Tutto ciò rappresenta un riconoscimento importantissimo del cambiamento che abbiamo messo in moto in appena due mesi di governo, risultato che qualche giornale ha provato a mettere in ombra ma inutilmente,” commentano i 5Stelle, secondo i quali “i risultati sono sotto gli occhi di tutti”.

Così L’Espresso di De Benedetti insulta e infama 60 milioni di italiani nella copertina del numero in edicola: vergognosi!



Questa è la copertina del settimanale che è uscita domenica 5 Agosto. Saremmo tutti del Ku Klux Kan (bimbi compresi). Ci starebbe bene una class action collettiva per diffamazione a mezzo stampa di un intero paese.
Ricordiamo che questo raccoglitore di carta igienica è edito dal signor De benedetti, un delinquente patentato prestato all’imprenditoria, tessera numero 1 del PD ed è diretto da Marco Damilano, il sedicente giornalista prezzemolino che trascorre le giornate in tv a farci predicozzi e pistolotti buonisti.

Colpo grosso della nuova Rai, torna Milena Gabanelli, fatta fuori dalla feccia rossa agli ordini di Renzi

Su Dagospia, un flash scrive che Milena Gabanelli sarebbe pronta a lasciare il Corriere della sera per tornare in Rai. L’ex conduttrice e ideatrice di Report aveva lasciato Viale Mazzini a causa del naufragio del suo progetto di rinnovare e ripotenziare Rai News, sito e canale.

Allora era migrata al gruppo Cairo con una rubrica di inchieste sul sito del Corriere e una partecipazione al tg di Enrico Mentana. Ma evidentemente, con l’arrivo dei nuovi vertici della Rai, qualcosa si muove. In effetti quel Data Roomera uno spazietto un po’ misero per una giornalista del calibro di Milena.

Opere false spacciate per autentiche, Sgarbi indagato per associazione a delinquere

Opere d’arte false, ma fatte passare per autentiche. È lo scandalo che ruota attorno alla fondazione Archivio Gino De Dominicis, di Roma, che ha portato a quattro misure cautelari e a 23 iscrizioni sul registro degli indagati. Sotto inchiesta, anche Vittorio Sgarbi, presidente della fondazione. Le contestazioni, a seconda delle posizioni, sono di associazione per delinquere, contraffazione di opere d’arte e ricettazione.
Nel corso delle attività di perquisizione, su richiesta della pm Laura Condemi, sono state sequestrate 250 opere contraffatte, alcune già acquistate da collezionisti e altre ancora da vendere, per un controvalore di 30 milioni di euro. I carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale hanno eseguito quattro misure cautelari. Due persone sono state arrestate ai domiciliari, mentre per altre due è stato disposto il divieto temporaneo di esercizio dall’attività professionale.
Il vicepresidente della Fondazione e il presunto falsario sono ai domiciliari. La misura interdittiva, invece, è scattata per due galleristi che, per l’accusa, farebbero parte dell’associazione a delinquere.

71 miliardi di tasse evase in 5 anni (avete letto bene!): lo scandalo delle multinazionali scoperchiato da Mediobanca. Così si arricchiscono e ci impartiscono lezioni le big dell’illegalità

FUORI I SOLDI! – IN 5 ANNI I GRANDI GRUPPI DELLA TECNOLOGIA HANNO ELUSO 71 MILIARDI DI TASSE GRAZIE A DOMICILI IN PAESI A FISCALITÀ PARACULA – IN ITALIA NEL 2017 IL LORO FATTURATO È STATO DI 1,8 MILIARDI E SAPETE QUANTO HANNO SGANCIATO IN TASSE? 60 MILIONI, OVVERO LE BRICIOLE…

(ANSA) – In 5 anni le ‘big tech’ hanno eluso 71 miliardi di tasse grazie a domicili in paesi a fiscalità agevolata. I giganti del web e del software dal 2013 hanno ‘risparmiato’ oltre 48 miliardi, mentre i ricavi sono cresciuti del 123% a 626 miliardi; Apple, che però genera la maggior parte dei suo fatturato in hardware, ha ‘risparmiato’ 23 miliardi. Lo dice l’analisi sulle multinazionali dell’Area studi Mediobanca. In Italia nel 2017 il fatturato delle WebSoft è stato di 1,8 miliardi, le tasse 60 milioni.

QUANDO MATTARELLA CHIEDERA’ LE DIMISSIONI DI CONTE: l’incredibile retroscena sulle mosse infami del Quirinale

Ma che cosa c’è dietro l’improvvisa svolta di Paolo Savona, il teorico dell’uscita dall’euro che, nel giro di pochi giorni, ha bocciato la manovra affermando che deve essere interamente riscritta? Una versione dei fatti la offre Dagospia. Si torna ancora all’incontro a Francoforte con Mario Draghi, la scorsa estate. Ricorda Dago: “In quell’occasione chiese in modo diretto al presidente della Bce di allungare il Quantitative Easing fino alla fine del suo mandato, nell’autunno 2019, per ‘coprire’ con il suo ombrello le prime misure del governo appena nato. Draghi gli oppose un netto rifiuto: proprio perché in scadenza, non vuole essere ricordato per un ultima mossa smaccatamente pro-italiana”.

Una presa di posizione, quella di Draghi, che Savona riferì a Matteo Salvini. Il messaggio riportato dall’attuale ministro agli Affari europei era chiaro: “Senza la copertura della Bce l’Italia poteva solo andare a sbattere contro il muro della Commissione”. Ma in tempi più recenti, prosegue Dago, Savona ha rimproverato a Giovanni Tria “di aver completamente toppato la strategia negoziale con l’UE. I punti della manovra andavano affrontati in via confidenziale prima di presentarla, Reddito di Cittadinanza e Legge Fornero andavano posticipati e la spinta più forte (questo Savona lo ha sempre detto) bisognava darla sul lato degli investimenti”. Questa, dunque, la ragione che lo avrebbe spinto a voltare di fatto le spalle al governo.
Resta da capire cosa accadrà, adesso. Secondo Dago, “la trattativa sui conti italiani andrà avanti fino a fine anno e si chiuderà ad inizio 2019, con la mediazione della Merkel, realisticamente con un deficit intorno al 2,1%, abbastanza alto da non umiliare il governo ma ovviamente più basso per mostrare agli altri paesi europei che ancora una volta i paesi riottosi vengono riportati a cuccia“. Una mediazione che, però, potrebbe non andare a buon fine, e i toni decisi del governo italiano lo dimostrano. A quel punto, l’Italia dovrà fronteggiare a gennaio una procedura d’infrazione e, soprattutto, uno spread alle stelle. Sempre secondo Dagospia, a quel punto, Sergio Mattarella potrebbe chiedere un passo indietro a Giuseppe Conte: difficile, a quel punto, che il premier possa continuare senza la fiducia del Quirinale. Mistero su chi vorrebbe Mattarella a Palazzo Chigi, anche se tra le righe, Dago, lascia intendere che potrebbe trattarsi proprio di Mario Draghi.

mercoledì 28 novembre 2018

9203 EURO AL MESE DI INVALIDITA?! L’ULTIMA CLAMOROSA SCOPERTA DI MARIO GIORDANO: ECCO I PAPERONI DELLA “DISABILITA”, ALLA FACCIA DI CHI HA REALMENTE BISOGNO

Può esistere una pensione d’invalidità da 9mila euro al mese? Ebbene sì. Per l’esattezza 9.203 euro al mese. In un paesino del Nord dell’Italia c’è una signora che incassa ogni mese 9.203 euro al mese come pensione di invalidità. E non è l’unica. Anche se nessuno ne parla, sono oltre 600 in Italia i disabili che, nella sfortuna della loro disabilità, possono per lo meno contare su un’entrata mensile da super-Paperoni: dai 7.698 ai 13.980 euro al mese. Non poco, soprattutto se si considera che in Italia la pensione d’invalidità media non supera gli 825 euro al mese. Dieci volte di meno.


Sia chiaro: non possiamo parlare di fortunati né di privilegiati, dal momento che sempre di gravi disabili si tratta. Però qualche sospetto viene. E, mentre si discute tanto di pensioni e possibili riforme, forse conviene sollevarlo. I vitalizi d’oro dell’invalidità sono infatti una piccola e piuttosto sconosciuta oasi di ricchezza, in un mondo previdenziale che costringe i più a tirare la cinghia. Si tratta di assegni pagati non dall’Inps ma direttamente dal Tesoro. E i beneficiari sono le vittime di guerra(invalidi, perseguitati, ex deportati) o i loro congiunti e figli. Fra le vittime di guerra sono annoverati pure coloro che, in qualsiasi epoca, anche oggi, rimangono colpiti da un residuato bellico: la nostra signora da 9.203 euro al mese, per esempio, fu ferita da un ordigno dimenticato in un campo quando aveva 11 anni. Era il 1953. Da allora percepisce la pensione d’oro.
Tutto regolare? Ovviamente sì. Del resto tutte le cose più strane del nostro sistema previdenziale, comprese le pensioni da 90mila euro al mese, sono perfettamente regolari. Ma non per questo sono necessariamente giuste. Il primo dubbio, per esempio, è come mai nel nostro Paese possa esistere questa differenza: perché, cioè, ci sono alcuni invalidi che non riescono ad arrivare a fine mese e altri invalidi che invece possono contare su assegni da Paperone. Questi ultimi, fra l’altro, godono di uno status speciale, perché, ai fini fiscali, le loro pensioni è come se non esistessero. Non determinano il reddito, non fanno cumulo, non entrano nel modulo Isee per la gratuità delle prestazioni sociali. Come mai? Cioè: come mai esiste una “lista magica” di pensioni d’invalidità gestita direttamente dal Tesoro? E come mai queste pensioni sono così elevate e invisibili al resto del mondo?
La spiegazione ufficiale è che le pensioni delle vittime di guerra (affini&congiunti compresi) hanno una «particolarissima natura» che «rende impossibile ogni paragone con trattamenti di diverso tipo». Dal punto di vista formale, infatti, esse non hanno natura assistenziale né previdenziale, ma risarcitoria: sono cioè una specie di rimborso che lo Stato concede per il danno causato. La nostra signora del Nord Italia, per dire, viene risarcita perché in quel lontano 1953 è incappata in un residuato bellico. Se fosse incappata in qualsiasi altro ordigno e/o marchingegno non avrebbe avuto diritto allo stesso trattamento. Legalmente ineccepibile, si capisce. Ma qualche dubbio resta.
Da qualche tempo, per dire, seguo la storia di Gianmichele Gangale, un giovane di Agliana (Pistoia) rimasto completamente paralizzato dopo un tentativo di rapina in casa da parte di una banda di albanesi. L’hanno massacrato a coltellate e lui ora è costretto su una sedia a rotelle, il corpo interamente bloccato, muove soltanto la testa e ha bisogno di assistenza 24 ore su 24, perché da solo non riesce nemmeno a bere un bicchiere d’acqua. Ebbene: Gianmichele prende 800 euro di pensione. E non sa come tirare avanti. Perché a chi rimane vittima di un reato come questo lo Stato non riconosce un risarcimento, e invece la signora del Nord Italia viene risarcita a suon di 9.203 euro al mese?
Il secondo dubbio è che, quando ci sono occasioni di questo tipo, si rischia sempre l’infiltrazione di furbi. Vale a dire: siamo sicuri che tutte le 600 pensioni d’oro siano pagate a chi ne ha davvero diritto? Come si fanno a escludere truffe? Con tutti quelli che fanno carte false per avere una pensione d’invalidità da poche centinaia di euro, un assegno così ghiotto non attirerà ancor più furbetti? «Ci sono controlli severissimi», garantisce Giuseppe Castronovo, presidente dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, cieco dall’età di 9 anni e perciò percettore di una pensione da 8mila euro al mese. Ma poi aggiunge: «Però che cosa vuole: siamo in Italia…».
Già siamo in Italia. Stando alle carte e a quel che dice l’Associazione Vittime Civili di Guerra (che per altro, come associazione, prende anche una mancetta di 33mila euro dallo Stato), i 600 che incassano pensioni d’oro hanno tutti disabilità gravissime, che li rendono inadeguati a qualsiasi attività. Ci crediamo. Ma la nostra signora da 9.203 euro al mese, nonostante la disabilità gravissima è riuscita a lavorare regolarmente in un’azienda agricola, tanto da maturare con i suoi contributi una mini-pensione che va ad aggiungersi al maxi-vitalizio. Somma algebrica, ovviamente: non scatta nessuna decurtazione perché, come detto, gli invalidi nella gold list pensionistica del Tesoro godono di uno status particolare, e i loro assegni è come se non esistessero. Però, in questo caso, si sfiora la beffa. Siccome la signora, infatti, pur lavorando per anni, non ha versato contributi sufficienti per raggiungere la minima, l’Inps la omaggia di un’integrazione mensile, ovviamente con i quattrini degli italiani, pari a 189 euro al mese. E qui la domanda è inevitabile: con tutti gli invalidi che non sanno come arrivare a fine mese, è proprio necessario regalare altri soldi a chi dal 1953 prende una pensione da 9.203 euro al mese?

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