domenica 2 luglio 2017

ALLARME MONTEPASCHI! QUESTO MINISTRO VUOLE INSABBIARE I NOMI DEI LADRI VIP CHE L’HANNO RIDOTTA SUL LASTRICO!

«Sbagliato pubblicare la lista nera dei grandi debitori». Così il governo, non più per bocca del vecchio Padoan, ma del giovane Calenda ha detto: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto; e chi non ha avuto, peggio per lui. Nessun nome dei bidonisti eccellenti che hanno contribuito in modo orripilante a gonfiare la montagna di crediti spazzatura del Monte dei Paschi di Siena. In tutto 47 miliardi di prestiti finiti in fondo ad un buco nero, peraltro popolato di giganteschi pescecani.
Ha dato persino una spiegazione morale, il ministro Calenda, durante l’intervista a Gianni Minoli, ieri sera su La7: «Il principio è che l’imprenditore chiede i soldi ed è responsabilità della banca vedere se il business plan è buono o no. È strano spostare l’onere su chi chiede i soldi. Se ci sono state connivenze invece vanno pubblicate e dichiarate».
Una sorta di garantismo applicato però esclusivamente a portafogli giganteschi. Come abbiamo documentato ieri in prima pagina, contro i crediti di basso profilo non si bada ad evitare sputtanamenti: le case sono messe all’asta, non si bada troppo per il sottile, si fanno azioni aggressive presso giudici in modo spietato. C’è gente che per la congiuntura davvero disastrosa di questi anni, si è trovata prosciugata di ogni avere causa garanzie e fidejussioni.
TESSERA N°1
Non solo Libero (che ha anticipato tutti), ma il giornale dei padroni, Il Sole-24ore ha fatto l’elenco, non ufficiale ovviamente, ma frutto di banale e corretta lettura di bilanci: «Tra i protagonisti di spicco più emblematici figura sicuramente la famiglia De Benedetti e la sua Sorgenia. Emblematica per dimensioni e per quel ruolo innaturale che ha svolto Mps».
Scrive Il Sole, non noi, che «chissà come» la banca ha sganciato seicento e passa milioni. Dopo di che «i De Benedetti capita l’antifona della crisi irreversibili non si sono resi disponibili»: insomma se la sono data a gambe, lasciando oneri a Mps, che ora si scopre siamo noi tutti a dover ripianare.
Scemi o conniventi i banchieri, probabilmente. Ma perché il governo si rifiuta di mettere in lista la ditta conclamata bidonista? Non sarà mica perché la famiglia De Benedetti è molto potente e il suo capostipite passa per la tessera numero 1 del Pd? Non sarà il caso di capire se proprio da questo bel partito non siano arrivate ai capi della loro banca storicamente di riferimento telefonatine di un certo tipo?
Garantismo? Ok. Potremmo metterci d’accordo e chiamarla non «black list», o «elenco bidonisti», ma – come direbbe Padoan – «catalogo degli sfortunati», così non si offende nessuno e si salvaguarda il decoro degli sfigati, che poi sentendo l’odore di guai se la sono data. Non è un caso che a esporsi sia stato il ministro Carlo Calenda. Passa per un gran figo di 43 anni. Un decisionista. Non è stato eletto da nessuno, anche se ci aveva provato.
LA SOSTITUZIONE
Candidato con Mario Monti, è stato trombato, e in Italia non essere scelti dal popolo è una garanzia per i poteri furbi. È stato così collocato alla testa dello Sviluppo economico al posto della Federica Guidi, cacciata per non essere colpevole di niente, ma purgata dal governo, dove ha funto da confetto Falqui la pubblicazione di una telefonata privatissima con il fidanzato in cui diceva di preferire non «essere trattata come una sguattera del Guatemala».
Lì Calenda non è stato molto garantista, non si ricordano interviste in cui ha difeso la privacy della sua superiora, ma ci sbagliamo senz’altro. Di certo, non subito, perché sarebbe stata una pistola fumante, ma l’ha sostituita volentieri dopo congruo distacco a Bruxelles come ambasciatore.
INTERESSI FORTI
Se a parti invertite un ministro uomo avesse chiesto alla morosa che gli chiedeva favori di non voler essere trattato come un «mobiliere di Cantù», non sarebbe successo niente, e avrebbero detto che è molto spiritoso. Ma la Guidi è donna.
Così è arrivato Calenda, assai bravo a farsi voler bene anche al centro e a destra. Non nel senso della destra da ceto medio, ma di quella che tiene el dinero e si fa largo a meritori colpi di grana, ovvio. Infatti si è schierato subito a difesa di Mediaset contro l’«opaco» attacco dei francesi a una ditta italiana. Parbleu. Quando sentiamo parlare di difesa dell’Italia a proposito di grandi affari ci viene la sindrome di Goebbels che sentendo parlare di cultura voleva mettere mano alla pistola: non ci crediamo. Ci ricordiamo ancora dell’Alfa Romeo regalata alla Fiat da Prodi, invece che venduta come argenteria alla Ford.
Questo governo preferisce avere l’appoggio di Repubblica-Espresso, e per altri versi di Mediaset (Berlusconi non cedere, resisti a Vivendì e a Gentilonì), non grazie a provvedimenti giusti e con una richiesta di sacrifici onesta. No. Lo fa con una incredibile rivendicazione di garantismo che equivale a una proclamazione del diritto alla disuguaglianza.
Gli italiani ci mettono 8 miliardi. Chi si è preso i soldi, lascia i debiti e si tiene lo yacht e gli appartamenti in Svizzera.
di Renato Farina

1 commento:

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.