Marco Travaglio. Molto fetore per nulla
Ieri i lettori dei principali quotidiani, praticamente a edicole unificate, hanno appreso che Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e candidato premier del M5S, è un volgare e seriale mentitore. E non su un dettaglio trascurabile: su Raffaele Marra, il dirigente del Campidoglio arrestato a dicembre per corruzione. Di Maio aveva sempre dichiarato (l’ultima volta domenica a In mezz’ora) di aver chiesto a Virginia Raggi di allontanarlo da vicecapo di gabinetto, mentre - scrivono i giornaloni - ne era addirittura il “garante”.
Corriere della sera: “E Di Maio scrisse alla sindaca: Marra servitore dello Stato. In tv aveva detto: volevo cacciarlo”.
La Repubblica: M5S, le chat che smentiscono Di Maio. Scrisse a Raggi: ‘Marra è uno dei miei’”, “Di Maio garante di Marra, la prova è nelle chat: ‘Lui è uno dei miei, un servitore dello Stato. Smentita la ricostruzione in tv. Di Maio ha mentito su due circostanze che Repubblica è in grado di documentare. Non è vero che lo incontrò il 6 luglio alla Camera ‘per cacciarlo’. Non è vero che fu l’ostinazione della sindaca a impedirne l’allontanamento”.
Il Messaggero: “Di Maio rassicurò la Raggi: Marra servitore dello Stato. Spunta un sms al sindaco per la riconferma del fedelissimo. Aveva detto: ‘Volevo cacciarlo’”.
Segue il solito bombardamento da destra, centro e sinistra contro il grillino bugiardo.
Diciamo subito come va a finire questa ennesima, tristissima storia di disinformatija all’italiana: Di Maio ha detto la verità, mentre Corriere, Repubblica e Messaggero hanno mentito. C’è da sperare che gli autori degli articoli-fotocopia siano stati tratti in inganno da una fonte inquinata, che ha passato loro solo i frammenti delle chat che servivano a screditare Di Maio, tagliando i messaggi che lo scagionavano. In ogni caso, per scoprire la verità, bastava una telefonata all’interessato, come si fa prima di lanciare accuse così gravi su una materia tanto scivolosa quanto irrilevante sul piano penale, morale e politico: le comunicazioni interne a un partito sulla nomina di un dirigente comunale. L’unico motivo d’interesse per ciò che si dissero Di Maio, Raggi e Marra sarebbe appunto la bugia: ma c’erano già i fatti, prim’ancora delle chat, a dimostrare l’infondatezza del falso scoop. Questi: il 6 luglio, quando incontrò Di Maio per replicare alle accuse e ai sospetti lanciati dagli avversari interni della Raggi e dalla grande stampa, Marra non era indagato (l’accusa di corruzione si seppe solo a metà dicembre, quando la Procura lo arrestò in un’indagine aperta in novembre). Marra gli disse: “Se non riesco a convincerla, mi dimetto”.
Di Maio lo ascoltò, poi chiese alla Raggi di spostarlo da un ruolo politico (membro del gabinetto del sindaco) a uno più tecnico. Non per motivi penali (all’epoca inesistenti), ma di opportunità (troppo compromesso con le giunte passate e troppo padrone della macchina comunale, col rischio che fosse lui a guidare il M5S in Campidoglio e non a esserne guidato).
Il 10 agosto Marra lamenta con la Raggi la persistente ostilità di parte del M5S: l’incontro con Di Maio non è servito a nulla. La Raggi, in attesa di trasferirlo – come chiesto da Grillo e Di Maio – in un ruolo più neutro, quello del Personale, lo tranquillizza girandogli un sms di Di Maio. Che, a leggere i giornaloni, suona così: “Quanto alle ragioni di Marra, lui non si senta umiliato. È un servitore dello Stato. Sui miei, il Movimento fa accertamenti ogni mese. L’importante è non trovare nulla”.
Che Marra sia un servitore dello Stato, lo dice la sua biografia: ufficiale della Gdf, dirigente al Comune, alla Regione, all’Unire e alla Rai. Eppure l’espressione desta scandalo, fino a diventare la prova che Di Maio era il suo “garante”. Repubblica addirittura traduce quel “sui miei il Movimento fa accertamenti ogni mese” con “Lui è uno dei miei”. Ma lo capisce anche un bambino quel che sta dicendo Di Maio: se il M5S fa le pulci ai suoi, Marra – fedelissimo della Raggi - non deve sentirsi umiliato se le fanno pure a lui.
Ma, oltre alle false deduzione, c’è di più e di peggio: la manipolazione dei messaggi di Di Maio alla Raggi. Un taglia e cuci che si spera sia opera della fonte avvelenata, e non dei giornalisti che se la sono bevuta senza verificarla. Basta leggerli completi, i messaggi, per capire che Di Maio sta dicendo in privato ciò che ha sempre detto in pubblico.
Di Maio a Raggi: “Pignatone cosa ti ha detto dopo che gli hai inoltrato il suo nominativo (di Marra, ndr)? In ogni caso nella riunione con me, Marra non mi ha mai chiesto se andare in aspettativa o meno. Semplicemente mi ha raccontato i fatti. Io l’ho ascoltato. Perché tu me lo avevi chiesto. Sono rimasto a tua disposizione non sua. E penso che nel gabinetto non possa stare, perché ci eravamo accordati così”.
Raggi a Di Maio: “Pignatone mi risponderà quanto prima…”.
Di Maio a Raggi: “Quanto alle ragioni di Marra. Aspettiamo Pignatone. Poi insieme allo staff decidete/ decidiamo. Lui non si senta umiliato. È un servitore dello Stato. Sui miei il Movimento fa accertamenti ogni mese. L’importante è non trovare nulla”. Traduzione: Di Maio voleva Marra fuori dal gabinetto della sindaca e si informava sulle verifiche della Raggi in Procura sull’illibatezza penale dei suoi.
Risultato: chi era partito per suonare è finito suonato, come i pifferi di montagna. Perché alla fine della storiaccia resta un solo dato: i pasticcioni a 5Stelle, quando fanno una nomina, non si accontentano della fedina penale pulita del candidato, ma vogliono pure esser sicuri che non sia indagato. Il che, vedi il successivo arresto di Marra, non li mette al riparo dai guai. Ma, nel Paese dove il governo conferma un ministro e quattro sottosegretari indagati o imputati, è già qualcosa.
FQ 15.2.2017
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