Dalle parti del Colle sono convinti che abbia ragione la più aggiornata ricerca sull’origine e natura dell’universo: a far la differenza sono le increspature. Tutti pensano al grande botto (Big Bang), taluni si concentrano sui fruscii. Che al governo considerano minacciosi scricchiolii.
Uno dei fruscii viene dal colle del Quirinale, che non ospita solo l’omonima residenza del presidente della Repubblica, ma anche la Corte costituzionale: la discussione sulla legittimità del nuovo sistema elettorale (detto Italicum, forse anche perché sconosciuto nel resto del mondo) avverrà prima del referendum sulle riforme costituzionali. Scelta che non fa una piega, ma che ha significative ricadute politiche. Tanto è vero che, a palazzo Chigi, sono suonati tutti gli allarmi. Non si rendono conto, alla Consulta, che ogni loro osservazione potrà essere utilizzata contro la nostra meravigliosa riforma della Costituzione? Probabilmente, è proprio per tale ragione che il presidente della corte, Paolo Grossi, s’è mosso. Fiorentino, anch’egli. Ma l’idea del «giglio magico» è tutta agiografia di un gruppo politico, coagulatosi attorno a un capo, la storia fiorentina restituisce l’idea, piuttosto, di molte divisioni, all’ombra del giglio. E la storia è decisiva, nella formazione culturale di Grossi.
Iniziando una discussione, posto che al momento non è ancora stato assegnato il compito di relatore, la Corte mette in conto di potersi esprimere in ogni modo. L’importante è che sia libera di farlo. Se il giudizio finale fosse di promozione con lode, per l’Italicum, non ci sarebbe questione. Ma se le cose andassero diversamente, se si dovesse scegliere fra la bocciatura e la correzione? Farlo dopo il referendum comporta un certo pericolo, perché nel caso siano prevalsi i “no”, sicché la riforma non ci fosse più, la discussione sarebbe oziosa: restando elettivo il Senato (che resta comunque) l’Italicum perde i pregi che ci vedono i suoi estimatori, come anche i pericoli che ci vedono i detrattori. Ma se vincesse il “si”, inevitabilmente, quella sentenza sarebbe vissuta come il colpo di coda contro la riforma. Con conseguente polemica sulla casta della consulta e la sua refrattarietà al nuovo che avanza. Per questo Grossi, saggiamente, decide: parliamone prima.
Al governo la vedono diversamente: se la sentenza arriva prima del referendum ne influenza l’esito. A parte che avviare la discussione e sentenziare non è la stessa cosa, ma la tesi governativa somiglia a quella del somaro che lamenta: giusto prima delle vacanze dovete mandare a casa la pagella? Già, ma tu avresti potuto studiare. In questo caso: avresti potuto fare una riforma che non avesse gli stessi difetti per cui fu bocciata la precedente (nessuna delle due è una legge maggioritaria, ma a premio di maggioranza, che ora diventerebbe una riffa avventurosa).
L’altro palazzo che insiste sul colle, il Quirinale propriamente inteso, non ha alcun coinvolgimento istituzionale, con le cose fin qui illustrate. Mestieri e poteri diversi. Però, certo, il presidente Sergio Mattarella è appena uscito da uno dei due per entrare nell’altro, portandosi dietro un comune sentire di cui va orgoglioso. E se è certo che i compiti costituzionali non si sfiorano, è pur evidente che toccherà al capo dello Stato gestire le conseguenze di questa o quella decisione. Per questa ragione al Colle si pensa: se l’Italicum andrà bene così e il referendum vedrà il trionfo dei “si” a noi spetterà solo evitare che le cose precipitino, provando a mantenere ferma la scadenza naturale della legislatura; ma se lo scenario fosse diverso, non sarebbe poi una tragedia. E già questo dice molto. Se cascasse la riforma costituzionale è ovvio che la legge elettorale andrebbe rifatta, anche perché mancherebbe quella per il Senato; se cascasse l’Italicum, andrebbe riscritto; se cascassero entrambe si girerebbe pagina.
Anche in quel caso proverebbero a evitare il precipitarsi alle urne, sempre mantenendosi nella rigorosa osservanza costituzionale. Come?Con un governo di scopo che concili due esigenze: la rielaborazione della legge elettorale e il fermo controllo dei conti economici. Quei conti che tanti teatranti della politica credono di potere posporre alle proprie beghe e brame, ma il cui minaccioso peso non sfugge a chi ascolta con più preoccupata attenzione le conferenze del capo di Bundesbank. Naturale che tanto ragionare non piaccia ai governanti, giacché comprende sia l’ipotesi della loro sconfitta che la nobile ragione per cui potrebbero essere sostituiti. Dando seguito, in fondo, alle parole di Renzi. Solo traducendole da minaccia in promessa.
Ozio e strazio di palazzo? Può darsi, ma è anche vero che tanto accapigliarsi è spesso inconcludente, mentre quelle increspature possono dare risultati inattesi e grandiosi. Almeno nel caso dell’universo.
FONTE: http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/11907760/quirinale-governo-di-scopo-mattarella-renzi-referendum.html
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