L'ira dei risparmiatori della Banca Popolare di Vicenza: "Siamo i fessi della situazione e abbiamo perso tutto"
Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, non usa mezzi termini per l’andamento altalenante delle banche in Borsa delle ultime ore: “Siamo sulle montagne russe”. E i piccoli risparmiatori della Banca Popolare di Vicenza si prendono anche la borsata in faccia da Piazza Affari, che ha escluso l’istituto berico dalle quotazioni. Intanto sabato prossimo a Vicenza si riuniscono i 520 piccoli azionisti dell’associazione “Noi credevamo nella Popolare di Vicenza”, presieduta da Luigi Ugone, per fare il punto della situazione. Resta il contesto. Quello di una città di 110mila abitanti o poco più, che come tanta, troppa provincia benestante italiana contempla con nostalgia il suo passato più che sperare in un futuro migliore. Quel milieu un po’ beghino ma operoso che Parise fermò nel cortile grottesco del suo Prete bello e nel micromondo di un quartiere popolare di Vicenza.
Cattolici in religione, democristiani in politica anche dopo la fine della Balena bianca, i vicentini lasciano capire quale sia il nemico mortale di un sistema economico: la sfiducia. Lorenzo Cracco, piccolo imprenditore del settore energetico, non ci crede ancora ora: “La Popolare di Vicenza è sempre stata la banca di famiglia, dei miei genitori, la banca della città. Mi sono fatto accreditare lì il mio primo stipendio da magazziniere. Poi quando ho intrapreso una mia attività, mi sono fatto seguire sempre dallo stesso direttore, spostandomi con lui di filiale in filiale”. Poi i primi scricchiolii: “Nel 2011 avevo bisogno di soldi da investire nella mia attività, per cui volevo rientrare di parte delle mille azioni, oltre 62mila euro, che io e mia moglie avevamo acquistato nel 2008 su invito della banca. Azioni tranquille, dicevano. Mi sono fidato anche perché dal 2000 investo autonomamente in Borsa, qualcosa ne capisco”. La banca comincia a tergiversare: “Mi dicevano che era tutto congelato, c’era un’imminente assemblea dei soci, e mi hanno convinto a chiedere un fido da 35mila euro”.
Oltre al danno la beffa: “Ho mille azioni che sono carta straccia e ho un debito da 35mila euro con la banca da onorare entro la fine dell’anno”. Il sentimento prevalente è la rabbia: “Mi sento un leone in gabbia. E noi risparmiatori siamo i fessi della situazione. Gianni Zonin (fino al 23 novembre 2015 presidente di Bpvi, ndr) ha ancora un potere enorme a Vicenza”. La fiducia, si diceva. Spostiamoci più a sud di Vicenza, non molto, in Romagna, a Faenza. Qui lavora Francesco Bordini, agronomo e produttore di vino, uno che quando può parlare del Sangiovese di Romagna gli brillano gli occhi, imprenditore legato alla terra. Ha lasciato alla sua pagina facebook un lungo sfogo che inizia così: “Io rimasi folgorato da questa idea, avere a capo di una banca un imprenditore del vino era una bella cosa, condividevamo ideali e immaginavo conoscenza e sensibilità verso il mondo del vino. Quel mondo agricolo che per sua storia e cultura ha sempre fatto della stretta di mano un valore e visto i debiti come un impegno da onorare per dormire sonni tranquilli. Tutto questo da sogno è diventato un incubo, scoprendo che dietro ad un bel palcoscenico ornato a festa c’erano le solite leggerezze dell’Italietta amica degli amici a cui mai nega il credito, rigidissima verso gli onesti imprenditori e risparmiatori. I miei risparmi di 2 anni di duro lavoro investiti in quella banca si sono svalutati dell’85% ma quello che mi fa ancora più male è il sentirmi tradito da un imprenditore del vino come me e come molti miei cari colleghi”. Dice Bordini: “Ho perso 20mila euro, a un certo punto la banca ti offriva obbligazioni convertibili in azioni. Oggi non ho più nulla, ripeto a me stesso che è una vendemmia andata male. Sono giovane, vado avanti. Zonin mi sembrava affidabile, ha portato il vino italiano nel mondo. Prova di questi rapporti con il mondo enogastronomico il fatto che la Popolare di Vicenza aveva curato la quotazione in Borsa del Gambero Rosso. Mi sentivo un po’ a casa. La beffa è che oggi Zonin sia giuridicamente nullatenente. Ma che imprenditore è mai questo?”. Ecco cosa si è rotto in questa parte del Nordest: il rapporto di fiducia. E rimetterlo in piedi sarà ben più difficile che rimettere a posto i conti, per quanto disastrati, di una banca. “Sono e resto un viticultore prestato alla finanza. Dovessi scegliere tra le due attività non avrei dubbi, anche se presiedere la Popolare di Vicenza è un doppio piacere, perché mi consente da un lato di impegnarmi per il territorio in cui sono nato, e dall’altro mantiene viva una tradizione di presenza nella finanza locale che è stata, fino a mio suocero, della famiglia di mia moglie”. Così parlava Gianni Zonin in un’intervista del 2007. Nel 2015, ultimo anno dei suoi 19 di presidenza, la Banca Popolare di Vicenza ha “bruciato” 5 miliardi di risparmi dei soci (42mila euro a testa). Zonin per quell’anno ha ricevuto regolarmente un compenso da 1 milione di euro. Prosit!
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