Con l’euro lavoreremo un giorno in meno e guadagneremo come se lavorassimo un giorno in più, disse Romano Prodi nel 1999. Sono passati quasi 15 anni dall’ introduzione della moneta unica e la frase del Professore sembra che sia stata pronunciata a Zelig. È successo il contrario. O meglio, molti lavorano settimane o mesi in meno per colpa della crisi, ma non guadagnano di più.
Anzi. Chi ha un posto praticamente porta a casa a fine mese uno stipendio paragonabile a quello del 2001. Con l’ aggravante di aver perso anche potere d’ acquisto: in quel gennaio-febbraio 2002 i prezzi dei prodotti più diffusi, dal caffè alla pasta, dall’ abbigliamento fino al gelato, subirono un rincaro pazzesco, fuori dal normale, che nessuno fu in grado di fermare e analizzare. I consumatori dovettero affrontare aumenti fino al 200%. E in quei due mesi è iniziato il declino dell’ Italia.
Sappiamo tutti che gran parte delle colpe sono da imputare ai tedeschi, che imposero un cambio lira-euro troppo alto in modo da non avere rivali nelle esportazioni. Sappiamo anche che Prodi e Ciampi commisero l’ errore di accettare il diktat tedesco per avere un posto al sole, previa introduzione di un’ eurotassa, per entrare nella moneta unica, restituita solo in minima parte. Ma quello che ancora non sappiamo è perché il governo Berlusconi si voltò dall’ altra parte durante i primi mesi di vita dell’ euro. Solo nell’ estate 2002 si creò un osservatorio sui prezzi, ma la frittata era già stata fatta. Ovvio, imprenditori e venditori italiani arrotondarono le mille lire all’ euro per recuperare un po’ di soldi e rimanere competivi con i partner europei. Legittimo. L’esecutivo però avrebbe dovuto fare uno sforzo sui contratti dei dipendenti e sulle pensioni. Sarebbe stato utile varare aumenti di stipendio, una tantum ed extra-inflazione, per mettere a pari i lavoratori con i produttori. Magari con interventi fiscali, tipo taglio di tasse.
Sfruttando, per l’occasione, il calo dei tassi d’ interesse sul debito pubblico proprio grazie all’introduzione dell’euro. Niente di tutto questo fu realizzato. Gli italiani si sentirono più poveri e iniziarono così a diminuire i loro consumi.
Il circolo negativo era appena all’ inizio. La crisi del 2008 e, successivamente, quella dello spread nel 2011, diedero la mazzata finale al nostro Paese. Il doppio effetto, calo del potere d’ acquisto e sfiducia, innescarono il crollo delle vendite al dettaglio e degli acquisti immobiliari. Di conseguenza le aziende hanno iniziato prima a tagliare le spese superflue, poi gli investimenti, quindi a licenziare, fino a chiudere. Non a caso sono sette-otto anni che il Pil è asfittico. Le imprese, anche quelle sane, hanno così cominciato a perdere valore, perché operano in un mercato debole. Un affare per gli stranieri che hanno messo nel mirino le nostre società, marchi famosi compresi.
Fanno ridere quelli che dicono che l’ euro non è la causa dei mali italiani. In quel prezzo del gelato schizzato del 200% c’ è tutto il nostro male. Uno autentico strozzinaggio. Spiace che nessun politico abbia chiesto scusa agli italiani.
Nemmeno i grandi tifosi della moneta unica.
FONTE:
LIBERO
una riflessione ,se il made in italy avesse continuato a esistere molti prodotti "pattumiera" prodotti chissa dove non avrebbero avuto vita lunga l'euro ammazza le imprese europee eliminando un metro di confronto e aprendo la porta a prodotti scarsi che pero nel mercato rendono una fortuna perche la gente ormai senza soldi li compra perche sono "economici " capito a cosa serve l'euro !!
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