venerdì 17 agosto 2018

ECCO PERCHE’ TV E GIORNALI MUTI SUI BENETTON: così si sono comprati il silenzio di tutti, da Repubblica a Mediaset passando per Rai e Corriere

1. “BENETTON CHI?”. IL GRUPPO SPARISCE DA GIORNALI E TV


Lorenzo Giarelli e Lorenzo Vendemiale per ”il Fatto Quotidiano
Vietato parlare di Benetton. C’ è un grande assente nel racconto della tragedia di Genova: la famiglia veneta è il principale azionista di Atlantia, società che controlla Autostrade per l’ Italia, gestore del Ponte Morandi dove si è verificato il disastro. Eppure il suo nome non compare quasi mai nelle prime cronache del crollo.
Non sui grandi giornali, dove è citato solo a proposito del tonfo in Borsa, e nemmeno in tv. Semplice dimenticanza o riguardo nei confronti di un impero che fino a pochi anni fa aveva partecipazioni in diversi gruppi editoriali, e che rappresenta tuttora uno dei principali investitori sul mercato pubblicitario: il Gruppo Benetton da solo spende 60 milioni ogni anno, poi ci sono Autostrade per l’ Italia, Atlantia e altre società.
Di sicuro non si tratta di una svista da poco, perché prima che i Benetton diventassero oggetto di contesa politica fra maggioranza e opposizione, i media nazionali si erano ben guardati dal tirarli in causa nel disastro. Mentre all’ estero dal Financial Times a Le Figaro, dal Guardian al New York Times, tutti hanno sottolineato come Autostrade per l’ Italia faccia capo alla famiglia Benetton, in Italia la società sembra non aver padroni.
Nelle edizioni serali del 14 agosto del Tg1 e del Tg5, niente Benetton: si parla di manutenzione, a volte persino di “controlli da cui non era emerso niente”, ma mai del gruppo o di Atlantia. Un silenzio tombale a cui fa eco quello del Tg2 delle 20:30. Trattamento simile sui quotidiani: su La Repubblica, in 11 pagine dedicate alla tragedia, la parola “Benetton” non compare neanche una volta.
Il Corriere della sera cita la famiglia veneta, ma solo in un trafiletto sul crollo in borsa di Atlantia, “che ha come primo azionista il gruppo Benetton”, comunque mai associato direttamente al crollo. Stesso discorso per La Stampa, afflitta dal fatto che “le tragedie umane hanno anche un risvolto economico”, mentre Il Messaggero sottolinea en passant che “il gruppo che fa capo alla famiglia Benetton è subito finito nel mirino”.
Sarà che di Benetton i media italiani sono sempre stati abituati a parlare tanto, ma in altri contesti.
Pubblicità, eventi, manifestazioni: un po’ tutti hanno avuto modo di dare spazio alle attività del gruppo, dalla moda allo sport, passando per le iniziative umanitarie. Luigi Di Maio ha ricordato polemicamente le partecipazioni nei vari gruppi editoriali: in realtà sono state tutte dismesse, ultime quelle in Sole 24 Ore (2%) e Caltagirone Editore (2,24%), ancora prima il 5% in Rcs. Il rapporto, però, continua in altre forme.
Autostrade per l’ Italia, ad esempio, è partner ufficiale del Giro d’ Italia, che vuol dire Rcs (e quindi Cairo communications, nei cui conti la Corsa rosa ha un impatto decisivo): sponsorizza i traguardi volanti, gli sprint intermedi all’ interno delle tappe a cui è dedicato striscione d’ arrivo e premio economico. La sua controllante “Atlantia”, invece, è tra i 9 top sponsor che hanno “finanziato interamente” l’ ultima Repubblica delle idee, il festival del quotidiano.
Non è l’ unico legame, visto che Monica Mondardini, consigliere indipendente di Atlantia è anche vicepresidente del gruppo Gedi, che edita La Repubblica, La Stampa e L’ Espresso.
Le televisioni non sono da meno. Con Sky, Autostrade ha prodotto un intero programma: Sei un Paese meraviglioso, arrivato alla terza stagione, puntata dopo puntata descrive le bellezze dell’ Italia (e, visto che ci siamo, anche le “esperienze di viaggio originali e coinvolgenti” che si possono vivere sulla rete).
Con Mediaset, Benetton ha fatto affari attraverso la società 21 investimenti, che aveva creato insieme a Medusa (quindi Fininvest) la catena di multisale The Space, poi rivenduta nel 2014. Tutti, giornali e tv, radio e siti web, beneficiano dei massici investimenti in pubblicità, per realizzare la nuova strategia comunicativa che era stata ben descritta un paio di anni fa su Agorà, la rivista del gruppo. “La vecchia cara pubblicità non esiste più, non si comunica ma si racconta: siamo entrati nell’ era della narrazione”. In cui il nome Benetton non viene mai associato a una disgrazia.
2. IL MODELLO BENETTON: SOLDI A GIORNALI E PARTITI
Maurizio Tortorella per ”La Verità
Accuse durissime. Ma, va detto, non sempre azzeccate.
Ieri, per il disastro del Ponte Morandi, Luigi Di Maio, ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, ha messo direttamente nel mirino il gruppo e la famiglia Benetton, azionista della Autostrade per l’ Italia che dal 2007 è concessionaria della A10.
In effetti, il capitale di Autostrade è all’ 88% della holding Atlantia, il cui principale azionista è la holding finanziaria Edizione, a sua volta controllata con il 30% dalla famiglia Benetton (gli altri soci sono fondi d’ investimento, soprattutto esteri, con quote che al massimo arrivano all’ 8%).
Il vicepremier grillino non ha usato mezzi termini. Ha sostenuto esplicitamente che la famiglia Benetton avrebbe intrattenuto per anni indebiti rapporti con la vecchia politica e con i suoi governi: «Siccome per la prima volta in Italia c’ è un governo che non ha preso i soldi dai Benetton», ha detto Di Maio, «noi siamo qui a dirvi che analizzeremo tutti i contratti, e siamo pronti a revocare le concessioni e a fare multe fino a 150 milioni di euro».
Di Maio ha poi rincarato la dose in un lungo post pubblicato sul Blog delle stelle, dal titolo: «È ora di presentare il conto a chi ha truffato gli italiani». Qui, oltre alla società Autostrade e ai governi passati, il vicepresidente del Consiglio ha attaccato anche la rete di «partiti e giornali che da decennali gli fanno da palo».
Due le domande, tese a dimostrare l’ intreccio delle complicità: «Come è possibile che nessun governo abbia mai messo in discussione la concessione delle autostrade ai Benetton? Come è possibile che nessun giornale abbia mai fatto un’ inchiesta sulla loro società, per esempio sul fatto che i contratti di Autostrade sono secretati?».
Per puntare il dito contro l’ origine di questa «copertura mediatica», il ministro grillino ha elencato le quote della holding Edizione in alcuni grandi gruppi editoriali: «Il 5,1% di Rcs MediaGroup (Corriere della Sera), il 2,24% di Caltagirone Editore e il 2% del Sole 24 Ore Spa».
Di Maio, però, si è forse fidato troppo di Wikipedia. In realtà, dopo la ricapitalizzazione dell’ autunno 2017 alla quale non ha partecipato, il gruppo Benetton non ha più azioni del Sole 24 Ore. Ed è vero che fino all’ estate dello scorso anno la holding Edizioni ha controllato il 2,24% della Caltagirone Editore, la casa cui fanno capo Messaggero, Gazzettino di Venezia, Mattino di Napoli e Corriere Adriatico, oltre al quotidiano gratuito Leggo: ma da un anno la holding è uscita anche da lì.
I Benetton hanno ceduto da qualche anno anche la loro partecipazione diretta del 5,1% in Rcs, però è vero che ne conservano una indiretta tramite Mediobanca (che attualmente controlla quasi il 10% della casa editrice), di cui sono azionisti al 2,1%.
Certo, se in campo editoriale il potere dei Benetton come azionisti si è sicuramente attenuato rispetto ai bei tempi (fino al luglio 2006 avevano anche il 25,8% del Gazzettino, una quota ceduta quell’anno a Caltagirone per 40 milioni di euro), va anche detto che la loro influenza sulla carta stampata non è indifferente. United Colors of Benetton è tra i principali investitori di tutti i grandi quotidiani, sui quali spesso campeggiano le paginate ispirate dall’aggressivo marketing fotografico di Oliviero Toscani.
Nel 2016 i giornali specializzati stimavano che l’ investimento pubblicitario annuo dell’azienda di Ponzano Veneto (tra tv, carta e internet) girasse sui 60 milioni annui, 25 dei quali sul mercato italiano. Non sono noti, invece, i budget di Autogrill e Aeroporti di Roma, altre due società che fanno capo ai Benetton e spesso compaiono con le loro pubblicità.
Sempre ieri, altre frecciate polemiche di Di Maio hanno poi colpito Matteo Renzi e il Partito democratico. Già all’ indomani del disastro di Genova, nell’ annunciare la revoca della concessione ad Autostrade per l’ Italia, il vicepremier aveva sbottato: «I vertici di Autostrade (…) non avranno vita facile: a me la campagna elettorale non l’ ha pagata Benetton».
 Quelle parole, malgrado Di Maio non avesse ancora fato nomi, avevano provocato la reazione di Francesco Bonifazi: «Di Maio», aveva scritto su Twitter il tesoriere del Pd, «sta blaterando ovunque parole confuse e offensive. Benetton o Autostrade per l’ Italia non hanno pagato la campagna elettorale al Pd o a Matteo Renzi. Schifo e vergogna #sciacallo». Era poi intervenuto direttamente l’ ex segretario: «Chi dice che il mio governo ha preso i soldi da Benetton o da Autostrade è tecnicamente parlando un bugiardo. Se lo dice per motivi politici, invece, è uno sciacallo. Il mio governo non ha preso un centesimo da questi signori, che non hanno pagato la mia campagna elettorale, né quella del Pd, né la Leopolda».
Ieri pomeriggio, sempre su Facebook, Di Maio non ha mollato la presa: «Renzi dice che Benetton non ha finanziato né il Pd né la Leopolda.
Ma non dice niente delle altre fondazioni legate a doppio filo col suo partito. La sua parola per gli italiani vale zero». Sul punto cruciale delle fondazioni, una risposta definitiva è purtroppo resa impossibile, paradossalmente, proprio dal Codice civile, che non obbliga questo tipo di associazioni a rivelare né il valore delle donazioni ricevute, né il nome di chi le fa: le fondazioni, insomma, godono di uno status di opacità totale.
Grazie a questa carenza normativa Open, che è la fondazione più vicina a Renzi, si limita a segnalare il totale dei versamenti incassati a partire dalla sua costituzione, nel 2012: 5,5 milioni di euro.

Quanto ai nomi dei finanziatori di Open, tra quelli elencati sul suo sito non compaiono né quelli dei Benetton, né delle le loro società. Ma il particolare non è dirimente: Open si dice autorizzata a rivelare soltanto i donatori che «hanno dato il consenso».

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