L’assedio di Parigi da parte dei gilet gialli continua. E la violenza che si è scatenata ieri nella capitale francese, soprattutto a causa del coinvolgimento dei casseurs, ha colpito non solo il governo ma tutto il Paese. La guerriglia urbana si è estesa dal centro della città fino alle periferie. E mentre Parigi veniva messa a ferro e fuoco dalla violenza dei manifestanti e dei teppisti, anche Emmanuel Macron si è dovuto rendere conto che la situazione del Paese inizia a diventare insostenibile.
Il governo ha detto che sono stati 136mila i manifestanti che sabato hanno partecipato alla terza mobilitazione nazionale in tutta la Francia. Il bilancio fornito dall’esecutivo è eloquente: 263 persone ferite, tra cui 23 agenti della polizia, 412 fermi, 378 persone in custodia. Un manifestante è ancora ricoverato in gravi condizioni, e lotta fra la vita e la morte. Ad aggravare il quadro della situazione, si è aggiunto il terzo morto legato alle proteste. Ad Arles, un automobilista è morto per un incidente provocato da un blocco stradale da parte dei gilet gialli.
I numeri sono allarmanti. Ma quello che deve mettere ancora di più in guardia Macron e il suo governo, non è solo la violenza incredibile che è esplosa a Parigi, ma anche che queste manifestazioni non sono che l’esplosione più superficiale di un malcontento radicato e diffuso in tutto il Paese. E le rivendicazioni dei gilet gialli non sembrano destinate a interrompersi con una semplice marcia indietro sul caro-carburanti da parte dell’Eliseo. Un’ipotesi che tra l’altro sembra essere stata esclusa dal presidente Macron, che anzi ha confermato recentemente di voler tirare dritto sulla cosiddetta “transizione ecologica”.
Nei giorni scorsi, i media francesi hanno ricevuto una lista di rivendicazioni da parte del comitato organizzativo dei gilet gialli. Si tratta di una lista di richieste ai parlamentari e al governo che, per rimanere in Francia, ricorda l’idea dei cahiers de doléances di epoca rivoluzionaria. Leggendo questa lista, fra l’altro ripresa anche da La France Insoumise di Jean-Luc Mélelnchon, quello che si comprende è che non si tratta di una protesta destinata a finire nel breve termine.
Quello che è in corso è un processo di ribellione non contro il singolo governo, ma contro un certo tipo di politica, di scelte economiche, di gestione dello Stato. Ed è per questo che sia la destra che la sinistra radicale hanno raccolto il grido dei gilet gialli: perché le loro richieste sono in molti casi sovrapponibili a quelle dei partiti esclusi dal governo francese.
Nella lista delle rivendicazioni c’è l’eliminazione del fenomeno dei senzatetto, il diritto a un salario minimo a 1300 euro e pensioni a 1200, proibire le delocalizzazioni per proteggere l’industria francese, promozione delle piccole imprese e stop alle grandi aree commerciali, lotta all’austerità, la lotta all’immigrazione di massa, dare mezzi adeguati alle forze dell’ordine, referendum popolare in Costituzione e nazionalizzazione dell’industria energetica.
C’è un mix di rivendicazioni che non rappresentano una semplice sfida all’attuale esecutivo, ma è una lotta di sistema contro un governo che rappresenta probabilmente il punto più elevato di questo sistema. Quel Macron apprezzato dalle élite e che ha messo in atto riforme che vanno in direzione completamente opposta a quanto richiesto dai gilet gialli.
Ma il problema è che i gilet gialli non rappresentano una piccola parte della Francia. Le loro richieste sono quelle di tutti coloro che non si sentono in linea con questo esecutivo e con il presidente francese. Ed è proprio per questo che non possono essere racchiusi in una semplice protesta figlia del caro-benzina. Ed è anche per questo che non possono essere catalogati come fenomeno definito a livello temporale e che è destinato a concludersi nel breve termine.
Forse potranno interrompersi le violenze (e la manifestazione organizzata l’8 dicembre potrebbe essere il banco di prova definitivo), ma ciò che chiede la Francia profonda è qualcosa che tornerà a cadenza regolare. E che potrebbe ad esempio caratterizzare le stesse elezioni europee del 2019, test in cui sarà valutato non solo Macron, ma anche l’ascesa dei partiti che si sono uniti alle protesta: Rassemblement National di Marine Le Pen e La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.
L’assedio di Parigi è stata l’esplosione di un sentimento di malcontento che è dimostrato da questa lista di rivendicazioni. Non c’è solo ideologia: ci sono richieste concrete e allo stesso tempo vaghe, idee sovraniste e altre dichiaratamente di sinistra. È una miscela esplosiva di domande che nessun governo di centro, socialdemocratico o di centrodestra può disinnescare. E la riunione d’emergenza di Macron all’Eliseo non dovrebbe essere sull’ordine pubblico, ma politica: come si può fermare non la violenza, ma l’onda di protesta che monta inesorabile.
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