di Riccardo Mazzoni per Libero
Il Parlamento, prima della rivoluzione gialloverde, non era propriamente un consesso di educande, ma la vecchia politica si premurava almeno di mascherare le nefandezze dietro il rispetto dei riti e delle forme, e l’ immancabile maxi emendamento di fine anno su cui veniva apposta la fiducia era quello che – anche se scritto dalle solite, pochissime manine esterne – usciva dalla commissione Bilancio. Il governo Conte invece, dopo aver presentato una Finanziaria farlocca alla Camera, ha consegnato al Senato un pacco di Natale sigillato con un oggettivo vulnus delle prerogative parlamentari. L’ indignazione che ne è seguita va dunque considerata più che fisiologica: sacrosanta. Anche quella del presidente emerito Napolitano, ci mancherebbe, che condividendo le lacrime della Bonino ha parlato di «umiliazione» per il Parlamento e per la democrazia.
Ci permettiamo però di ricordargli che, durante i suoi due mandati presidenziali, la “moral suasion” si è trasformata in più occasioni in un interventismo “politico” che ha riportato gli orologi ai tempi non felici di Scalfaro. Facciamo l’ esempio di una data emblematica: l’ otto novembre 2011, quando l’ allora premier Berlusconi fu costretto a dimettersi perché il rendiconto dello Stato fu approvato dalla Camera, ma gli 308 voti favorevoli non vennero considerati sufficienti a mantenere in vita il governo, anche se non era richiesta la maggioranza assoluta. Quello fu solo l’ atto finale di un preciso disegno politico iniziato nel 2009, quando la popolarità di Berlusconi raggiunse il suo culmine con l’ abbraccio dei partigiani di Onna.
«costituzione strapazzata» Dal 2008 al 2011 la maggioranza di centrodestra fu sottoposta a una serie impressionante di verifiche elettorali e le vinse tutte. Non era mai successo, nella seconda Repubblica, che le forze al governo ricevessero una conferma così plebiscitaria dalle successive elezioni parziali, ma nonostante questo, anzi proprio per questo, i professionisti della delegittimazione si misero all’ opera sotto un’ attenta regia. Senza tirare in ballo le presunte sollecitazioni del Quirinale nei confronti di Fini – sussurrate ma mai dimostrate – per mettere in crisi il governo con la scissione di Fli, e anche volendo derubricare a indiscrezione giornalistica le rivelazioni del Wall Street Journal sulla telefonata tra Napolitano e la signora Merkel per la cacciata di Berlusconi da Palazzo Chigi, è invece abbondantemente provato che il Quirinale aveva allertato Monti già nel giugno 2011, quando non era ancora scoppiata la crisi dello spread: lo scrisse Alan Friedman, parlando di «Costituzione strapazzata», e lo confermò lo stesso Monti, non intravedendovi peraltro «nulla di male».
Le cronache – e anche la storia, ormai – ricostruiscono perfettamente il clima opaco di quelle settimane convulse, che videro Napolitano sempre più protagonista della politica parlamentare, con il duo Merkel-Sarkozy sempre più determinato ad ingerire negli affari interni italiani. Non si scopre certo oggi che nel 2011 accaddero fatti decisamente anomali rispetto alla fisiologia politica: le consultazioni continue al Quirinale con i gruppi parlamentari nonostante il governo Berlusconi fosse pienamente in carica, le lettere e i richiami della Bce e della Commissione europea scritti in tutta evidenza da manine italiane, l’ attacco speculativo ai titoli Mediaset, le risatine della Merkel e di Sarkozy.
Come Scalfaro Certo, i professionisti di allora – nessun paragone con i dilettanti gialloverdi di oggi, non scherziamo – fecero di tutto per salvare le apparenze. Con un atteggiamento tipico di tutti i “catilinari”, la preoccupazione maggiore di Napolitano e di Monti fu quella di conquistare il Parlamento con mezzi legali. A ben vedere, quello che accadde in Italia era già tutto spiegato in un acuto pamphlet scritto nel 1931 da Curzio Malaparte, che spiegava la tecnica di prendere il potere: con la nomina-lampo a senatore a vita, Monti poté legittimarsi quale espressione, in qualche modo, dello stesso Parlamento. E fu così che il Parlamento divenne complice necessario del disegno quirinalizio, accettando il fatto compiuto e legalizzandolo formalmente.
Il tutto giustificato dallo “stato di necessità”. Ci sono molte similitudini tra i motivi che spinsero Scalfaro a ispirare il ribaltone del ’94 e quelli che indussero Napolitano a intervenire nel 2011.
Il tutto giustificato dallo “stato di necessità”. Ci sono molte similitudini tra i motivi che spinsero Scalfaro a ispirare il ribaltone del ’94 e quelli che indussero Napolitano a intervenire nel 2011.
Scalfaro odiava Berlusconi, Napolitano no. Ma entrambi agirono nella convinzione che il Cav fosse un corpo estraneo da rimuovere dalla politica italiana. Tanto da giustificare l’ iniezione nella Repubblica parlamentare di massicce dosi di presidenzialismo, e da porre le Camere in condizioni di subalternità a poteri esterni. Poi sono arrivati i barbari del vaffa per aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, e i loro manipoli straccioni sembrano elefanti in una cristalleria.
Ma lo sfregio del governo Conte sulla manovra non è certo la prima ferita, e nemmeno forse la più profonda, che hanno subito nel tempo i sacri Palazzi della democrazia rappresentativa.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.