Maurizio Belpietro per “la Verità”
Su alcuni giornali di ieri si affacciava l’ ipotesi di una naturale conclusione della legislatura. Tra Quirinale e Palazzo Chigi si sarebbe cioè studiato un percorso per ottenere una chiusura di fine anno priva di traumi, con un voto senza scossoni della manovra finanziaria e poi il successivo scioglimento delle Camere in vista delle elezioni. Da quanto pare di capire, le proposte di legge foriere di tensioni, tipo ius soli e fine vita, verrebbero accantonate, vale a dire lasciate morire per non turbare il governo Gentiloni. Che a questo punto rimarrebbe in vita, senza cioè essere costretto a presentarsi dimissionario davanti al Parlamento.
Alla maggior parte delle persone la questione delle dimissioni del presidente del Consiglio e della sua squadra potrà apparire di secondaria importanza e invece è di primaria rilevanza, perché quanto stiamo per raccontarvi passa attraverso il presupposto che il premier non sia dimissionario, ma in carica con i pieni poteri. L’ operazione è la seguente.
Nel caso in cui Gentiloni riuscisse a schivare le trappole che il suo compagno di partito Matteo Renzi ha disseminato lungo il percorso, evitando cioè di finire impallinato sullo ius soli e altre corbellerie del genere, ai primi di gennaio, diciamo nella prima quindicina del mese, tra l’ 8 e il 10, il presidente della Repubblica firmerà il decreto di scioglimento delle Camere, mettendo in calendario le nuove elezioni entro il mese di marzo. I tempi coincidono: nel 2013 si votò a febbraio, dunque siamo a cinque anni esatti di distanza per rivotare.
Nel caso tutto procedesse secondo i piani, i seggi verrebbero aperti con un governo in carica e non dimissionario, un passaggio che, come vedremo, è determinante per il raggiungimento dello scopo che Quirinale e Palazzo Chigi si prefiggono.
Aperte le urne e certificato il risultato, se non ci fosse un vincitore, le decisioni sarebbero conseguenti. Invece di affidare l’ incarico esplorativo a qualcuno, come per esempio cinque anni fa, quando Giorgio Napolitano incaricò Pier Luigi Bersani nonostante sapesse che il segretario del Pd non aveva nessuna chance di fare un governo con i 5 stelle, Mattarella lascerebbe in carica Gentiloni invitandolo a presentarsi in Parlamento per chiedere la fiducia.
In tal modo il capo dello Stato salterebbe a piè pari la liturgia delle consultazioni, evitando di dare l’ incarico a Luigi Di Maio, qualora i 5 stelle si rivelassero il primo partito, o a Matteo Salvini, nel caso la Lega scavalcasse Forza Italia all’ interno della coalizione di centrodestra.
In questo modo si scongiurerebbe lo stress di settimane senza governo e senza soluzioni politicamente e finanziariamente compatibili. O per lo meno questa è la scusa.
Il senso è chiaro. Invece di perdere tempo con chiacchiere inutili, meglio verificare subito i numeri dei singoli partiti alle Camere e poi decidere di conseguenza. Ma siamo sicuri che il disegno di Mattarella e compagni democristiani sia tutto qui? Beh, la risposta è no, perché dalle parti del Quirinale girano molte chiacchiere, la più inquietante delle quali per obbligo professionale vi riferiamo. In sostanza, nelle ultime settimane, dopo aver incrociato sondaggi e dichiarazioni, qualcuno ha immaginato il seguente scenario.
Mettiamo che vinca il centrodestra, cioè che Forza Italia, Lega e Fratelli d’ Italia facciano il pieno di voti. Il giorno dopo il trionfo che cosa succederebbe? Matteo Salvini, se vincesse con più voti di Silvio Berlusconi, per prima cosa metterebbe mano alla legge Fornero e subito dopo chiederebbe un ministro dell’ Interno che applicasse il blocco navale nei porti di fronte alla Libia. Per lo meno se intendesse tenere fede al programma su cui ha costruito il suo successo elettorale.
Ma su entrambi i fronti Silvio Berlusconi, che se non vincesse in termini di voti potrebbe essere comunque il vincitore morale delle elezioni, non la pensa come Salvini. Dunque? Il rischio sarebbe che il centrodestra si spaccasse ancora prima di cominciare. E se invece fosse il caro vecchio Silvio ad arrivare primo, surclassando la Lega? Che succederebbe? Il Cavaliere deciderebbe il premier. Ma dopo, tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’ Italia che equilibrio si instaurerebbe? Al momento litigano e nessuno è certo della vittoria, ma dopo?
Ecco, è su questo scenario che si innesta il disegno vagheggiato sul Colle. Nel caso in cui vincesse il centrodestra (cosa assai probabile), ma il centrodestra non si mettesse d’ accordo, quale sarebbe la soluzione? La risposta partorita dai cervelloni di Mattarella è semplice: si lascia Gentiloni. Il presidente del Consiglio è in carica e, se non esiste una maggioranza diversa, resta al suo posto.
In pratica il premier verrebbe rimandato alle Camere a chiedere la fiducia e, nel caso la ottenesse, la partita sarebbe chiusa. Del resto nel 1948, quando Alcide De Gasperi andò alle elezioni, non solo rimase in carica senza dimettersi, ma una volta dimessosi, dopo le elezioni fu rispedito in Parlamento per ottenere la fiducia, e avendola avuta continuò a guidare il governo. Il precedente dunque c’ è e il presidente che avvalora l’ operazione anche, perché all’ epoca sul Colle c’ era Luigi Einaudi.
Dunque, se Gentiloni prende i voti in Parlamento, perché non lasciarlo dove sta? Chiaro, no? A questo punto però ci permettiamo di aggiungere una domanda: ma se non c’ è problema a tenere l’ attuale presidente del Consiglio (il quale, sia detto per inciso, nessun italiano ha mai votato) che problema ci sarebbe ad abolire per sempre le elezioni? Magari non vedremmo al governo la persona che avremmo voluto, ma per lo meno ci saremmo risparmiati i soldi per lo spettacolo inutile del voto degli italiani.
QUESTI SONO DEI VERI MISTIFICATORI DELLA POLITICA E ANCHE DEI DELINQUENTI VESTITI A FESTA.
RispondiEliminaI due gobbi che non portano fortuna all'Italia !!!!!!!!!
RispondiEliminaPure Mattarella prepara il colpo di stato con Gentiloni
RispondiEliminaAllora non rimane che la piazza. Questi scherzano col fuoco. Mandiamoli a casa, perché hanno distrutto il Paese, l’ ambiente, hanno soppresso il Corpo forestale dello Stato, aumentato la distanza tra cittadini e istituzioni. Poi, portano sfiga: all’ Italia non ne va bene una!
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