Gli italiani l’avevano capito da un pezzo, diciamo sin dall’annuncio dell’ottobre 2016. Quando l’ex premier Matteo Renzi dichiarò con toni trionfali che Equitalia sarebbe scomparsa, senza però spiegare in che modo l’avrebbe sostituita. Qui c’è puzza di bruciato, pensammo un po’ tutti. E, infatti, man mano che il quadro iniziava a prendere forma i timori si sono progressivamente trasformati in realtà. Quasi subito è emerso che si trattava di una soppressione solo di facciata e che dal primo luglio 2017 sarebbe nato un nuovo ente, «Agenzia delle Entrate-Riscossione», con poteri rafforzati rispetto a quello precedente.
A differenza di Equitalia, infatti, l’articolo 3 della legge n. 225/2016 prevede che il suo sostituto possa accedere direttamente all’anagrafe tributaria, alle banche dati dell’Inps e ai nostri conti correnti. Una svolta sostanziale. Perché fino ad oggi questa possibilità era garantita solo all’Agenzia delle Entrate, cioè all’ente addetto all’accertamento, mentre quello tenuto alla riscossione, Equitalia, non ne aveva diritto. Va da se che il processo subirà una brusca accelerazione.
«Tra poche settimane - spiega a Libero il commercialista Federico Grigoli, partner dello studio Pirola Pennuto Zei & Associati - il nuovo ente addetto alla riscossione dei tributi potrà immediatamente accedere alle banche dati per verificare quali sono i crediti e qual è il patrimonio del contribuente che il Fisco ha la facoltà di aggredire per rifarsi dei mancati pagamenti. Un modo per velocizzare la riscossione e una dimostrazione che nonostante ci sia una sentenza della Corte Costituzionale che lo dichiara illegittimo, il nostro sistema va sempre di più verso un modello “solve et repete”. Cioè costringe il contribuente a pagare e poi eventualmente a ritornare in possesso dei suoi beni se dimostra di aver ragione».
E del resto c’erano già diversi indizi che andavano in questa direzione. Come dimenticare che le ultime norme hanno arricchito il numero di database a disposizione dei guardiani del Fisco. Per dire, l’Agenzia delle Entrate (e quindi il nuovo ente per la riscossione) potrà consultare anche le informazioni relative ai rapporti di lavoro o di impiego presenti nelle banche dati dell’Inps in modo da semplificare la procedura che porta al pignoramento di stipendi, salari o altre indennità.
Così come è sempre utile ricordare che ormai da tempo le procedure esecutive per i debiti tributari sono svolte senza il controllo di un giudice. «Per esempio - spiega il commercialista associato allo studio Pirola - il contribuente che riceve una cartella esattoriale e non paga il debito dovuto può ritrovarsi il conto corrente pignorato senza che vi sia il via libera di un tribunale». Di fatto l’Agenzia delle Entrate decorsi i 60 giorni dall’avviso di accertamento (la classica cartella) può ordinare alla banca di versare la somma dovuta direttamente all’Agenzia. Una sorta di prelievo coatto. Ma non solo. Perché le Entrate possono imporre all’inquilino del contribuente moroso di girare allo Stato anche il canone d’affitto. «In tutti questi casi i cittadini hanno un unico modo per difendersi: fare causa all’Erario dimostrando di aver subito un danno».
E le brutte notizie non finiscono qui. L’altra amara sorpresa arriva dalla recente manovrina (dl 50/2017) che ha modificato la normativa sui pignoramenti immobiliari. L’iter parte con l’agente della riscossione che fa una comunicazione preventiva al proprietario per avvertirlo: se non paghi il debito che hai con il fisco entro 30 giorni sarà iscritta ipoteca sul tuo immobile. Fino a pochi giorni fa l’iscrizione poteva avvenire solo se il singolo immobile (eccezion fatta per la prima casa che resta fuori dai giochi) aveva un valore superiore ai 120 mila euro, con le nuove regole invece si considera il valore complessivo degli immobili di proprietà del contribuente moroso e se questo supera i 120 mila euro diventa possibile iscrivere ipoteca e successivamente procedere alla vendita del bene.
«Insomma - sintetizza Grigoli - non si parla più di immobile, ma di immobili. Per fare un esempio, con la precedente normativa, se non pagavo delle imposte e avevo un patrimonio di 10 immobili tra case e box, ma nessun cespite superiore ai 120 mila euro, lo Stato non poteva ipotecarne nessuno. Da oggi invece quegli stessi immobili, che sommati hanno un valore ben superiore ai 120 mila, potranno essere ipotecati e quindi successivamente espropriati e venduti all’incanto per ripagare il Fisco». Morale della favola: visto che l’abitazione principale non può essere toccata occhio alle seconde e terze case e soprattutto ai box auto.
Lo Stato deve fare cassa e non fa niente per nasconderlo. Tanto che lo fa dire al legislatore nella relazione tecnica di accompagnamento alla manovra correttiva. Nel biennio 2014-2015 - si legge - l’87% dei preavvisi di ipoteca (la comunicazione dell’agente della riscossione che avverte il debitore) non ha dato nessuna forma di pagamento. E nel restante 13% dei casi i contribuenti morosi che hanno provveduto a saldare il conto hanno versato in media 12.300 euro. L’obiettivo dichiarato è migliorare l’azione esecutiva del 10% portando a casa 85 milioni di nuove entrate nel 2017 (si considera circa metà anno), 226 milioni nel 2018 e 282 milioni nel 2019. E si salvi chi può.
di Tobia De Stefano
Fonte; http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/12392536/fisco-blocco-conto-banca-contenzioso-primo-luglio.html
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