Boeri: “Bisogna dire la verità agli italiani: senza immigrati l’Inps crollerebbe”
Valgono 70 miliardi di contributi in 20 anni. Il presidente dell’istituto di previdenza: “Chiudere le frontiere significherebbe una manovra economica in più ogni anno”
NICOLA LILLO
TORINO
Chiudere le frontiere vuol dire distruggere il nostro sistema di protezione sociale. A dirlo è l’Inps nel suo rapporto annuale, in cui ha calcolato che se i flussi di entrata dovessero azzerarsi, avremmo per i prossimi 22 anni 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell’Inps: insomma, una manovra in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo. Per questo il presidente dell’Inps, Tito Boeri - pur «consapevole del fatto che l’integrazione degli immigrati che arrivano da noi è un processo che richiede del tempo e comporta dei costi» - spiega che è necessario «avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno degli immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale». Gli immigrati che arrivano in Italia sono sempre più giovani: la quota degli under 25 che comincia a contribuire all’Inps è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015. Si tratta, ha calcolato l’istituto, di 150 mila contribuenti in più ogni anno. Numeri che compensano il continuo calo delle nascite, «la minaccia più grave alla sostenibilità del nostro sistema pensionistico», spiega Boeri.
Il problema del paese è la disoccupazione
Tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 gli effetti negativi della crisi hanno raggiunto il loro apice. Secondo l’Istat, gli occupati risultavano scesi di circa 4 punti percentuali, cioè circa un milione di occupati in meno: da 23,2 milioni nella primavera 2008 a 22,2 milioni tra il 2013 e il 2014. «Da allora - spiega l’Inps nel rapporto - è iniziata una faticosa ma continua risalita: appena accennata nel corso del 2014, robusta nel 2015, confermata infine nel 2016 e nei primi mesi del 2017». Ad aprile di quest’anno gli occupati risultano risaliti a 23 milioni giungendo a recuperare quasi il livello pre-crisi. «Si tratta di un risultato rilevante seppur largamente insufficiente a riportare la disoccupazione sui valori del 2007-2008, vale a dire attorno al 7%». Il livello massimo di disoccupazione è stato raggiunto nel novembre 2014 (13%) mentre ad aprile 2017 risultava ridotto di quasi due punti (11,1%).
L’aiuto della decontribuzione e l’importanza della mobilità
La decontribuzione per i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato, introdotta nel 2015, «ha avuto un successo notevole», scrive l’Inps: oltre 1,5 milioni di rapporti esonerati, oltre 500.000 imprese che vi hanno fatto ricorso. Ma i rapporti di lavoro attivati anche grazie alla decontribuzione sono risultati effimeri? Le attivazioni di rapporti a tempo indeterminato sono state 1,66 milioni nel 2014; nel 2015 sono aumentate di circa un milione e nel 2016 sono ritornate ad un valore prossimo (di poco superiore) a quello del 2014. I numeri contengono sia i cosiddetti rapporti di lavoro «senza requisito», quelli cioè attivati con soggetti che nei sei mesi precedenti erano già occupati a tempo indeterminato (chi cambia datore, ad esempio), ma anche e soprattutto stabilizzazioni all’interno di un’impresa. Quest’ultima categoria per l’Inps «è significativamente mutata da un anno all’altro ed è alla base della crescita nel 2015». Ma ad aiutare i lavoratori e a far aumentare il loro stipendio è anche la mobilità. Lo scorso anno il turnover dei lavoratori è stato del 35%: in altre parole due terzi degli occupati non ha cambiato posto di lavoro nel corso dell’anno nel settore privato. Tra gli immigrati (sia comunitari che non) il turnorver è molto più alto e si attesta al 55%: sono loro inoltre ad essere molto più mobili sul territorio dei lavoratori nativi. Solo il 50% dei lavoratori immigrati continua infatti a lavorare nella stessa provincia a distanza di quattro anni. La maggiore mobilità spiega perché questa categoria di lavoratori riesca a ridurre la propria distanza dalle retribuzioni degli italiani: «La mobilità paga», sottolinea il presidente dell’Inps.
Si riduce l’uso degli ammortizzatori sociali
Nel corso della crisi il ricorso alla Cig è stato importante e ha interessato molte aziende del Paese. Nel totale del periodo 2008-2016 oltre 350.000 aziende hanno utilizzato la Cig nelle sue varie tipologie. Un terzo delle aziende ha utilizzato la Cig in un solo anno, ma sono numerosi i casi di utilizzo prolungato. I lavoratori che hanno beneficiato della cassa risultavano quasi 1,4 milioni nel 2014, sono scesi a poco più di un milione nel 2015, mentre la loro consistenza nel 2016 risulta, secondo il rapporto dell’Inps, inferiore a 700.000: il calo è stato del 25% nel 2015 e del 32% nel 2016. Una riduzione che ha interessato soprattutto i giovani e le donne.
«Una neo-mamma guadagna il 35% in meno»
Sempre in tema di lavoro, l’Inps ha inoltre analizzato quanto costa la maternità: 24 mesi dopo l’inizio del congedo, la donna guadagna nei primi due anni circa il 35% in meno di quanto avrebbe guadagnato se non avesse avuto il figlio. La perdita è più alta per le donne che hanno un figlio prima dei 30 anni e per quelle che al momento del congedo lavoravano con un contratto a tempo determinato. E non a caso la crisi ha fortemente ridotto le nascite (-20% nel Nord del Paese).
«Bene il Reddito di inserimento, ma non basta»
Il reddito di inserimento, introdotto dal governo Gentiloni, «è un passo avanti rispetto alle tante misure parziali introdotte negli ultimi anni, ma è ancora una misura basata su condizioni categoriali arbitrarie», la presenza di un minore o di un disabile, di una donna in gravidanza o di un disoccupato over 55. Per Boeri queste condizioni «contribuiscono a contenere la spesa, ma possono finire per escludere molte persone bisognose di aiuto. L’obiettivo, invece, deve essere quello di offrire un sostegno a tutti quelli che hanno veramente bisogno». L’importo del Rei poi sembra «anche troppo basso: non potrà eccedere i 340 euro al mese per una persona sola, quando la corrispondente soglia Istat di povertà assoluta, anche al sud, è superiore ai 600 euro al mese».
Un nuovo nome all’Inps?
Il presidente Boeri ha infine chiesto al parlamento di cambiare la denominazione dell’Inps, da Istituto nazionale della previdenza sociale in Istituto nazionale della protezione sociale: «Non ci sono oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Non servirà neanche cambiare l’acronimo sulle nostre sedi». Una nuova sigla che per Boeri corrisponderebbe di più a quello che l’Inps fa ogni giorno.
Fonte:http://www.lastampa.it/2017/07/04/economia/boeri-bisogna-dire-la-verit-agli-italiani-senza-immigrati-linps-crollerebbe-SryiT6oW4Tu2aonINATLmM/pagina.html
...questo individuo o è un drogato o un alcolizzato...in entrambi i casi va rimosso dal suo posto e destinato ad incarichi più idonei alla sua preparazione culturale e meno dannosi per il Popolo Italiano!!!
RispondiElimina