Maurizio Belpietro per la Verità
Ieri, sulla prima pagina di Repubblica, Sergio Rizzo, un bravo collega che ha il merito di aver spesso scoperchiato il pentolone in cui bollono sprechi e privilegi politici, spiegava in un editoriale che lo scandalo vero dei vitalizi non consiste nell’ assegno che ogni onorevole o consigliere regionale incassa ogni mese, assegno assai più ricco di chi abbia lavorato una vita ma senza mai sedersi sui banchi di Montecitorio o Palazzo Madama, ma la doppia pensione.
Si dà il caso infatti che molti onorevoli durante la loro carriera politica, oltre ad aver maturato un vitalizio senza limite alcuno di età e di servizio, abbiano potuto maturare anche una pensione, godendo del meccanismo dei contributi figurativi.
In pratica, chi sia stato eletto alla Camera o al Senato (ma anche in Consiglio regionale) grazie a una legge dello Stato non solo si vede conservato il posto di lavoro, come è giusto che sia, ma vede proseguire in progressione anche la propria pensione per via di una contribuzione che non c’ è, perché nessuno la versa in quanto il dipendente non lavora, ma che l’ ente previdenziale è costretto a considerare come se ci fosse. Questa pensione, maturata nonostante la mancanza di parte o tutta la contribuzione, a fine mandato parlamentare si somma al vitalizio, cioè a un’ altra pensione, con il risultato di regalare agli onorevoli il privilegio di godere di due pensioni. Anzi, qualche volta di tre.
Fin qui Sergio Rizzo, che ieri sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari riportava una stima del presidente dell’ Inps, Tito Boeri, secondo cui, su 2.600 politici che percepiscono il vitalizio, 1.323 risultano «avere periodi di contribuzione figurativa da carica elettiva». Tradotto, significa che la metà dei parlamentari e consiglieri regionali che percepisce il vitalizio ha anche una pensione regalata tutta o in parte dai cittadini.
Mentre scriveva queste giuste osservazioni, Rizzo però non si dev’ essere accorto che il caporedattore di Repubblica stava impaginando il suo editoriale sopra un articolo dell’ uomo dalla cui iniziativa 42 anni fa nacque Repubblica. La faccia di Eugenio Scalfari anzi arrivava prima della firma, introducendo due pagine nella sezione cultura in cui Barbapapà (questo il soprannome redazionale dell’ illustre ex direttore) raccontava le poesie della sua vita, ovvero quelle che ha amato di più.
Ironia della sorte, il Fondatore deve aver amato molto anche le norme sui vitalizi, perché dal 1971, ossia da quasi cinquant’ anni, ne percepisce uno. Era il 1968 quando fu eletto deputato tra le fila del Psi. Giacomo Mancini gli offrì un posto in lista per sottrarlo al carcere. Da direttore dell’ Espresso, insieme con il collega Lino Jannuzzi, aveva pubblicato un’ inchiesta accusando il generale Giovanni De Lorenzo di aver ordito un colpo di Stato. Querelato dall’ alto ufficiale, Scalfari fu condannato a 15 mesi di carcere (in appello fu assolto), ma per evitare di vederlo dietro le sbarre il segretario socialista gli offrì l’ immunità, che all’ epoca era assoluta.
L’ esperienza parlamentare di Eugenio però durò poco, solo una legislatura, perché poi, come è noto, preferì tornare al giornalismo e di lì a qualche anno diede vita a Repubblica. Tuttavia, di quell’ esperienza gli è rimasto il vitalizio, che, in base alle norme di allora, gli fu liquidato subito, appena mise piede fuori da Montecitorio.
In passato, quando dirigevo un altro giornale, ricordo che chiesi ai colleghi di calcolare quanti soldi in più avessero incassato gli ex onorevoli rispetto ai contributi versati e dall’ inchiesta venne fuori che Scalfari, grazie a un vitalizio pagato per decenni, si era messo in tasca quasi 1 milione in più di quel che la Camera gli aveva trattenuto. Ovviamente Barbapapà non è il solo ad aver goduto del privilegio di un vitalizio così generoso, per giunta unito ad una pensione.
Qualcuno anzi è riuscito a far meglio di lui, come ad esempio lo scomparso Stefano Rodotà, che essendo stato deputato in quattro legislature sommò a lungo il proprio vitalizio con la pensione da docente universitario e la retribuzione da presidente dell’ Autorità garante per la protezione dei dati personali, incarico che ha alternato all’ attività di editorialista proprio per il quotidiano fondato da Scalfari.
Ah, dimenticavo: tra le rime citate ieri da Eugenio ce n’ è una che pare la sintesi perfetta di questa storia dei vitalizi: «Se povero tu sei, povero resterai. Le ricchezze si danno ai ricchi, ai poveri mai».
Ps. Mentre scrivevo questo articolo, è scoppiata la polemica fra i 5 stelle e Maria Elisabetta Alberti Casellati. La presidentessa del Senato infatti avrebbe tirato il freno al taglio degli assegni incassati dagli ex onorevoli. Questioni giuridiche, par di capire. La Casellati, avendo fatto per una vita l’ avvocato, di certo è sensibile alle questioni giuridiche, ma temo che sia meno sensibile, nonostante la lunga presenza in Parlamento, alle questioni politiche.
Fermando il taglio infatti non soltanto fa un favore ai pentastellati, i quali possono prendersela con l’ establishment, ma dà un taglio ai consensi del partito da cui proviene, ossia Forza Italia, che già ora non se la passa bene, ma domani potrebbe passarsela peggio.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.