mercoledì 8 novembre 2017

Travaglio smerda i media per il trattamento a doppio peso tra la Raggi e Zingaretti. Demoliti.

Chi può e chi non può

Editoriale di Marco Travaglio
da Il Fatto Quotidiano  8 novembre 2017

Noi, che siamo gente semplice, pendiamo sempre dalle labbra dei giornaloni che la sanno più lunga di noi. Solo che certe volte non riusciamo proprio a capire. Esempio: se le elezioni le vince chi arriva primo, a prescindere dai voti, ci facciamo l’idea che in Sicilia abbia vinto il centrodestra e a Ostia (al primo turno) i 5Stelle. Invece sentiamo dire che in Sicilia ha vinto B. in persona, anche se cinque anni fa schierava due liste – Pdl al 12,9% e “Partito dei siciliani” di Miccichè al 15,4 – mentre ora con una sola ha raccolto il 16,4%. E, naturalmente, i veri sconfitti in Sicilia sono i 5Stelle, ancor più del Pd (Repubblica: “una batosta ancora più sonora, uno smacco ancora più bruciante di Renzi, un fallimento drammatico, una disfatta sul campo”). Ma pure a Ostia, perché calano sull’anno scorso e naturalmente è colpa della Raggi (Repubblica: “Con tutta evidenza risulta una bocciatura del governo Raggi”). Quindi – pensiamo noi ingenui – contano anche i voti? Sì e no. Contano a Ostia dove i 5Stelle sono primi col 31%, ma perdono il 13. E non contano in Sicilia, dove raddoppiano (da 285 a 505 mila, cioè dal 14,9 al 26.6%). Anche l’astensione non è colpa, pro quota, di tutti i partiti, ma solo del M5S: in Sicilia, dov’è pressoché identica a 5 anni fa (il Corriere riesce a titolare a pag. 1 “L’astensione batte il M5S” e a pag. 9 “Musumeci e Cancelleri hanno attratto il voto di molti astenuti del 2012”); e a Ostia dove è di molto aumentata, anche per un nubifragio e perché era un voto circoscrizionale, non comunale come nel 2016. Quindi per i 5Stelle è sempre un disastro, sia che arrivino secondi, sia che arrivino primi (e gli astenuti sono tutti roba loro). Per gli altri, invece, vediamo.

Nella nostra semplicità, pensavamo poi che, per un politico e pubblico amministratore, un’accusa di falsa testimonianza (dolosa) nel maxiprocesso più grave mai visto nella propria città, cioè Mafia Capitale, fosse più grave di un’accusa di condotte colpose in una disgrazia imprevedibile e ancora inspiegata, come il caos del 3 giugno in piazza San Carlo a Torino con un morto e centinaia di feriti. Salvo, si capisce, che il morto non l’abbia ammazzato con le proprie mani il politico medesimo. Invece anche qui ci sbagliavamo. Venerdì il Tribunale di Roma che ha condannato Carminati, Buzzi e altri 39 imputati a 250 anni di carcere per il più grave scandalo di corruzione e malavita della storia capitolina ha invitato la Procura a indagare il governatore Pd Nicola Zingaretti e altri 26 testi per falsa testimonianza. E lunedì è stato accontentato. Ma un solo giornale ha dato la notizia in prima pagina: il Fatto.

In compenso i 20 inviti a comparire per piazza San Carlo alla sindaca Chiara Appendino, al questore e a vari dirigenti e funzionari erano talmente decisivi per le sorti della Nazione che sono stati preannunciati da Stampa e Corriere giovedì, e poi venerdì, sabato, domenica e lunedì dagli altri giornali, tg, siti e talk con largo anticipo rispetto alla spedizione, avvenuta lunedì. Così la grancassa è proseguita ieri, e avanti così fino al processo e anche dopo. Mentre cercavamo di capire in che senso una disgrazia imprevedibile sia politicamente e moralmente più grave di una serie impressionante di bugie e “non ricordo” sulla banda Buzzi & Carminati, ci ha soccorso un “retroscena” di Repubblica sul doppiopesismo. Di chi? Dei grillini: “E ora per i 5Stelle cade un altro muro. Niente dimissioni anche per reati gravi”. Una preziosa lezione d’imparzialità contro l’“etica pret-à-porter” di chi “indossa la comoda mise garantista nei confronti degli aderenti” come nelle “sfilate di moda”. In basso, piccolo piccolo nella stessa pagina sormontata dal titolone sull’Appendino serial killer, ecco Zingaretti indagato per falsa testimonianza. Ma niente paura, è “un atto dovuto” (com’è noto, le indagini per spergiuro sono praticamente obbligatorie per ogni governatore che si rispetti). Ed ecco il fervorino: “Disastro colposo. Appendino come la Vincenzi, la sindaca dell’alluvione di Genova. Nel 2016, cinque anni dopo i morti, sul blog di Grillo piovevano ancora insulti” e “ancora a dicembre l’assessora Muraro, indagata nella rifiutopoli della Capitale, si era dimessa”; ma poi “i dettami sono cambiati per salvare l’indagata Raggi” e, in prospettiva, pure l’Appendino che “è stata fortunata per aver ricevuto l’avviso di garanzia nella stagione autunno-inverno 2017”, altrimenti prima l’avrebbero cacciata.

Ora, quando Grillo pubblicò l’elenco degli impresentabili Pd, la Vincenzi non era indagata, ma rinviata a giudizio, e anche per reati dolosi come il falso, per cui di lì a poco sarebbe stata condannata a 5 anni: quindi con l’Appendino c’entra come i cavoli a merenda. E già prima del “nuovo” codice etico i sindaci grillini indagati non venivano cacciati se i fatti erano da accertare (Pizzarotti fu sospeso non per l’indagine, ma per non averla comunicata; Nogarin e la Raggi, indagata appena eletta per lo scoop del Fatto su un incarico non dichiarato, restarono). Se invece i fatti sono accertati e ritenuti gravi, i 5Stelle espellevano prima ed espellono o sospendono ora (dai sindaci di Quarto e Bagheria ai deputati di Palermo che non rispondono al pm sulle firme false). La Muraro quando si dimise era linciata ogni giorno da Repubblica & C. e financo accostata a Mafia Capitale. Ora che se n’è andata, Repubblica la intervista come grande esperta (qual era anche prima) di rifiuti.
 […] continua

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