mercoledì 2 gennaio 2019

IL GRANDE MISTERO DEI LINGOTTI D’ORO: PERCHE’ TUTTE LE BANCHE CENTRALI FANNO CORSA AD ACCAPARRARSENE IL PIU’ POSSIBILE

Francesco Bisozzi per “il Messaggero”
Novantadue tonnellate d’ oro sono finite nei caveau della banca centrale russa. Anche Ankara sta facendo incetta di lingotti: nel terzo trimestre del 2018, mentre la lira turca si svalutava del 25%, la Turchia ha acquistato 18,5 tonnellate d’ oro, portando le sue riserve auree a quota 258,6 tonnellate. L’ Ungheria di Viktor Orbán le ha addirittura decuplicate, a ottobre, passando da 3 a 31,5 tonnellate nel giro di poche settimane. Lo stesso ha fatto la Polonia, che oggi dispone di 116,7 tonnellate (erano 13,7 a giugno).
Risultato? Secondo il World Gold Council, durante la scorsa estate le banche centrali hanno acquistato nel complesso 148 tonnellate d’ oro, il 22% in più rispetto al 2017. Segno che la prospettiva di una nuova crisi globale si sta facendo sempre più tangibile.
LE MOSSE
Ma la corsa all’ oro delle banche centrali va avanti già da tempo. La Germania, le cui riserve auree sono seconde solo a quelle degli Stati Uniti, a partire dal 2013 ha iniziato a rimpatriare molti dei lingotti che custodiva all’ estero, nei caveau della Federal Reserve e della Bank of England oltre che della banca centrale francese, per un controvalore pari a 95 miliardi di euro.
La Cina, che dichiara di possedere circa 1.800 tonnellate d’ oro, in realtà secondo gli analisti potrebbe averne accumulate oltre ventimila dal 1983 a oggi. Persino il Venezuela di Maduro si è mosso: il Banco Central de Venezuela ad agosto ha chiesto alla Bank of England la restituzione di 14 tonnellate di lingotti d’ oro, corrispondenti al 10% delle riserve auree del paese latinoamericano. Restano stabili invece le riserve auree della Banca d’ Italia, quarto detentore di oro al mondo (possiede 2.452 tonnellate), dopo la Federal Reserve statunitense, la Bundesbank tedesca e il Fondo monetario internazionale.
LE RAGIONI
Dietro all’ inusuale corsa all’ oro generata negli ultimi mesi dagli acquisti delle banche centrali, risiedono numerosi fattori che sembrano annunciare l’ approssimarsi di una nuova era d’ instabilità.
L’ indebolimento del dollaro è uno di questi: sono sempre più numerose le banche d’ affari che ne prevedono il crollo. Come Morgan Stanley, che in un report dal titolo eloquente, Time to sell Usd («È ora di vendere il dollaro»), ha affermato nelle scorse settimane che l’ indice del dollaro passerà da 97 a 82 punti nel giro dei prossimi ventiquattro mesi: per la valuta di Donald Trump il 2020 sarà un anno nero, scommettono gli analisti.
Ma si temono anche gli effetti di un rallentamento dell’ economia cinese, determinato dalla guerra dei dazi innescata da Washington. Con in pancia 1,15 trilioni di dollari di titoli di Stato americani, Pechino è il più grande detentore del debito statunitense. Non è escluso, però, che decida di sbarazzarsene. Se le profezie si avvereranno, chi avrà l’ oro detterà le regole.
2 – RITORNA «LA FEBBRE» DELL’ ORO LA SCOMMESSA È QUOTA 1.550
Ennio Montagnani per “il Giornale”
Contrariamente a quando è accaduto in altri momenti di difficoltà dei mercati azionari internazionali – nel 2018 l’ indice S&P 500 ha perso il 6,2% mentre l’ Msci world il 10,4% – lo scorso anno l’ oro e gli altri metalli preziosi non sono stati oggetto di acquisti massicci da parte degli investitori istituzionali alla ricerca di «beni rifugio».
Perché le preoccupazioni collegate al ciclo economico e alla guerra commerciale in corso tra Stati Uniti e Cina hanno pesato al punto da provocare a volte un sostanziale «congelamento» delle strategie.
L’ anno appena incominciato, assicurano gli analisti del settore, dovrebbe però segnare un punto di svolta. E il metallo giallo apprezzarsi abbastanza rapidamente dai 1.284 dollari l’ oncia attuali a 1.300 e poi a quota 1.375. Quindi, ma soltanto se saranno vinte alcune forti «resistenze» anche di natura tecnica, forse addirittura toccare i 1.550 dollari.
Alla base dell’ atteso mini-rally ci sono, secondo gli esperti, per prima cosa una domanda mondiale di metallo giallo che resta sostenuta, soprattutto dall’ India, paese che è uno dei più grandi compratori al mondo. Per non parlare del fatto – nota Mark Lacey di Schroders – che il rialzo dei tassi deciso dalla Fed determinerà un rallentamento dell’ economia Usa, raffreddando così la forza del dollaro, la valuta nella quale il metallo prezioso è quotato sui mercati finanziari internazionali.
Questa tesi è condivisa da Goldman Sachs che, proprio per il rallentamento della ripresa internazionale, si attendono un ritorno di fiamma per i beni rifugio.
A partire dall’ oro che, ha detto Goldman Sachs, potrebbe beneficare anche degli ordini di acquisto dalla Federal Reserve. Ma quali potrebbero essere i livelli delle quotazioni al rialzo per il metallo giallo nel 2019? Gli analisti di InvestingHaven – osservando l’ andamento del prezzo dell’ oro degli ultimi 40 anni e incrociandolo con quello del dollaro, dei tassi di interesse statunitensi al netto dell’ inflazione e il Cot (Commitment of Traders, il rapporto tra investitori rialzisti e ribassisti) – hanno formulato una previsione moderatamente rialzista dei prezzi dell’ oro per i prossimi 12 mesi.
Più in particolare le previsioni sono per un graduale rialzo verso l’ area 1.300 dollari, con buona probabilità di raggiungere appunto i 1.375 dollari. A questo livello però è posta una forte resistenza tecnica: se le quotazioni la superassero – la probabilità è stimata al 20% – il prezzo dell’ oro potrebbe proiettarsi fino a 1.550 dollari entro la fine del 2019. Per contro esiste però la possibilità (stimata al 5%) che le quotazioni possano invece cadere sotto i 1.200 dollari.
Quanto agli altri metalli preziosi, il platino, dopo aver perso l’ 11% in euro nel 2018 potrebbe continuare a calare anche nell’ anno appena iniziato in quanto la domanda a livello globale è stimata in discesa, mentre l’ offerta dovrebbe risultare superiore alle richieste sebbene in leggera contrazione rispetto agli ultimi due anni. Infine, l’ argento, che ha perso circa sette punti percentuali nel 2018, potrebbe risalire nei prossimi 12 mesi soprattutto se il dollaro si mostrasse meno forte. Se la quotazione dell’ argento – attualmente a 15,5 dollari l’ oncia – riuscisse poi a rompere con decisione la resistenza tecnica posta a 16 dollari, secondo gli esperti, potrebbe portarsi dapprima in area 17 dollari. Per poi salire fino a toccare un prezzo di 21,5 dollari.

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