venerdì 24 novembre 2017

Travaglio non ha dubbi. Ecco chi preferisce tra Di Maio e il condannato Berlusconi e perchè..

(www.pressreader.com) – di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano del 24 novembre – “L’impagabile duetto fra Giovanni Floris ed Eugenio Scalfari, l’uno che domanda chi voterebbe fra Berlusconi e Di Maio e l’altro che risponde “Berlusconi”, rende attualissimo l’apologo di Eduardo De Filippo in “A che servono questi quattrini”: “Una volta a un contadino cinese fuggì il cavallo. E tutti vennero a fargli le condoglianze. ‘E chi vi dice che sia una disgrazia?’, rispose il contadino. Infatti il cavallo tornò con altri sette. Tutti tornarono per congratularsi. ‘E chi vi dice che sia una fortuna?’, rispose il contadino. Infatti, cavalcando uno dei sette cavalli, il figlio cadde e si ruppe una gamba. Tutti tornarono a fare le condoglianze al contadino, che rispose: ‘E chi vi dice che sia una disgrazia?’. Infatti scoppiò la guerra e il figlio, grazie alla gamba rotta, fu riformato”. Morale: non tutti i mali vengono per nuocere. Come ha scritto ieri Antonio Padellaro, l’improvviso attacco di sincerità di Scalfari, oltre al comprensibile sconcerto fra i lettori di Repubblica e anche fra quanti, pur non amandolo, l’avevano sempre stimato per la sua battaglia contro B., ha sortito un effetto positivo: fare chiarezza. Non solo agli occhi di chi aveva scambiato una guerra di potere (fra centrodestra e centrosinistra, fra gruppo B. e gruppo De Benedetti) per una battaglia di principi, di idee e di valori morali. Ma anche agli occhi di chi non ha colto il nuovo bipolarismo B.-Di Maio e pensa che le prossime elezioni riprodurranno il tripolarismo Pd-M5S-centrodestra, come quelle dell’ultimo quinquennio (Politiche 2013, Europee 2014, comunali e regionali annuali fino allo scorso giugno).
Quel tripolarismo, salvo sorprese, è appena morto in Sicilia e a Ostia. Lì, dalle urne, è uscito un mercato politico semplificato da tre poli equivalenti a due e mezzo. Che poi, siccome in politica i mezzi valgono più o meno zero, si riducono a due: non più destra-sinistra, ma destra-5Stelle. In Sicilia il M5S è il primo partito, ha aumentato i voti ma, non avendo alleati e non facendo liste civetta, è stato penalizzato dal sistema elettorale che ha premiato l’ammucchiata di Musumeci. A Ostia, primo partito anche lì, i 5Stelle sono arrivati primi davanti alla destra e, al ballottaggio, l’hanno staccata raddoppiando i consensi grazie a un piccolo recupero di astenuti e al soccorso di molti elettori del Pd e della Sinistra. In entrambe le elezioni il “voto utile”, che finora favoriva il Pd (votate noi anche se vi facciamo schifo, sennò vince B.), ha avvantaggiato il M5S (i “grillini” saranno un’incognita di inesperti e inaffidabili, ma non rubano e soprattutto sono primi, quindi hanno più chance di battere B.&C.).
In Sicilia il voto disgiunto ha portato molti dem a barrare il Pd come lista, ma il pentastellato Cancelleri come candidato governatore, che infatti ha avuto il 34,6% dei voti contro il 26,6% della lista M5S (e non il sicuro perdente Micari). A Ostia il ballottaggio ha riprodotto, rovesciandola, la tendenza emersa alle comunali di Roma, Torino e tante altre città: se là il Pd era andato ai ballottaggi col M5S e li aveva persi tutti, perché il centrodestra si era astenuto o aveva votato Grillo, nel X Municipio di Roma al ballottaggio coi grillini ci è andata la destra e l’ha perso perché i progressisti si sono astenuti o hanno votato Grillo. Il Movimento calamita “voti utili” sia dalla destra contro la sinistra, sia dalla sinistra contro la destra, perché si proclama “né di destra né di sinistra” contro “Pdelle e Pdmenoelle”. Che accadrà alle Politiche? Le simulazioni dei sondaggisti dicono che la destra farà il pieno di collegi nel Nord, il Pd nelle regioni rosse del Centro e i 5Stelle nel Centro-Sud (dal Lazio in giù, isole escluse). Ma questi oracoli rischiano di essere datati, se il neo-bipolarismo scalfariano (B. contro Di Maio, o viceversa) entrerà nell’immaginario collettivo; e se la Sinistra guidata da Piero Grasso sarà unita e autonoma.
Quanti voti prenderà Renzi e quanti ne perderà a vantaggio della Sinistra nelle regioni rosse? E quanti elettori del centrosinistra, vedendo scannarsi e cannibalizzarsi l’uomo di Renzi e quello di Grasso nel proprio collegio uninominale, faranno come in Sicilia e opteranno per il “voto utile”: cioè sceglieranno, magari turandosi il naso, il candidato 5Stelle per le sue maggiori chance di battere il forza-leghista? La cosa, in Sicilia, si è notata poco, perché nel conteggio finale le liste di centrosinistra hanno totalizzato il 25% (contro l’appena 18,6 di Micari). Ma lì, appunto, c’era il voto disgiunto, che nel Rosatellum è proibito: se scegli un candidato nel collegio, voti anche obbligatoriamente nel proporzionale una delle liste bloccate che lo sostengono. Il Rosatellum infatti è nato già vecchio, perché fotografa un quadro tripolare dove due poli (FI-Lega e Pd) tentavano di eliminare il terzo incomodo (M5S) vietando il voto disgiunto e favorendo le finte coalizioni. Ma nella nuova logica bipolare B.-Di Maio, col centrosinistra nei panni del terzo incomodo e per giunta diviso, a fare le spese del voto congiunto potrebbero non essere più i grillini, ma i renziani. Specie se Di Maio riuscisse a presentare candidati e futuri ministri credibili. A quel punto, gli italiani andrebbero alle urne divisi a metà: quelli che “tutti meno Di Maio” (linea Scalfari) e quelli che “tutti meno B.” (la nostra modestissima linea). E, per una volta, la partita non si giocherebbe fra destra e sinistra, ma fra nuovo (con tutte le sue incognite) e vecchio (con tutte le sue indecenti certezze). E Renzi, ridotto da voto utile a voto futile, potrebbe rimpiangere amaramente quello disgiunto, che almeno gli avrebbe garantito i suoi numeri al proporzionale, ma che lui stesso ha proibito non sospettando di darsi la zappa sui piedi. Nel qual caso, al posto di Ettore Rosato, cominceremmo a darci alla latitanza.

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