martedì 27 agosto 2019

Governo, Trump irrompe nella trattativa tra M5s-Pd "Spero nel bis di ʼGiuseppe Conteʼ"

Sono ore sempre più concitate per la formazione di un nuovo governo. La trattativa tra Pd e Movimento 5 stelle ruota attorno alla conferma di Conte come premier. Nel frattempo, da oltreoceano, arriva l'endorsement (particolarmente significativo) di Donald Trump. Il presidente degli Stati Uniti, su Twitter, auspica che il presidente del Consiglio mantenga la carica ("Spero resti, ha fatto un lavoro egregio al G7"), ma sbaglia il nome del premier italiano: nel post, infatti, fa i complimenti a "Giuseppi Conte". Il tweet è stato poi cancellato e ripubblicato senza l'errore ortografico, ma non è sfuggito all'occhio attento della Rete.

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mercoledì 3 aprile 2019

Moscovici finalmente denunciato! Ha turbato i mercati per danneggiare l’Italia”

Guerra contro Pierre Moscovici e Günther Oettinger, rispettivamente Commissario europeo per gli affari economici e monetari e quello per il bilancio e le risorse umane. E, attenzione, a dichiarare guerra non è il governo italiano, o Matteo Salvini, ma due giornalisti de La vita in diretta, il programma Rai condotto da Francesca Fialdini e Tiberio Timperi. Rivela infatti Dagospia che Lorenzo Lo Basso e Francesco Palese, due cronisti della trasmissione, hanno denunciato Moscovici e Oettinger per le loro dichiarazioni sull’Italia che “hanno pesantemente turbato i mercati”. Una decisione clamorosa, quella dei due giornalisti del servizio pubblico: come avranno reagito in Rai, si chiede Dago?

UNA MONTAGNA DI SOLDI IN LUSSEMBURGO E ISRAELE: ECCO IL “TESORO” DI MATTEO RENZI, REGALATO IN QUESTI ANNI DAI SUOI “PADRONI”

La partita delle nomine è fondamentale, per sbloccare la casella a cui tiene di più, quella dell’intelligence informatica, di Marco Carrai. Ma chi c’è dietro Carrai? Quali sono i suoi soci? E soprattutto: perché Renzi non può rinunciare alla sua nomina? La risposta è proprio nella rete di rapporti, soldi e uomini, legati a doppio filo con Carrai. Una rete che il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare. Grandi imprenditori delle infrastrutture pubbliche, consiglieri di Finmeccanica, capi di importanti gruppi bancari, ex agenti dei servizi segreti israeliani, uomini legati ai colossi del tabacco. Oltre al solito fedelissimo renziano Davide Serra, finanziere trapiantato a Londra e creatore del fondo Algebris. Persino un commercialista accusato di riciclaggio.
Una rete che si snoda intorno a Carrai proprio dal 2012: negli stessi giorni in cui Renzi avvia la scalata al Pd e poi al governo. Una rete che arriva sino a oggi, alla Cys4, la società di Carrai per la cybersicurezza. La stessa società a cui il governo si è aggrappato per giustificare le competenze di “Marchino”, come lo chiamano gli amici, per guidare il comparto dell’intelligence. Persino il ministroMaria Elena Boschi ne ha dovuto rispondere in aula. Eppure, è proprio la presenza sul mercato della Cys4 a rendere Carrai un uomo in pieno conflitto di interessi.

Quell’estate calda in Lussemburgo. Torniamo quindi al giugno 2012. Renzi annuncia la sua candidatura alle primarie contro Pier Luigi Bersani. Due mesi dopo Carrai vola in Lussemburgo. È il primo agosto. Il Richelieu del premier crea una società, la Wadi Ventures management capital sarl, con poche migliaia di euro e un pugno di soci. C’è la Jonathan Pacifici & Partners Ltd, società israeliana del lobbista Jonathan Pacifici, magnate delle start up che dalla “silicon valley” di Tel Aviv stanno conquistando il mondo.
A Carrai e Pacifici si uniscono la società Sdb Srl di e i manager e . I cinque della Wadi Sarl sono gli stessi che oggi controllano il 33 per cento della Cys4, la società di intelligence di Carrai. Un dato che in questa storia non bisogna mai dimenticare. Ma perché Carrai crea in Lussemburgo la Wadi sarl? La risposta arriva dalle visure camerali lussemburghesi. Fine principale: sottoscrivere e acquisire le , omonima e sempre lussemburghese, che in quel momento ancora non esiste: . Nasce nel novembre 2012. Renzi è in piena campagna elettorale. Il 27 novembre l’amico Serra, già finanziatore della Fondazione Big Bang di Renzi, versa i primi 50 mila euro nella Wadi Sca. E nelle stesse settimane Carrai, in Italia, pone le basi della futura Cys4.
A Carrai e Pacifici si uniscono la società Sdb Srl di Vittorio Giaroli e i manager Renato Attanasio Sica eGianpaolo Moscati. I cinque della Wadi Sarl sono gli stessi che oggi controllano il 33 per cento della Cys4, la società di intelligence di Carrai. Un dato che in questa storia non bisogna mai dimenticare. Ma perché Carrai crea in Lussemburgo la Wadi sarl? La risposta arriva dalle visure camerali lussemburghesi. Fine principale: sottoscrivere e acquisire le partecipazioni di un’altra società, omonima e sempre lussemburghese, che in quel momento ancora non esiste: Wadi Ventures Sca. Nasce nel novembre 2012. Renzi è in piena campagna elettorale. Il 27 novembre l’amico Serra, già finanziatore della Fondazione Big Bang di Renzi, versa i primi 50 mila euro nella Wadi Sca. E nelle stesse settimane Carrai, in Italia, pone le basi della futura Cys4.
Il 26 ottobre “Marchino” crea l’embrione della sua futura creatura, quella dedita alla cybersecurity, e che vede Renzi, proprio oggi, impegnato ad affidargli il settore informatico della nostra intelligence.
La ramificazione israeliana. L’embrione della Cys4 si chiama Cambridge management consulting labs. È una società di consulenza aziendale, iscritta alla Camera di commercio il 6 novembre, un mese prima delle primarie. I soci della Cambridge? Gli stessi della Wadi Sarl lussemburghese. Che così controllano anche la cassaforte Wadi Sca. Nella quale, dopo Serra, entra la Fb group Srl, di Marco Bernabé, già socio della Cambridge.
Stessi uomini, società diverse, che dal Lussemburgo portano anche in Israele. Bernabè è socio di un’altra Wadi Ventures, con sede a Tel Aviv, al 10 di Hanechoshet street. È la stessa sede israeliana dell’italianissima Cambridge. Il 2 dicembre Renzi perde le primarie. Le società lussemburghesi legate a Carrai conquistano invece nuovi soci. Non dimentichiamo la squadra: gli uomini della Cambridge, sono gli stessi della Wadi sarl, che controlla la Wadi Sca. E in pochi mesi arriva un altro milione. Con quali soci?
A marzo 2013, nel capitale sociale, entra la Equity Liner con 100 mila euro, creata nel 2006 da tre società (Global Trust, Finstar Holding srl, Regent Sourcing Ltd) rappresentate da AnnalisaCiampoli. La Finstar Holding, è del commercialista e faccendiere romano Bruno Capone. La signora Ciampoli, pur non essendo indagata, è definita, in alcuni atti d’indagine – quelli su un’associazione per delinquere dedita al riciclaggio transnazionale – la collaboratrice di Capone. Capone, invece, è indagato dalla Procura di Roma per riciclaggio in relazione a ingenti trasferimenti di denaro in Lussemburgo che non riguardano la Wadi.
Nel marzo 2012, dunque, il nuovo socio del gruppo di Carrai è un presunto riciclatore, tuttora indagato. Sei mesi dopo, la Equity Liner riconducibile a Capone, viene venduta a un’altra società, la Facility Partners Sa. E Renzi torna a candidarsi per le primarie.
Signori del tabacco e delle banche. In quei mesi, la lobby del tabacco è impegnata nella battaglia sulle accise. Il collegato alla Legge di stabilità prevede un aumento di 40 centesimi sui pacchetti più economici. L’operazione però salta. Renzi in quel momento non è ancora al governo. Ma è in corsa per le primarie, stavolta può vincere. Il presidente della Manifattura italiana tabacco, in quel momento, si chiama Francesco Valli. È lo stesso Valli che, fino al 2012, è stato a capo della British American Tobacco Italy. Non è di certo un uomo legato al Pd. Anzi. Presiede per tre anni, dal 2009 al 2012, la Fondazione Magna Charta creata dal senatore allora Pdl Gaetano Quagliarello. È lui il prossimo uomo ad aprire il portafogli. È il nuovo socio della Wadi Sca e del gruppo Carrai. Che la lobby della nicotina avesse finanziato Renzi, attraverso la fondazione Open, diventa noto nel luglio 2014, quando la British American Tobacco versa 100mila euro. Il Fatto può rivelare che l’interesse della lobby risale a un anno prima: tra aprile e settembre, Valli versa 150 mila euro alla Wadi Sca, diventando anch’egli socio di Carrai e Serra. Valli, contattato dal Fatto, ha preferito non commentare.

In pochi giorni si aggiunge anche Luigi Maranzana, che acquista azioni per 100 mila euro. È lo stesso Maranzana che oggi riveste la carica di presidente della Intesa San Paolo Vita, ramo assicurativo del gruppo bancario guidato da Giovanni Bazoli. Interpellato, non se n’è accorto: “Socio di Carrai e di Serra? Non ne so niente, Carrai non lo conosco, sono sempre stato lontano dalla politica – risponde al Fatto –. Ho solo fatto un investimento”. Chi gliel’ha suggerito? Clic.
Alla fine del 2013, quando Renzi diventa segretario del Pd e si avvicina a scalzare Enrico Letta, è il caso di fare qualche conto. Nella Wadi Sca, in un solo anno, sono entrati un milione e 50 mila euro e cinque nuovi soci. A controllare il tutto c’è Carrai. Non solo. Gli stessi soci di Carrai in Lussemburgo – Moscati, Bernabé, Pacifici, Sica e Giaroli – sono già attivi da un anno, in Italia, nella Cambridge, che a fine 2013 matura un utile di appena 46 mila euro. È destinato a salire vorticosamente nell’anno successivo. Quando Renzi diventa premier. Ed è proprio il 2014 a segnalare le novità più interessanti sul fronte lussemburghese.
Nominato in Finmeccanica, arriva il nuovo socio. Nella primavera del 2014, dopo aver conquistato la segreteria del Pd e varcato la soglia di Palazzo Chigi, Renzi è già impegnato nella sua prima tornata di nomine per le aziende di Stato. E nel cda di Finmeccanica entra un uomo che l’ha sostenuto sin dall’inizio: Fabrizio Landi, esperto del settore bio-medicale, tra i primi finanziatori della Leopolda con 10 mila euro. “Ma lei pensa che con 10 mila euro ci si compra un posto nella società più tecnologica del Paese?”, dice Landi all’Huffington Post. In effetti, tre mesi dopo la sua nomina in Finmeccanica, Landi versa altri 75 mila euro comprando altrettante azioni della Wadi Sca.
Non è l’unico a incrementare il capitale della Wadi e, soprattutto, a diventare socio del gruppo legato a Carrai. C’è anche un importante imprenditore che, proprio in quelle settimane, fatica a farsi ascoltare dall’ex ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi, nonostante gestisca appalti pubblici per miliardi. Il suo nome è Michele Pizzarotti, costruttore.
“Sostegno all’estero” per l’uomo delle strade. Ad aprile Pizzarotti ha un problema: riuscire a parlare con l’ex ministro Maurizio Lupi. Per riuscirci, deve passare attraverso tale FrancoCavallo, detto “zio Frank”, amico di Lupi, che organizza tavoli con visione del ministro, annesso dialogo e strette di mano, in cene da 10mila euro: “Inizia alle 7? A che ora finirà? Si cena in piedi?”, chiede Pizzarotti a “zio Frank”, il 19 marzo 2014, annunciandogli la sua presenza. Dodici giorni dopo – il primo aprile 2014 – “zio Frank” gli fissa un appuntamento telefonico con Emanuele Forlani, della segreteria di Lupi, ma l’aggancio non funziona. “Mi ha detto ‘devo vedere’…”, spiega Pizzarotti a zio Frank, “per l’amor di Dio sarà impegnatissimo, però, ragazzi, stiamo parlando di un’impresa che ha in ballo 4 miliardi di opere bloccate per motivi burocratici assurdi”. Ecco, nell’aprile 2014, Pizzarotti ha un problema: tenta di parlare con Lupi perché vede le sue “opere bloccate per assurdi motivi burocratici”. Cinque mesi dopo, versa 100 mila euro in Lussemburgo, alla Wadi Sca, diventando socio degli uomini più vicini a Renzi. Eppure il business delle start up non è mai stato il suo core business. Due mesi dopo questo versamento Renzi è a Parma, nell’azienda Pizzarotti, dove lo accolgono il patron Paolo con i figli Michele ed Enrica: “Occorre far ripartire l’edilizia”, dice davanti alle tv, “il governo vuol sostenere le imprese italiane all’estero”.
Di certo, in quel momento, c’è che è proprio Pizzarotti a sostenere un’azienda all’estero, per la precisione la Wadi sca. Contattato dal Fatto, l’imprenditore spiega che i problemi sono rimasti anche con l’arrivo al posto di Lupi di Graziano Delrio che però, a differenza del predecessore, almeno l’ha ricevuto. “Ci ha accolto, sì, ma senza alcun vantaggio per i nostri lavori”. Chi l’ha invitata – chiediamo – a investire nella Wadi? “Pacifici. Non sapevo fosse controllata da Carrai”. E sono due. Poi aggiunge: “L’ho scelta perché investe in start up in Israele, Paese più innovativo assieme alla California, dove peraltro la mia impresa lavora, nella convinzione di fare un affare azzeccato. Pacifici mi invia periodicamente report sull’andamento dei nostri investimenti”. E Israele, in questa storia, è davvero centrale.
Dal Mossad agli affari. Alla Wadi Sarl, nell’estate del 2014, si aggiunge un’altra società, la Leading Edge, riconducibile a Reuven Ulmansky, veterano della unità 8200 dell’esercito israeliano, creata nel 1952, equivalente alla National security agency (Nsa) degli Usa, dedita da sempre alla guerra cibernetica e alla “raccolta dati” per l’intelligence israeliana. Ulmansky è socio di Carrai e degli stessi uomini che, pochi mesi dopo, nel dicembre 2014, partecipano con il 33 per cento alla neonata Cys4 che, guarda caso, vanta tre sedi in Italia e una a Tel Aviv.
Chi sono i soci della Cys4? Per il 33 per cento, appunto, sono Sica, Moscati, la Fb di Bernabè, Pacifici e Carrai. Quali sono i soci della lussemburghese Wadi Sarl? Sica, Moscati, Bernabé, Pacifici, Carrai. E Sica, Moscati e Carrai, amministrano la cassaforte Wadi sca, dove hanno investito i loro soldi Serra, il futuro capo di San Paolo Vita, Maranzana, il futuro consigliere di Finmeccanica Landi, l’uomo della lobby del tabacco Valli, il grande imprenditore Pizzarotti.
Con i nuovi soci si cresce. Il 30 novembre 2014 la società porta il capitale a 1,5 milioni e delibera aumenti fino a 3 milioni. Gestiti dagli stessi uomini che controllano, attraverso la Cambridge, il 33 per cento della Cys4. E sul fronte italiano? La Cambridge, amministrata dallo stesso gruppo, nel 2014 vede esplodere l’utile da 46 mila euro a 1,5 milioni.
Ieri Il Fatto ha contattato Carrai, che ha preferito non rispondere alle nostre domande. È per lui che il premier Renzi sta ridisegnando l’intelligence del Paese, ridistribuendo poteri e rischiando disequilibri e frizioni con il Quirinale. Il tutto solo per creare un ruolo chiave da assegnare a Marco Carrai.
fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/21/carrai-la-rete-occulta-dello-007-di-renzi-tra-soldi-allestero-e-faccendieri/2566729/

Scamarcio, che schiaffo ai radical-chic: ho votato per loro e li appoggio. Non mi faccio abbindolare dalla propaganda buonista

Riccardo Scamarcio, tra gli attori italiani più quotati, oggi a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1 ha espresso il suo giudizio sull’operato del nuovo governo M5S-Lega, che sta provocando molte critiche di eccessiva durezza al nuovo esecutivo guidato da Giuseppe Conte.
Come ha vissuto la chiusura dei porti decisa dal Ministro Salvini?
“Chiusura dei porti è una semplificazione, non diciamo cose che non sono corrette. C’è stata una presa di posizione dell’Italia che ha prodotto due incontri bilaterali con Francia e Germania. Non sono d’accordo sul fatto che Malta, primo porto che avrebbe dovuto accogliere quella nave, poi non l’abbia accolta”.
E’ stato giusto non accogliere l’Aquarius?
“Non è che non l’abbiamo accolta, sono stati protetti e garantiti. Abbiamo sollevato un problema anche verso altri stati europei”.
C’è chi dice che Salvini abbia dei comportamenti razzisti.
“Non sono assolutamente d’accordo con chi semplifica dicendo che questo sia un governo razzista. A tutti i pensatori di sinistra che si fanno abbindolare dalla stampa mainstream dico che all’interno di questo governo ci sono persone che hanno sempre votato a sinistra, che sono degli intellettuali, e che si sono candidati con Lega e M5S”.
Quindi questo non è un governo di destra.
“No, è un governo che ingloba anche una larga parte di pensiero nazionalista nel senso più nobile nel termine”.
Lei ha votato uno dei due partiti che sono al governo?
“Si”.
M5S o Lega?
“Non ha importanza”.
Meglio la Flat Tax o il reddito di cittadinanza?
“Meglio la Flat Tax”, ha concluso Scamarcio a Rai Radio1.

“ADESSO ENTRIAMO IN GUERRA PER VINCERLA” SAVONA, LANCIA LA SFIDA ALL’EUROPA DEI BUROCRATI AL SERVIZIO DELLE BANCHE

”ABBIAMO LANCIATO IL GUANTO DI SFIDA ALLA VECCHIA EUROPA. ORA DOBBIAMO VINCERE LA GUERRA, PERCHÉ GUERRA SARÀ”. QUESTO HA SCRITTO IL MINISTRO PER GLI AFFARI EUROPEI PAOLO SAVONA A DANIELE LAZZERI (DIRETTORE DE ‘IL NODIO DI GORDIO’) – INSOMMA MATTARELLA LO HA BOCCIATO COME MINISTRO DELL’ECONOMIA MA IL RISULTATO NON CAMBIA: ”CON LA FORTE VOLONTÀ POLITICA” DI SALVINI E DI MAIO ALLA FINE è PASSATA LA MANOVRA ‘SAVONIANA’
Oggi sulla bacheca Facebook di Daniele Lazzeri, direttore del think tank e rivista ”il Nodo di Gordio”, è apparso questo post:

Questa mattina mi ha scritto il Ministro Savona:
“Senza una forte volontà politica non si sarebbe potuto fare nulla. Abbiamo lanciato il guanto di sfida alla vecchia Europa, ora dobbiamo vincere la guerra, perché guerra sarà. Grazie e buon lavoro. Paolo”.
Grande Professore!

BENZINA, TAGLIO ALLE ACCISE? IMPOSSIBILE GRAZIE AD UNA LEGGINA VOLUTA DA RENZI: ecco l’ultimo regalo del codardo agli italiani

Il taglio alle accise benzina? No, per colpa di Renzi vanno alzate

Il governo ha promesso un taglio alle accise sulla benzina. Ma la risposta del Mef ad una interrogazione spiega: dal 2019 andranno aumentate
Il governo è al lavoro sulla manovra. E come ogni legge di Bilancio che si rispetti non mancano frizioni tra colleghi di maggioranza, promesse fatte (a cui occorre trovare ampie coperture finanziare) e zerovirgola da aggiustare qua e là.
In fondo la coperta è corta e puoi tirarla quanto vuoi, ma i piedi o la testa resteranno comunque fuori.
Nei giorni scorsi Massimo Bitonci, sottosegretario all’economia in quota Lega, aveva annunciato in un’intervista al Messaggero che il governo avrebbe dato il via ad “un primo sfoltimento delle accise sulla benzina”, cancellando “quelle più datate nel tempo”. Il fatto è che Forza Italia ha presentato un’interrogazione parlamentare per chiedere “se e quando” l’esecutivo “intenda procedere al taglio del costo fiscale della benzina” e soprattutto “con quali tempistiche”.
Il responso ha sorpreso gli onorevoli azzurri. “Il Governo – dice Galeazzo Bignami al Giornale.it – non solo smentisce se stesso e allontana ogni ipotesi di taglio delle accise, ma annuncia che a breve vi sarà un significativo ritocco al rialzo per garantire un ulteriore gettito alle casse dello Stato”.
A osservare la risposta all’interrogazione, in effetti, si legge chiaramente che sebbene “eventuali riduzioni delle aliquote di accisa sui carburanti” sarebbero “fattibili dal punto di vista tecnico”, da tenere in conto ci sono tre fattori. Il primo è che non possono essere cancellate del tutto perché esiste una “aliquota minima unionale” stabilita dalle direttive dell’Unione Europea. Il secondo, che “dalle predette riduzioni deriverebbero ingenti minori entrate per l’erario, proporzionali direttamente all’entità delle riduzioni praticate e che potrebbero essere quantificate soltanto in sede di elaborazione di una puntuale proposta normativa”. Terzo, un decreto legge firmato da Renzi e dal suo governo impone entro il 30 novembre di alzare ancora le accise sulla benzina. Bel regalino.
Con il D.L 91/2014, infatti, per finanziare “il meccanismo di aiuto alla crescita economica (ACE)” l’ex premier aveva previsto la più classica delle coperture: alzare le tasse sul gasolio. La norma prevede “un aumento, a decorrere dal primo gennaio 2019 dell’aliquota di accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché del gasolio usato come carburante, da adottare con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli entro il 30 novembre 2018”.
L’incremento sarà peraltro ingente, visto che dovrà essere “in misura tale da determinare maggiori entrate nette non inferiori a 140,7 milioni di euro nel 2019, 164,4 milioni di euro nel 2020 e 148,3 milioni di euro a decorrere dal 2021”. Insomma: se nulla cambierà, presto “occorrerà procedere all’emanazione di una determinazione che rimoduli in aumento le aliquote di accisa” sulla benzina. Altro che taglio: qui per colpa di Renzi vanno alzate. A meno che il governo non trovi nel fondo del barile qualche risorsa per scongiurare la batosta.

martedì 2 aprile 2019

PANICO NEI GIORNALONI! FRECCERO LANCIA FINALMENTE IL TG SOVRANISTA PER SMASCHERARE LE BALLE DI BRUXELLES

Jacopo Iacoboni per “la Stampa”
La Rai di Marcello Foa i fuochi d’ artificio di Capodanno li ha sparati il 3 gennaio. Carlo Freccero, nuovo direttore di rete, teneva una conferenza stampa sulla nuova Rai 2 in cui, assieme ad alcune intuizioni – tipo la promessa, si vedrà se realizzabile, di riportare Daniele Luttazzi in Rai – ha annunciato un programma abbastanza indicativo del mood tele-sovranista del governo giallonero: «L’ ottavo blog».
Se il motto di Rt, la tv del Cremlino, è «question more», metti tutto in dubbio, premessa per rivedere – diciamo così – il concetto di verità nel giornalismo, la Rai 2 di Freccero-Foa propone un programma giornalistico che, parole di Freccero, sarà «una rassegna dell’ informazione che non deve essere divulgata. Lo sapete benissimo, ci sono dei giornali che ritengono queste notizie sempre complottiste, ed è sbagliata, questa cosa». Insomma, ha spiegato, un programma «sull’ attualità secondo Internet, Internet che diventa mainstream». Lo sdoganamento del complottismo.
Freccero ha citato alcuni blog e siti (L’ intellettuale dissidente, Lantidiplomatico, Il nodo gordiano), alcuni intellettuali (Enzo Pennetta, Federico Dezzani), nello stile dell’ informazione «alternativa» che piace anche a Foa.
E che va brevemente illustrata. L’ antidiplomatico è il sito non ufficiale che però dà molta della linea geopolitica grillina. I lettori della «Stampa» lo conoscono da anni: filo Putin, filo Assad, fortemente anti-europeo, e anti-israeliano. Fu registrato a nome di Alessandro Bianchi, collaboratore di Alessandro Di Battista.
Il sito ebbe per un periodo tra i collaboratori Achille Lollo, ex militante di Potere Operaio condannato per il rogo di Primavalle (fu incendiata la casa di Mattei, morirono un bambino di 10 e un ragazzo di 22, figli del segretario della sezione missina di quel quartiere romano). Il nome di Lollo scomparve dopo un articolo della «Stampa» che raccontava la cosa. L’ antidiplomatico è molto dentro la galassia social pro M5S. Ovviamente adora i gilet gialli. Molto interessanti anche gli altri due siti citati da Freccero.
«L’ intellettuale dissidente» si presenta così: «Contro il monopolio dell’ informazione di massa e la finta alternanza dei punti di vista», «luogo in cui fissare il messaggio antagonista». Le citazioni della Rivoluzione Conservatrice tedesca si sprecano (Ernst Jünger su tutte), più vario rossobrunismo e molto sovranismo. Il primo titolo ieri in home page era: «Sovranità o barbarie». Il direttore e fondatore è Sebastiano Caputo, che ha in curriculum reportage dal Medio Oriente e dal Donbass (il territorio ucraino occupato dai russi), e propone in home una bella intervista a Steve Bannon, titolata: «Dove va il populismo».
Il 24 settembre Caputo scrive: «Di passaggio a Roma sono stato uno tra i primi giornalisti italiani ricevuti nella terrazza della sua stanza d’ albergo». Dalle terrazze romane, Bannon, riferisce Caputo, racconta che il disegno è fronteggiare Cina, Iran e Turchia, e per far ciò c’ è «la necessità di riportare la Russia di Putin nel blocco occidentale», e occorre «depotenziare l’ Unione europea». Tutto molto eurasiano e rossobruno.
«Il nodo di Gordio» è una rivista online e think tank, che pubblica interviste a Michael Ledeen e Luttwak, parla bene di Trump e della Russia, male di Macron. Il direttore è Daniele Lazzeri. Suoi articoli su gasdotti e oleodotti sono apparsi, informa la sua biografia sul sito, in Francia e «in Russia, Azerbaijan, Turchia e Kazakhstan»
Lazzeri fa parte della cerchia di Savona su euro e Ue: a fine settembre scrisse su Facebok (mai smentito), e Il Nodo di Gordio lo riportò: «Questa mattina mi ha scritto il ministro Savona: “Senza una forte volontà politica non si sarebbe potuto fare nulla. Abbiamo lanciato il guanto di sfida alla vecchia Europa, ora dobbiamo vincere la guerra, perché guerra sarà. Grazie e buon lavoro. Paolo”.
Grande Professore!». Siamo ansiosi di vedere questa trasmissione tv, magari già durante la campagna elettorale verso le Europee.

“Stipendi mostruosi a vita per far nulla o al massimo raccontare balle” scandalo in Rai, Milena Gabanelli svela le folli prebende dei nullafacenti della tv di Stato

Svincolata dai partiti, doveva decollare tre anni fa. Invece la più grande azienda culturale del Paese è rimasta nel parcheggio, invischiata nelle clientele e nelle inefficenze di sempre.

Mamma Rai impiega 13.058 dipendenti, di cui 1.760 giornalisti, suddivisi in 8 diverse testate: Tg1, Tg2, Tg3, TgR, Rainews 24, Il Giornale Radio, Rai Parlamento e Rai Sport. Il contratto giornalistico Rai è il più «blindato» d’ Italia: il costo azienda medio annuo è di 200.000 euro per ciascuno dei 210 capiredattori, 140.000 euro per i 300 capiservizio, 70.000 euro per i neoassunti.

Nel mondo, nessuna Tv pubblica ha tanti telegiornali nazionali. Un’ anomalia che risale ai tempi della «lottizzazione»: a ogni partito la sua area di influenza. Negli anni ha generato costi enormi poiché ogni testata ha un direttore, i vicedirettori, i tecnici, i giornalisti. E tutte le testate a coprire lo stesso evento.

Che senso ha, visto che ogni rete ha già gli spazi dedicati agli approfondimenti e ai talk, proprio per rappresentare le diverse letture dei fatti? La Bbc, una delle più grandi e influenti istituzioni giornalistiche al mondo, diffonde in Gran Bretagna un solo Tg: BBC news.

La Rai, con le tre testate nazionali, realizza ogni giorno oltre 25 edizioni di Tg; in Francia e Germania le edizioni quotidiane sono 7, nel Regno Unito e in Spagna 6. All’ offerta ipertrofica si aggiunge il canale Rainews 24, che trasmette notizie 24 ore al giorno. Abbiamo la più grande copertura informativa d’ Europa e un esercito di giornalisti, eppure, nonostante i telespettatori siano inesorabilmente in calo perché si informano sul mondo digitale, la Rai non ha un sito di news online.

Poi c’ è il tema delle sedi regionali: i 660 giornalisti fanno capo alla direzione Tgr, mentre le 22 sedi, con altrettanti direttori, che si occupano solo dei muri e dei tecnici, fanno capo a una fantomatica Direzione per il coordinamento delle sedi regionali ed estere.

Gli edifici sono faraonici, con interi piani inutilizzati, ma la qualità della cronaca locale non è sempre brillante: potenzialità enormi, inefficienza cronica. Ma, essendo i Tg regionali luoghi in cui sindaci e governatori esercitano la loro influenza, oltre che bacino di consenso per il potente sindacato Usigrai, si tira a campare.

Qualche esempio. In Emilia Romagna non c’ è una buona copertura del segnale e, in alcune zone, si vede il Tgr Veneto o il Tgr Marche; è presente una obsoleta «esterna 1» per le dirette, un mastodonte costoso usato solo per la messa della domenica, con una squadra di 5 persone che, per ragioni sindacali, non può fare altro quando il mezzo è fermo.

Al Tgr Lazio regna il degrado: dalle luci al neon fulminate alle cuffie della radiofonia fuori uso; tutti i giornalisti stanno a Saxa Rubra, nessun corrispondente dalle province. A Torino, per poter usare un mezzo satellitare leggero, adatto alle dirette, la Tgr deve chiedere l’ assenso a 4 diversi responsabili, una procedura che non si adatta ai tempi delle news. In Puglia, i due redattori territoriali hanno la telecamerina in dotazione, ma non la usano perché il sindacato non vuole.

A Sassari, 4 specializzati di ripresa non escono con la troupe, non guidano la macchina e stanno in studio, per quei due movimenti di camera che potrebbero anche fare i tecnici. Il caporedattore non può decidere sul loro utilizzo, perché dipendono dal direttore di sede. In Sicilia, gli impiegati di segreteria sarebbero disponibili e qualificati per archiviare e metadatare le immagini, ma non hanno accesso al sistema.

La Tgr Lombardia (con 50 giornalisti) è quella che collabora di più con i Tg nazionali; però Tg1, Tg2, Tg3, Rainews e Rai Sport hanno comunque tutti i propri giornalisti a Milano. Il materiale grezzo viene buttato, perché nessuno lo cataloga. Poi c’ è un aspetto che la dice lunga sulle competenze dei dirigenti: le testate nazionali e quelle regionali sono state digitalizzate con sistemi che non comunicano fra loro, per cui è difficile lo scambio di immagini.

Il Consiglio d’ amministrazione insediato nel 2015 è partito in quarta dando vita a Ray Play, ma la mission era proprio quella di rendere più efficiente la TgR, riorganizzare l’ offerta informativa nazionale e colmare il gap digitale. In questi 3 anni, il Cda è riuscito a far naufragare tutti i progetti.

Incluso quello per la nascita del sito unico di news online, già sviluppato dalla Direzione Digital e con la formazione presso le redazioni regionali già avviata (oggi sei regioni hanno il loro sito). Il motivo? Prima di dar vita a una nuova testata, bisognava ridurre il numero di quelle già esistenti.

Sta di fatto che il sito nazionale esistente è dentro a Rainews 24 e produce un traffico irrilevante. Questa è la classifica Audiweb degli utenti unici giornalieri, nell’ ultima settimana di giugno: RaiNews 95.000, TgCom 967.000, Corriere della Sera 1.300.000, Repubblica 1.400.000.

In sostanza tutti i cittadini sono obbligati a pagare il canone (1 miliardo e 700 milioni l’ incasso del 2017), ma chi si informa soltanto online non ha un servizio pubblico degno di questo nome. In compenso, lo stesso Cda ha portato avanti uno studio di fattibilità di un nuovo canale tradizionale in lingua inglese.

Ad occuparsene in prima persona la presidente Monica Maggioni, a fine mandato, e quindi in cerca di una futura direzione.

Questa è la Rai, che attende il prossimo giro di giostra. Il capitale umano che lavora ai piani bassi, dove si realizza il prodotto, ha bisogno di una forte spinta; speriamo che la giostra sia un «calcinculo». Con un management esperto e libero dai condizionamenti della politica, potrebbe uscirne un’ azienda leader in Europa.

“COSA NON VI HANNO DETTO SUGLI IMMIGRATI” VESPA SI SCHIERA CON IL GOVERNO SMASCHERANDO LA MALAFEDE DEI SINDACI ROSSI

E’ “insensata” per Bruno Vespa la rivolta dei sindaci. Matteo Salvini, scrive il direttore di Porta a Porta nel suo editoriale su il Giorno, “aveva già vinto la sua battaglia riducendo a 22mila gli sbarchi nel 2018 contro i 119mila del 2017, limitati anche grazie alla cura Minniti rispetto ai 181mila del 2016”, per questo “l’attacco di alcuni sindaci è tanto più sorprendente perché il famigerato decreto sicurezza si limita ad evitare che il permesso di soggiorno per i richiedenti consenta l’iscrizione anagrafica, pur costituendo documento di riconoscimento”. Iscrizione anagrafica, sottolinea Vespa, “significa rilascio della carta d’identità che ha valore decennale. Quale persona di buonsenso può immaginare il rilascio di un documento di permanenza definitiva a persone che in gran parte si vedranno bocciata la richiesta di asilo?”.


Forse, spiega, “i cittadini non sanno è che il mancato rilascio dell’iscrizione anagrafica non impedisce agli immigrati di ricevere i servizi essenziali: servizio sanitario nazionale, scuola per i figli, accesso al lavoro se dopo sessanta giorni dalla presentazione della domanda di asilo la pratica non si è esaurita”. Il vero dramma è un altro: “Su 40mila persone che negli ultimi anni si son viste riconoscere il diritto di asilo, solo 3200 hanno trovato un lavoro“.
Luigi Di Maio che inizilamente ha sposato la linea dura del ministro dell’Interno, ora ha cambiato idea visto che “insieme con il premier Conte si è detto disponibile ad ospitare donne e bambini a bordo della Sea Watch”, “scontrandosi duramente con Salvini, ma coprendosi con la sinistra interna. Noi italiani abbiamo il cuore grande, ma poi saranno gli uomini a raggiungere le loro donne in Italia (e questo sarebbe un precedente scivoloso) o le donne a raggiungere gli uomini chissà dove?”.

LA GODURIA PIU’ GRANDE? LA FACCIA A LUTTO DELLA BERLINGUER QUANDO PRESENTA IL SONDAGGIO SUL PD: praticamente un annuncio funebre, per la gioia degli italiani

Il Pd è morto, stra-morto, morto stecchito. Non è certo una novità ma l’ultima conferma, ad oggi, è la più roboante in assoluto. Una conferma arrivata nel corso di CartaBianca, il programma condotto da Bianca Berlinguer su Rai 3, che ha proposto un sondaggio di Antonio Noto destinato ad entrare dritto dritto nella storia. La ragione? I democratici hanno raggiunto il loro minimo storico. E da un partito che non sa fare altro che auto-distruggersi non c’era niente di differente da aspettarsi. Il sondaggio mette in evidenza come una ipotetica coalizione di centrosinistra, oggi, prenderebbe il 17% (meno del 18% ottenuto dal Pd lo scorso marzo). E i democratici, nel dettaglio, otterrebbero il 15% dei consensi: minimo storico, appunto. Dunque, un 1,5% andrebbe ad Europa con Bonino e il restante 0,5% ad “altri di centrosinistra”.

Scandalo pensioni d'oro, indovinate chi c'è al primo posto con la mostruosa cifra di 31.411 EURO al mese?

Tito Boeri ha lanciato l’allarme: “I vitalizi dei parlamentari sono quasi il doppio di quanto sarebbe giustificato alla luce dei contributi versati”. Si risparmierebbero circa 76 milioni l’anno se si portassero le pensioni dei parlamentari a valori normali, applicando il sistema contributivo si avrebbe un risparmio di circa un miliardo e 457 milioni sui primi 10 anni (oltre 100 milioni all’ anno). Il meccanismo dovrebbe essere applicato non solo ai parlamentari ma anche ai consiglieri regionali.

L’elenco – Il quotidiano Il Tempo in edicola oggi, pubblica di queste pensioni d’oro, fa i nomi e i cognomi dei parlamentari super fortunati. Luciano Violante percepisce un vitalizio di 9.363 euro al mese,Giuliano Amato arriva a 31.411 euro al mese, Walter Veltroni ogni mese incassa 5.373, Massimo D’ Alema appena 90 euro in meno del suo storico rivale.  Percepisce il vitalizio anche l’ ex presidente della CameraGianfranco Fini (5.614 euro). Poi Prodi (2.864), Rodotà (4.684) e Franco Marini (5.800 Irene Pivetti dal 2013, ovvero da quando aveva solo 50 anni, percepisce 6.203 euro al mese. Alfonso Pecoraro Scanio, deputato dal 1992 al 2008, riceve 8.836 euro al mese da quando aveva 49 anni. A Vittorio Sgarbi per essere rimasto in carica per 4 legislature riceve 8.455 euro. Rosa Russo Iervolino, parlamentare per oltre 20 anni e più volte Ministro, riceve mensilmente il suo assegno da circa 5400 euro netti. Pensionata a 41 anni e con un assegno di 8.455 euro: accade a Claudia Lombardo, definita Miss Vitalizio d’ oro. Gianni De Michelis, percepisce 5.800 euro netti al mese

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Juncker, l’infame insulto ai nostri Ministri: così sputa sul Governo Conte l’ubriacone di Bruxelles

Altri insulti di Jean-Claude Juncker all’Italia e al suo governo. Il presidente della Commissione europea infatti afferma che “un certo numero di ministri italiani sono dei bugiardi”, poiché mentono ai cittadini sul sostegno all’Italia dell’Unione europea. Juncker aggiunge: “Abbiamo dato 130 miliardi all’Italia. Il piano-Juncker ha generato investimenti dell’ordine di 63,3 miliardi. I fondi strutturali, sostegno europeo per rinvigorire l’economia, sono più di 44 miliardi”. Così in un’intervista al network radiofonico Euranetplus, ricordando anche le risorse per la crisi migratorie che ammontano a circa 1 miliardo. E ancora: “Nel complesso il sostegno europeo all’Italia si attesta a 130 miliardi di euro. C’è un italiano, uno solo che lo sa? No, perché un certo numero di ministri italiani dicono il contrario. Sono dei bugiardi – ha attaccato – dei bugiardi”. Altri insulti poco dopo il faccia a faccia con Giuseppe Conte: incontro molto atteso all’indomani dell’allarme lanciato dall’Ocse sui rischi di recessione per l’Italia. Ma non è finita, perché dopo la comparsata in studio da Fabio Fazio Che tempo che fa, Juncker torna a ‘gufare’ sul Belpaese: “Sono leggermente preoccupato per il fatto di vedere che l’economia italiana continua a regredire e auspico che le autorità italiane facciano sforzi supplementari per mantenere in vita la crescita italiana”, ha concluso mister Europa.