martedì 31 gennaio 2017

LE INTERVISTE A RENZI? ECCO LA PROVA CHE SONO TUTTE CONCORDATE:LO SCOOP DI STRISCIA LA NOTIZIA


Le interviste a Renzi? Tutte concordate! di bigcocomero

Non servono commenti: è sufficiente guardare questo servizio trasmesso dal popolare telegiornale satirico di Canale 5

L’ALLARME DI TRAVAGLIO: RAI E TV DI REGIME METTONO IL BAVAGLIO SUL PEGGIOR SCANDALO DI CORRUZIONE MONDIALE: 2,7 MILIARDI DI EURO

La famiglia RENZI, il ministro LOTTI, la CONSIP, altissimi esponenti dei Carabinieri… un VERMINAIO in un caso di corruzione da 2,7 MILIARDI DI EURO. Eppure, agli italiani tutto questo viene nascosto. La RAI non ne ha fatto parola alcuna.
“Chi s’informa (si fa per dire) dai tg Rai, cioè la stragrande maggioranza degli italiani, non sa quasi nulla dell’indagine della Procura di Napoli che vede indagati Luca Lotti (il ministro più vicino a Renzi) e i generali Tullio Del Sette (comandante generale dei Carabinieri) ed Emanuele Saltalamacchia (capo dell’Arma in Toscana) per la soffiata che ha vanificato le intercettazioni alla Consip a proposito di un appalto in odor di tangenti destinato all’imprenditore Alfredo Romeo, napoletano, grazie ai buoni uffici di Carlo Russo, fiorentino di Scandicci intimo della famiglia Renzi.
Chi invece si informa sui giornaloni qualcosa sa, anche se, visti gli spazi angusti riservati all’indagine svelata dal Fatto, pensa che sia robetta. Nulla di paragonabile alle firme false dei 5Stelle a Palermo, all’indagine sulla Muraro e alla nomina del fratello di Marra in Campidoglio da parte della Raggi che “potrebbe essere indagata”: queste vicende tengono banco da mesi o da settimane sulle prime pagine e in tutti i tg, mentre lo scandalo napoletano è rapidamente scomparso dai radar, dopo i titoli rassicuranti su Del Sette subito ascoltato in Procura seguito a ruota da Lotti. Del resto, mentre i 5Stelle litigano notte e giorno sui giornali, sui social e in tv per le proprie disavventure, dal Pd non si leva un monosillabo. Tutti zitti e mosca. Eppure anche l’inchiesta di Napoli meriterebbe qualche attenzione in più. L’appalto che i pm ritengono truccato è il più grosso d’Europa: acquisti per 2,7 miliardi (sì, miliardi) deliberati dalla Consip (società pubblica al 100% del Tesoro) per la PA. E i personaggi coinvolti, indagati e non, sono tra i più potenti d’Italia: Renzi, suo padre, il suo più fedele ministro, i comandanti dei Carabinieri italiani e toscani, i vertici della prima stazione appaltante del Paese. Tutti mobilitati – a prescindere dagli eventuali reati commessi o meno – attorno all’indagine di Napoli. Poche settimane fa i pm incaricano i carabinieri del Noe di riempire di microspie gli uffici Consip, dove il dirigente Marco Gasparri avrebbe promesso alcuni lotti della maxi-commessa a Romeo, sponsorizzato da Russo. Ma subito il presidente e l’ad di Consip, Luigi Ferrara e Luigi Marroni, vengono avvertiti da uno o più uccellini di stare attenti a come, dove e con chi parlano. Marroni chiama una ditta per bonificare gli uffici. Questa toglie le cimici due giorni dopo l’installazione. Gli inquirenti se ne accorgono subito: da Consip non esce più una parola. E interrogano Marroni, il quale, sapendosi intercettato, indica 4 uccellini che, in rapida successione, misero in guardia lui e Ferrara. Questi: Del Sette (di cui gli parlò Ferrara), Saltalamacchia, Lotti e Filippo Vannoni. Ex scout fiorentino, amico da una vita di Renzi che l’ha nominato presidente della municipalizzata Publiacqua, Vannoni dichiara – pure lui sotto giuramento – che non solo Lotti&C., ma anche Matteo sapeva in anticipo dell’indagine segreta (si fa per dire). E che sapesse tutto anche Tiziano Renzi l’ha scritto il 6 novembre La Verità, mai smentita. Come se non bastasse, tutti i protagonisti e comprimari dello scandalo sono fedelissimi di Renzi. Sia gli accusati: dai due generali (l’uno è comandante in Toscana, l’altro è stato nominato comandante generale proprio da Renzi) ai due imprenditori (Russo, compagno di pellegrinaggi a Medjugorie di Tiziano, e Romeo, finanziatore dichiarato della fondazione renziana Big Bang). Sia gli accusatori: non solo Vannoni, ma soprattutto Marroni, direttore dell’Asl di Firenze quando Renzi era presidente della Provincia e poi sindaco, poi assessore regionale Pd alla Sanità, infine promosso un anno e mezzo fa al vertice di Consip da Renzi e Lotti. Ce n’è abbastanza per rivolgere, a chi si degnerà di rispondere, cinque domandine semplici semplici.
1. Chi ha informato dell’indagine l’intera catena degli uccellini, cioè Matteo e Tiziano Renzi, Lotti, Vannoni e i due generali, e in quale ordine? Forse la prima fuga di notizie la fa un carabiniere che indaga per conto dei pm, avvertendo i superiori che, anziché custodire il segreto, lo spifferano al Giglio Magico.
2. Perché i generali avvertono proprio l’entourage di Renzi, mettendo a repentaglio le proprie carriere, se nessuno del Giglio Magico era indagato? Forse sanno che dietro Romeo c’è Russo, dietro Russo c’è Tiziano e dietro Marroni ci sono Russo, Tiziano, Matteo e Lotti. E vogliono proteggere il premier & famiglia.
3. Lotti e Del Sette, sentiti a tempo di record dal pm di Roma nonostante le ferie, dicono che è tutto falso: perché allora non querelano Marroni per calunnia? E perché Lotti e il suo governo non licenziano Marroni dalla Consip? Se non lo fanno, possiamo dedurne che Marroni dice la verità, anche perché non ha alcun motivo per calunniare l’amico ministro che l’ha nominato e il più alto ufficiale d’Italia.
4. Perché Renzi non parla, non smentisce e non querela l’amico Vannoni? Se non lo fa, possiamo dedurne che Vannoni dice la verità, cioè che anche Renzi – non si sa a quale titolo – sapeva di un’indagine segreta e non denunciò (com’era suo dovere di pubblico ufficiale) i militari infedeli che violarono, con lui o con altri, il segreto investigativo.
5. È vero, come ci risulta, che l’indagato Del Sette ha chiesto al governo di non confermarlo nel suo incarico che scade tra pochi giorni, ma Gentiloni & C. hanno deciso di lasciarlo lì per altri due anni? Forse perché, se salta Del Sette, tutti si domanderanno come mai non salti anche Lotti?
Domandare è lecito e rispondere non è solo cortesia: in questo caso, sarebbe proprio doveroso.”
(Marco Travaglio FQ)

STREPITOSO: sentite cosa rispondono i cittadini romani alla domanda "Votereste ancora la Raggi?" GIORNALISTA INCREDULO.



Da quando Virginia Raggi è Sindaco di Roma accade di tutto: revisori bocciano il bilancio previsionale, la magistratura lavora come mai fino ad oggi nel controllo dell'amministrazione, gli sponsor si ritirano per il concertone di fine anno. E i romani cosa ne pensano?
Fonte video: Rai3 - Cartabianca

"Indagava i potenti e ha fatto condannare Verdini".Comandante dei Ros trasferito e messo a fare l'insegnante

di Luca Comellini

Da investigatore a insegnante. È questo il premio che è toccato all'ormai ex comandante del Raggruppamento Operativo Speciale (Ros) di Firenze, colonnello Domenico Strada, che dallo scorso mese di agosto, a soli tre anni dalla pensione, è stato destinato alla scuola marescialli e brigadieri dell’Arma con l’incarico di insegnare alle nuove leve della Benemerita le tecniche investigative. I successi nella lotta in prima linea contro criminalità organizzate nella Palermo degli anni '90 e poi quelli conseguiti alla guida del Ros di Firenze contro i colletti bianchi della cricca delle Grandi Opere, del G8, della Tav e dell’inchiesta “Sistema” sugli appalti che ruotavano attorno all’ex sovrintendente alle infrastrutture Ettore Incalza non sono serviti a fargli concludere, magari con un incarico operativo di prestigio, la sua carriera di investigatore più apprezzato ed esposto d'Italia come, invece, avrebbe meritato.

Così il colonnello Domenico Strada, dopo i 14 anni passati al comando del Ros del capoluogo toscano lo scorso agosto ha lasciato l’attività operativa per dedicarsi all’insegnamento proprio in quella scuola marescialli di Firenze che per anni è stata al centro delle sue indagini e dei successivi processi che ne sono scaturiti e hanno visto sul banco degli imputati, poi condannati, noti personaggi politici come Denis Verdini (ALA) ed ex alti dirigenti ministeriali come Angelo Balducci e Fabio De Santis.
Secondo quanto riportava ieri il quotidiano indipendente diretto da Maurizio Belpietro, in un articolo firmato da Giacomo Amadori, quello riservato al colonnello Strada sarebbe “Uno scherzo del destino che per molti ha il sapore del contrappasso. Ma che sopratutto assomiglia a una punizione”. “In molti – prosegue l’articolo – indicano in Verdini il mandante di questo brutto tiro”. Per capire meglio il perché, nell’articolo di Amadori, il senatore di Ala venga indicato come il “mandante” del “brutto tiro” riservato all’ormai ex comandante del Ros di Firenze, occorre fare un passo indietro e tornare allo scorso 10 febbraio quando la Corte di Cassazione confermò le condanne per corruzione aggravata nella vicenda della “Scuola Marescialli” dei Carabinieri dei due ex alti dirigenti ministeriali Angelo Balducci e Fabio De Santis e dei costruttori Riccardo Fusi (Btp) e Francesco Maria De Vito Piscicelli.
L’inchiesta, che era solo uno dei capitoli della maxi indagine sulla cricca delle Grandi Opere, fu avviata e sviluppata dai sostituti procuratori di Firenze Giuseppina Mione, Giulio Monferini e Luca Turco e dal Ros Carabinieri che fino allo scorso mese di agosto era guidato proprio dal colonnello Strada. Secondo le accuse, confermate dalle condanne nei processi di primo grado e di appello, l’ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci e il suo braccio destro Fabio De Santis, che nel 2008 era stato nominato provveditore alle opere pubbliche di Firenze dal ministro Altero Matteoli, misero le loro funzioni pubbliche al servizio degli interessi dell’imprenditore Riccardo Fusi, con l’intermediazione interessata di Piscicelli.
Una costola di quel processo, che vedeva il senatore di Ala imputato per corruzione nella vicenda dell'appalto per la Scuola Marescialli di Firenze, venne stralciata e arrivò per competenza a Roma dove ha poi trovato la sua prima conclusione il 17 marzo scorso con la sentenza di condanna a 2 anni di reclusione per Denis Verdini. I giudici della VII sezione penale di Roma nelle motivazioni scrivono, nero su bianco, «Le prove acquisite depongono per la piena conoscenza» del senatore Denis Verdini «dell’intera vicenda della Scuola dei Marescialli e della natura corruttiva dei rapporti intercorsi tra gli imprenditori Riccardo Fusi e Francesco De Vito Piscicelli da un lato e il presidente del consiglio nazionali lavori pubblici Angelo Balducci e Fabio De Santis, provveditore interregionale delle opere pubbliche per la Toscana, dall’altra».
In quella sentenza il nome del colonnello Strada “è citato ben quattro volte per il suo fondamentale ruolo di “teste operante””, scrive sempre Amadori. La scuola dei marescialli e dei brigadieri dei carabinieri dove adesso insegna il colonnello Strada era nata per accorpare le reclute dislocate nella sede della caserma Mameli di piazza della Stazione a Firenze e quelle di un'altra caserma, la Baldissera che si trova sul Lungarno. La scuola che è stata inaugurata nel 2007 è costata ai contribuenti circa 450 milioni a fronte dei 270 inizialmente previsti. “Oggi, - conclude l’articolo di Amadori – al tempo del giovane premier, può succedere quello che in altri periodi sarebbe stato impensabile. Persino di far fare penitenza, nel silenzio generale, ad un investigatore scomodo.”.

Fonte: http://notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/comandante-ros-cricca/

VITTORIA DEL M5S! Hanno eliminato un enorme privilegio ai parassiti della casta! Ecco cosa sono stati in grado di fare..

Grazie al M5S, è finita la pacchia di Casta crociere

In pratica, la Camera dei Deputati nelle sue mille voci di bilancio ne aveva una che prevedeva i "rimborsi di viaggio agli ex parlamentari". Soldi vostri (sia chiaro) con cui la Casta offriva graziosamente treni e aerei ai suoi ex membri, per godersi sì la meritata pensione ma sempre e come d'abitudine a scrocco.
Ebbene, ci sono voluti due anni e rotti ma alla fine l'hanno capita: ieri, grazie ad un emendamento a prima firma Luigi Di Maio, finalmente la Camera ha approvato lo stop a questo sconcio che costava al contribuente 900 mila euro l'anno. E i parlamentari in carica, grazie ad un altro emendamento di Edera Spadoni, voleranno in classe economy invece di sperperare quattrini in prima classe.
E' la fine della Casta Crociere: se il pensionato (d'oro) ex parlamentare vuol farsi la vacanza, o se il deputato in carica vuol viaggiare stile sceicco, che se lo paghino coi soldi loro.


Fonte: http://www.movimento5stelle.it/parlamento/2015/08/grazie-al-m5s-e-finita-la-pacchia-di-casta-crociere.html

TRAVAGLIO FREGA RENZI:"ORA DICE NO AI VITALIZZI MA IN 3 ANNI NON LI HA ABOLITI. COME MAI"


TRAVAGLIO SMASCHERA RENZI: "ORA SI DICE CONTRARIO AI VITALIZI MA IN TRE ANNI MICA LI HA ABOLITI!"
Marco Travaglio fa a pezzi in minuto la vergognosa ipocrisia di Renzi, che ora, per farsi nuovamente propaganda, si dice contrario ai vitalizi: "Gli chiederei perché non li ha aboliti: ha avuto tre anni di tempo per farlo. Poteva fare quello anziché abolire le elezioni del Senato, cosa che gli è andata male". Diffondiamo!

Travaglio da Floris attacca i talk show:"I 5 stelle non hanno preso tangenti e non fanno affari con i mafiosi"

Ecco cosa farà il M5S se andrà al Governo. Di Battista grandioso in diretta.


Signor Di Battista: si sente pronto a governare?
"Saranno i cittadini a deciderlo. Noi siamo pronti a candidarci e con maggiore determinazione rispetto al 2013".

Esistono delle correnti all'interno del movimento? Si parla spesso di pragmatici e ideologi.
"No. Il Movimento 5 stelle non ha correnti. Sono i media che lo dicono".

A proposito di voci, è vero che il M5S ha preso soldi da Putin?
"No, anche in questo caso si tratta di un'insinuazione dei media, per la precisione di due giornalisti. Li abbiamo querelati".

Il M5S è nato come movimento di protesta. Che ruolo ha oggi?
"Non siamo un movimento antipolitico, non siamo un partito di protesta".

Ma quello che fa il fondatore Beppe Grillo è protestare a gran voce...
"Dove sta la differenza tra chi vuole cambiare qualcosa e chi protesta contro le cose che non funzionano? E' incredibile: quando i cittadini votano per i potenti, allora è un voto di speranza. Se invece non votano come vorrebbero le elite politiche, si parla di voto di protesta".

Neanche l'ultima campagna la definirebbe di protesta?
"Era una campagna importantissima per i diritti costituzionali! Il 60 per cento degli italiani ha votato no. Le forze antipolitiche sono altre".

Vuole dire che i partiti sono forze antipolitiche?
"Hanno formulato una legge elettorale anticostituzionale, l'Italicum, e hanno bloccato il parlamento con una riforma che i cittadini hanno bocciato".

Ma non è lei che chiede di andare al voto subito, anche con questa legge elettorale?
"Non vogliamo discutere mesi e mesi con i partiti sulla legge elettorale. Vogliamo una versione di questa legge approvata dalla corte costituzionale, che auspichiamo arrivi in gennaio".

Quali interessi degli italiani sente di rappresentare, soprattutto in relazione all'esigenza di una crescita economica?
"Noi diamo la precedenza alle piccole e medie imprese. Intervenendo in questo ambito la ripresa è assicurata. L'imposizione fiscale deve diminuire. Servono istituti finanziari pubblici che consentano investimenti a favore di queste imprese e il reddito di cittadinanza".

Come finanziare tutto questo tenendo conto del debito pubblico?
"Con una seria lotta alla corruzione, che secondo le stime della Corte dei conti costa allo Stato 60 miliardi di euro l'anno. Variando i termini di prescrizione, che interrompono migliaia di processi. Ai politici corrotti va impedito di ricandidarsi. Tutto questo porta denaro nelle casse dello Stato: la corruzione triplica i costi delle opere pubbliche".

Nella corruzione fa rientrare anche l'evasione fiscale?
"Sì. E per evasione fiscale noi intendiamo i grandi evasori".

La lotta alla corruzione basta da sola?
"No, vogliamo anche aumentare di parecchio le tasse sul gioco d'azzardo, centralizzare la spesa statale, realizzare opere pubbliche funzionali, di dimensioni ridotte rispetto all'Expo o all'Alta Velocità. Vogliamo ridurre i costi della politica, gli stipendi di tutti i parlamentari, anche degli amministratori regionali".

Quali strategie propone per la crescita?
"Noi puntiamo sulla Green Economy: una svolta energetica a livello nazionale in direzione delle energie rinnovabili e della sostenibilità ".

Mi riferivo ai settori economici.
"Puntiamo sull'enogastronomia, una nostra eccellenza, il nostro petrolio. In questo campo bisogna investire nella qualità, nelle start up, nelle piccole e medie imprese. Lo stesso vale per la cultura e il turismo. Noi lo abbiamo tra l'altro già fatto con il nostro sistema di microcredito, che finanziamo con una parte dei nostri stipendi da parlamentari. Grazie a questi crediti, 20 milioni di euro in tre anni, sono nate nuove imprese. Mancano le infrastrutture. Ho girato l'Italia in treno per fare campagna per il No e le ferrovie regionali sono in uno stato incivile".

A proposito di credito, qual è la sua posizione riguardo all'odierna crisi bancaria?
"Vogliamo una banca centrale che eserciti una vigilanza reale e non sia controllata dalle banche, come accade in Italia. Vogliamo la divisione tra banche di risparmio e banche d'affari".

L'Europa guarda con preoccupazione alle banche italiane ma anche voi suscitate ansie. Al parlamento europeo sedete a fianco di Nigel Farage...
"Se non si aderisce a un gruppo parlamentare non si ha accesso agli atti del parlamento europeo. Le nostre decisioni le prendiamo in piena autonomia. I nemici dell'Europa sono i tecnocrati ".

Ha cambiato atteggiamento sull'euro?
"Euro e Europa non sono la stessa cosa. Noi vogliamo solo che siano gli italiani a decidere sulla moneta".

Ha calcolato le conseguenze dell'eventuale uscita dall'euro?
"Conosco bene quali sono le conseguenze dell'introduzione dell'euro, la perdita di potere d'acquisto, il calo delle retribuzioni, la riduzione della capacità di concorrenza delle imprese, il degrado sociale, la disoccupazione. Se l'Europa non vuole implodere deve accettare che non si può andare avanti così. Nel 2017 ci saranno elezioni importanti. In Francia probabilmente vinceranno i gollisti o Le Pen. In Germania la cancelliera ce la farà anche stavolta, ma i movimenti alternativi, chiamiamoli così, avanzano".

Avanzano quelli contrari alla politica di immigrazione della cancelliera. Qual è la vostra posizione sul tema delle migrazioni?
"Bisogna trovare soluzione ai grandi focolai di crisi internazionali, senza ricorrere alle bombe. I profughi con diritto di asilo devono essere accolti in Europa e distribuiti uniformemente in tutti i paesi membri. Chi è privo di diritto d'asilo in questo momento storico deve essere espulso. Il termine espulsione non deve essere ricondotto alla destra, alla sinistra, o alla xenofobia".

Che livello di trasparenza garantisce il sistema internet creato da Gianroberto Casaleggio?
"Non esiste un sistema di Casaleggio! Le votazioni sulla nostra piattaforma sono certificate da esperti indipendenti. Altrimenti andiamo tra gli elettori, siamo presenti nelle piazze".

Grillo si candida?
"No, non si candida".

Nei sondaggi lei è
in buona posizione. Ma se non riuscisse a centrare rapidamente gli obiettivi, gli elettori le volteranno le spalle come a Renzi?
"Non abbiamo mai detto che sarà facile governare questo paese ".
* Die Welt

lunedì 30 gennaio 2017

Roma: bilancio approvato.La Raggi prende la parola e rivendica i risultati storici e denuncia l'amministrazione passata

                                                      L’Aula Giulio Cesare, presieduta da Marcello De Vito, ha approvato con 29 voti favorevoli e 15 contrari il bilancio di previsione 2017-2019 di Roma Capitale. La votazione si è conclusa al termine di una lunga maratona consiliare. Presenti anche la sindaca di Roma Virginia Raggi e diversi assessori che, al termine del voto, insieme ai consiglieri di maggioranza hanno applaudito in Aula. La manovra vale 5.383.229.945,78 euro. Nel triennio il piano investimenti è di 577.741.950,99 euro, di cui ben 430 milioni saranno dedicati ai trasporti e alla mobilità sostenibile. (ANSA)


Caso Raggi, nel diffondere bufale c’è del metodo

Che Virginia Raggi abbia commesso degli errori non ci sono dubbi. Si è fidata delle persone sbagliate; non ha impedito il conflitto d’interessi di Raffaele Marra. Eccetera. La magistratura sta indagando. Vedremo. Tuttavia, fin d’ora, un giudizio su come i giornaloni stanno trattando il caso è possibile darlo anche alla luce di una certa idea di giornalismo che negli anni si è (pensavamo si fosse) imposta.
I grandi opinionisti – Montanelli, Bocca, Biagi, Scalfari, Mieli… – hanno sempre spiegato che compito di un giornale è raccontare i fatti. “Se ho una notizia la pubblico”. Poi, certo, ci sono i commenti. E anche il lettore meno smaliziato capisce l’orientamento, il taglio critico, la posizione filo (o anti) governativa delle testate. Qualcosa tuttavia si è inceppato nel racconto dei “fatti separati dalle opinioni” o – come accadeva a Repubblica – nella “narrazione-commento” delle notizie: Scalfari: “Io non ho mai creduto alla favola del giornalismo anglosassone che separa fatti e opinioni. Noi, a Repubblica, abbiamo un punto di vista e lo esponiamo, diciamo al lettore chi siamo”. E’ la formula imposta dal fondatore. Ha avuto successo.
Il punto è che da qualche tempo in molti quotidiani – anche a Repubblica, nonostante l’enorme numero di pagine – sono scomparsi i fatti (quelli scomodi) e le opinioni sono diventate, per lo più, manipolazioni. Il caso Raggi è emblematico e dice di una trasformazione in atto nel giornalismo italiano: c’è un fronte unico – CorriereRepubblicaMessaggeroStampa … – che ha l’obiettivo (non dichiarato, ovvio) di demolire l’immagine della sindaca di Roma. Siamo al di là del classico “sbatti il mostro in prima pagina”. L’operazione è più sottile. Giorgio Bocca è stato un grande “Antitaliano” (cfr. rubrica sull’Espresso), sapeva attaccare, senza fare sconti, la Dc di Andreotti, il Psi di Craxi, il Pci di Berlinguer. Era uno spirito libero. Leggendolo sapevi di confrontarti con un’opinione (spesso scomoda), mai con la manipolazione di un fatto. Indro Montanelli fece – dell’esser Controcorrente – la sua caratteristica fondamentale; celebre l’ironia su conformismi, luoghi comuni, mode politiche. Di nuovo: leggevi un’opinione, mai la costruzione del falso. Quando tentarono d’imporgli una verità precostruita, abbandonò il Giornale. Oggi la moda del tempo è incline alla manipolazione dei fatti. Il Messaggero: “Raggi sotto assedio tratta con la Procura il patteggiamento”. Una balla. Non è solo spazzatura, cattivo giornalismo. Non è l’errore di un cronista. C’è del metodo: l’idea che la diffusione di fake news possa orientare l’opinione pubblica. Non sempre è così. Attraverso internet e i social le false notizie vengono sbugiardate in tempo reale, e l’effetto sui lettori, spesso, è opposto a quello che certi direttori si propongono. Per non averlo capito (anche solo per questo) andrebbero cacciati via dalle loro postazioni. Subito.
E’ suicida l’enorme diffusione di fake news: segnale evidente della crisi di credibilità di molte testate. Virginia Raggi ha sbagliato. E’ inesperta. Deve imparare presto – il più presto possibile – il mestiere di sindaco. Altrettanto vero è che molti quotidiani devono recuperare la capacità di raccontare i fatti. Basta manipolazioni: De Luca in Campania e Sala a Milano hanno problemi meno gravi della Raggi? Perché vengono oscurati? Che ne è del giornale come servizio pubblico? Di alcune testate si potrebbe scrivere oggi quanto disse Montanelli (per altri motivi) il 4 giugno 1981 del quotidiano di via Solferino: “Quella del Corriere non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l’affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggior azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di Calvi”. Ecco. Oggi non ci sono direttori in congedo per affari loschi (per fortuna), ma i problemi sono tanti e non sempre limpidi. Ci sarebbe da preoccuparsi se l’avversione per i 5Stelle, la falsità come metodo, “la lapidazione quotidiana della Raggi”, nascessero davvero da giornali asserviti totalmente al potere politico.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/30/caso-raggi-nel-diffondere-bufale-ce-del-metodo/3349592/

domenica 29 gennaio 2017

Parabrezza in frantumi e gomma squarciata: atti intimidatori al consigliere romano del M5S

Parabrezza in frantumi e gomma squarciata: atti intimidatori al consigliere Stabellini



Dalla macchina, parcheggiata in via Amico Aspertini, non è stato portato via nulla. Al consigliere Stabellini è giunta la solidarietà di colleghi e attivisti




Parabrezza in frantumi e gomma squarciata: atti intimidatori al consigliere Stabellini
„Il parabrezza posteriore dell’auto è stato ridotto in frantumi e una delle quattro gomme dell’auto è stata squarciata con un coltello. E’ questo il bilancio di quello che sembrerebbe un vero e proprio atto intimidatorio. A subire l’ignobile gesto è stato Alessandro Stabellini, consigliere del Movimento Cinque Stelle al Municipio Roma VI delle Torri. “

Parabrezza in frantumi e gomma squarciata: atti intimidatori al consigliere Stabellini
Da tempo Stabellini è impegnato nelle vicende relative alla scarsa manutenzione delle case popolari del territorio, con particolare attenzione al quartiere di Tor Bella Monaca. Già come attivista del movimento cinque stelle, prima ancora di diventare consigliere, Stabellini aveva denunciato lo stato di abbandono  e di degrado in cui versano le case di edilizia residenziale pubblica e i palazzi Ater. Durante lo scorso anno aveva anche partecipato di notte a presidi nelle torri di largo Mengaroni  per “prevenire atti di vandalismo e inciviltà che gli inquilini subiscono da tempo”.

“Giornata iniziata bene. Parabrezza posteriore in frantumi e una gomma squarciata con un coltello. Speriamo vada meglio”. E’ stato lo stesso Stabellini  a diffondere dalle pagine social del suo profilo Facebook l’attacco subito nella giornata di sabato 28 gennaio. Su quanto avvenuto, il consigliere penta stellato ha commentato a Roma Today: “Voglio pensare che si sia trattato di un atto vandalico senza creare allarmismi – ha precisato ma ha anche aggiunto – nonostante mi sembri molto strano poiché dall’auto non è stato portato via niente, tuttavia se si fosse trattato di un furto, perché accanirsi anche su una gomma?”.

La macchina, una Citroen C2, non era la sola ad essere parcheggiata in via Aspertini ma è stata l’unica a subire questi danni. Prima di sabato Stabellini non aveva ricevuto altri “danneggiamenti” alle cose di sua proprietà ma “Due anni fa sono stato minacciato – il riferimento è chiaro rispetto al suo impegno nella manutenzione delle case Erp – mi è stato intimato di non entrare più negli appartamenti”. 

Immediate le reazioni di colleghi municipali e capitolini che hanno espresso vicinanza e solidarietà: “Piena solidarietà al Consigliere M5S di #Roma Alessandro Stabellini per il vile atto intimidatorio”, ha scritto Fabio Tranchina sul suo profilo Facebook, ex consigliere alle Torri e oggi consigliere in Campidoglio. Sempre da palazzo Senatorio è arrivata anche la solidarietà di Marcello De Vito: “Esprimo tutta la solidarietà al nostro consigliere municipale Alessandro Stabellini, per il vile atto intimidatorio subito. Ti siamo vicini Alessandro!” 

fonte: http://torri.romatoday.it/tor-bella-monaca/auto-danneggiata-consigliere-stabellini.html



"NOI SIAMO POLITICI, MICA DEI METALMECCANICI QUALUNQUE".LA FRASE VERGOGNOSA DEL DEPUTATO DI SEL.


di Ignazio Corrao

"NOI SIAMO POLITICI, MICA DEI METALMECCANICI QUALUNQUE!
Quando l'ho sentito non volevo crederci, invece guardate con i vostri occhi questo video, chi pronuncia queste parole e poi giudicate da soli...
Questo concetto alla "Marchese Del Grillo" (...io sò io e voi non siete un cazzo...) è stato affermato da un parlamentare della sinistra italiana. Si, proprio quella sinistra che ha sempre mentito alla gente, promettendo di difendere i lavoratori, tra cui anche i metalmeccanici.
L'estratto video risale alla scorsa settimana, quando in aula si è discussa la proposta del MoVimento 5 Stelle Camera di abbassare gli stipendi dei deputati, discussione di cui avrete visto gli straordinari interventi dei portavoce del M5S, che gli stipendi nel frattempo se li sono già tagliati, perché se vuoi essere credibili devi partire dagli esempi e dalle azioni e non dalle parole al vento tipiche dei politicanti...
Che proposta indecente portare a 5.000€ il compenso di un deputato, che populisti questi del m5s, non è vero?
Le giustificazioni che si sentono in questo video sono esilaranti, dai soldi da dare al partito al fatto di non essere lavoratori subordinati ma (udite udite) rappresentanti del popolo!
Ci hanno pure accusato, in una lingua non meglio precisata, di avere pure l'informazione a favore (!!!).
Insomma, la saga del ridicolo e dell'indecenza. Mentre sempre più italiani muoiono di fame le istituzioni sono piene zeppe di gente così (questi non sono nemmeno i peggiori)..."

“LA CENA NON LA PAGATE”: COSI’ UN RISTORATORE RINGRAZIA GLI EROICI VIGILE DEL FUOCO DI RITORNO DAI LUOGHI DELLA TRAGEDIA DI RIGOPIANO

Il suo modo di dire grazie ai pompieri sui luoghi delle tragedie: “La cena non la pagate”
La cena la offriamo noi a nome del popolo Italiano, il fatto è accaduto al ristorante La Campaza sulla Statale Adriatica tra Ravenna e Savi un episodio insolito, che ha attirato la curiosità dei clienti in sala che stavano cenando: un’intera colonna di vigili del fuoco, in divisa, si è presentata all’interno del ristorante per cenare. Una presenza che non è passata inosservata, in questo periodo in cui le divise verdastre dei vigili del fuoco spiccano sul bianco della neve nelle riprese della tv, in particolare in quel che resta dell’hotel Rigopiano, sepolto con il suo personale e i suoi clienti dalla valanga in Abruzzo.
Il Proprietario  “Ci siamo visti arrivare questa squadra di vigili del fuoco in divisa, ci è parso logico chiedere se stavano andando o tornando dai luoghi colpiti dal terremoto e dalle nevicate del Centro Italia – commenta Gilles Donzellini, uno dei titolari del ristorante – Ci hanno risposto che stavano tornando da Teramo (quindi dalle aree dell’Abruzzo colpite dalle intense nevicate, ndr). Prima di cenare ci hanno comunicato che la cena sarebbe stata rimborsata dal corpo dei vigili del fuoco, come succede sempre. Noi abbiamo preferito omaggiarli offrendogli la cena, per ringraziarli dell’immenso lavoro che svolgono e in segno di riconoscenza. Loro sono rimasti molto colpiti”.
FONTE:
ravenna today

CI AMMAZZERANNO CON NUOVE TASSE SULLA CASA! L’EUROPA ORDINA, PADOAN OBBEDISCE COME UN CAGNOLINO

L’Italia deve trovare, entro mercoledì prossimo, 3,4 miliardi di euro per non far scattare la temutissima procedura d’infrazione a Bruxelles. È il risultato di un paio di manovre, quelle targate Renzi, particolarmente generose in mance e mancette. Ora i nodi vengono al pettine: debito esploso, crescita quasi a zero. E un’unica soluzione possibile, suggerita dalla stessa Unione europea: tassare i consumi e la rendita.

Tradotto, come ricorda Il Giornale: si rischia l’aumento dell’Iva (già uno spauracchio per il 2018) e una rimodulazione delle asse sulla casa. L’imposta sul consumo, tra le ipotesi avanzate dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan in linea con l’Europa, è stata respinta con forza sia da Matteo Renzi sia dal ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. Anticipare l’aumento di qualche mese, sottolinea ancora Il Giornale, farebbe incassare poco quest’anno e avrebbe come risultato negativo quello di abbattere i consumi anche nel 2018. Occhio allora alle altre strade: l’aumento delle accise e di quella che lo stesso rapporto Ue chiama “l’imposta patrimoniale sulla prima casa”, Imu e Tasi eliminate da Renzi sull’abitazione principale. Una via percorribile sarebbe quella di reintrodurre la tassa sulla prima casa o, come minimo, rimodulare in modo progressivo quella sulle seconde.

Fonte: LIBERO

venerdì 27 gennaio 2017

"Mi ha chiamato la Procura per dirmi che ciò che usciva sui giornali,le indiscrezioni,non veniva da loro",

(ANSA) - ROMA, 27 Gen - "Stanno uscendo articoli di stampa totalmente falsi e menzogneri su una fantomatica trattativa che starei facendo in prima persona con la procura, nella fase delle indagini preliminari, per un patteggiamento della sindaca Raggi.
    Non ho ancora mai incontrato il pm Ielo". Lo ha detto l'avvocato Alessandro Mancori, che difende Virginia Raggi nell'indagine per abuso d'ufficio e falso nell'ambito dell'inchiesta sulle nomine.
    "Dalla Procura stessa mi hanno chiamato per dirmi che ciò che usciva sui giornali, le indiscrezioni, non veniva da loro", ha aggiunto Mancori. "In questa fase non parleremo della nostra strategia difensiva. Dopo che lunedì la sindaca sarà stata sentita dai magistrati potremo rispondere a delle domande", ha concluso l'avvocato.

Fonte: http://www.ansa.it/lazio/notizie/2017/01/27/avvocato-raggi-mai-parlato-con-i-pm_3dcb634c-487e-46f7-a7ae-5be5440fcf04.html

Rondolino tradito dal fuori onda:""Gli esodati, che due coglioni, voglio parlare sulla Raggi"

RONDOLINO TRADITO DAL FUORI ONDA
"Gli esodati, che due coglioni, sulla raggi volevo parlare"
IL GIORNALISTA PIDDINO preferisce parlare della Raggi che degli ESODATI. 
UNA VERGOGNA TOTALE!!! Questo è il motivo del 77 posto italiano per libertà di stampa. 

Vittorio Sgarbi zittito e fatto impazzire dall'esponente del M5:"Sei condannato per truffa allo stato"



Vittorio Sgarbi
Malato immaginario, truffatore vero
Vittorio Sgarbi, critico d’arte, anchorman televisivo, ex deputato di Forza Italia, già presidente della commissione Cultura, e attuale sindaco di Salemi, è un truffatore dello Stato. Per tre anni ha disertato il suo ufficio alla Soprintendenza di Venezia con scuse puerili, dalle malattie piú improbabili a una fantomatica “allergia al matrimonio”, per farsi gli affari suoi: scrivere libri, comparire in tv, frequentare salotti e varie mondanità. Cosí, dal 1996, è un pregiudicato per truffa aggravata e continuata e falso ai danni dello Stato, avendo riportato una condanna definitiva a 6 mesi e 10 giorni di reclusione e 700 mila lire di multa.

Il processo di primo grado s’è celebrato nella primavera-estate 1994 davanti al pretore Antonino Abrami di Venezia, mentre il deputato-imputato veniva felicemente promosso dal Polo presidente della commissione Cultura. Ecco le accuse contenute nel capo d’imputazione a carico di Sgarbi, processato in condominio col suo compaesano e medico di fiducia Andrea Zamboni:
1) Truffa: “previo accordo e in concorso tra loro, con piú azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con l’artificio e il raggiro consistente nel presentare lo Sgarbi, onde ottenere aspettative “per motivi di famiglia” – motivi peraltro non precisati nelle istanze –, certificazioni mediche redatte dallo Zamboni attestanti inesistenti malattie dello Sgarbi e che supportavano implicitamente la richiesta di aspettativa, cosí inducevano in errore i funzionari del ministero dei Beni culturali e ambientali di cui lo Sgarbi era dipendente presso la Soprintendenza per i Beni artistici e storici del Veneto, conseguendo in tal modo lo Sgarbi illecitamente il vantaggio della conservazione del posto di lavoro, con correlativo danno per lo Stato, costringendo l’Amministrazione a oneri altrimenti non sostenuti, in particolare al pagamento di oneri assistenziali per l’assicurazione contro le malattie a favore dello Sgarbi stesso, sempre con pari danno per lo Stato”.
2) Falso: “previo accordo e in concorso tra loro, lo Sgarbi agendo quale istigatore e lo Zamboni quale autore materiale, confezionavano certificati medici attestanti malattie inesistenti dello Sgarbi. al fine di perpetrare il reato sub a)”.
La vicenda è talmente grottesca che, se non si trattasse di Sgarbi, si stenterebbe a credere che sia davvero accaduta.
Nel 1977 un giovanotto appena laureato, Vittorio Sgarbi da Ro Ferrarese, classe 1952, viene nominato “ispettore in prova nel ruolo dello storico dell’arte nella carriera direttiva della Soprintendenza alle Belle arti, assegnato a prestare servizio presso la Soprintendenza per i Beni artistici e storici del Veneto”. La sua zona di competenza è la provincia di Vicenza. Il suo lavoro – spiega al processo la soprintendente Filippa Alberti Gaudioso – “consisteva in sopralluoghi nel territorio […], constatazione e verifica dello stato di conservazione delle opere d’arte […], segnalazione sempre per interventi di tutela e di restauro, proposte di notifica nel caso ritrovasse opere d’arte di eccezionale interesse storico-artistico di proprietà privata”. In piú faceva parte della Commissione tecnica scientifica dell’Ufficio esportazione di Verona.
“Sono malato, ho il cimurro”
“Accanto al lavoro sul territorio – ricorda il pretore – l’altra metà della settimana lavorativa si svolgeva in ufficio”. O meglio, avrebbe dovuto svolgersi in ufficio, visto che Sgarbi non vi mise quasi mai piede. Le sue “indubbie soggettive qualità non hanno purtroppo trovato un oggettivo, positivo riscontro nel rapporto di pubblico impiego, non essendosi venuto a instaurare un corretto rapporto tra il citato dipendente e la Pubblica amministrazione, cosí cioè come previsto dalla norma”. Sgarbi manifestava – come denuncia il viceprocuratore generale della Corte dei conti – “una forma di insofferenza alle regole dell’ufficio, agli ordini di servizio, all’orario, ecc.”. La Gaudioso conferma sconsolata: Sgarbi “non era puntuale, anzi era in ritardo continuato”; e quando lei lo censurava con i dovuti richiami scritti, Sgarbi rispondeva alla sua maniera: “giungeva persino a motivare con fare irridente i suoi ritardi, affermando di avere malattie come il cimurro – propria del cane, come è noto – o malattia similare”. La sentenza parla di “condotta certamente censurabile”, con ogni sorta di “violazioni delle norme di condotta: continui ritardi, presenza sporadica in ufficio di solo tre giorni in diversi anni, utilizzando uno dei quali per inoltrare altra domanda per assentarsi ancora; irridente richiamo a malattie proprie del cane per giustificare ritardi causati da inesistenti raffreddori”.
E questo è niente. Un giorno – racconta in aula la soprintendente – Sgarbi doveva stilare “una perizia sul restauro del teatro di Schio”. Ma evidentemente aveva altro da fare. Cosí “non si è occupato minimamente di stendere la perizia: ha lasciato che l’assistente utilizzasse una precedente perizia, travasandola praticamente in quello che doveva essere un nuovo documento storico-artistico e anche di spesa”. In pratica, Vittorio il truffatore ricicla un vecchio lavoro che non c’entra nulla con l’incarico ricevuto. Roba da licenziamento, o da trasferimento. Infatti quella – spiega la soprintendente – “fu un po’ la goccia che fece traboccare il vaso, per cui scrissi al Ministero perché lo Sgarbi fosse allontanato”. Ma il simpatico imbroglione ha qualche santo al ministero. Infatti, invece del licenziamento, il 21 gennaio 1985 ottiene un altro incarico di tutto comodo: “catalogare i beni presso l’Amministrazione provinciale di Rovigo, a seguito di sua domanda”. Il tutto – secondo il pm della Corte dei conti – grazie a “una certa accondiscendenza da parte del ministero”. Il governo ha risposto alla soprintendente di non poter trasferire Sgarbi per il fattaccio di Schio, perché “manca la documentazione allegata a detta richiesta”. Invece la documentazione c’era eccome. E questo – scrive il giudice – “costituisce una notitia criminis a carico del ministero, che impone a questo Giudicante la trasmissione degli atti alla Procura di Roma”. Trasmissione confermata in seguito dalla Corte d’appello.
Nel giugno ’87 scade il faticoso incarico a Rovigo, e per Sgarbi (nel frattempo promosso, per meriti acquisiti sul campo, “direttore storico dell’arte”) si tratta di tornare a lavorare alla Soprintendenza. Lavorare si fa per dire: una lunga serie di fantomatiche malattie e impedimenti lo terrà lontano dall’ufficio “praticamente senza soluzione di continuità dal giugno ’87 al gennaio ’90 […]. Fatta eccezione per i giorni 5-9-87, 23-6-88 e 24-6-88, lo Sgarbi è assente per malattia, per recupero festività e per aspettativa eccezionale”. In pratica, in tre anni mezzo, Sgarbi lavora tre giorni. Ma per sua fortuna le assenze truffaldine fino al 25 ottobre ’89 sono coperte dall’amnistia del 1990 (“beneficia della declaratoria di improcedibilità per amnistia per il reato di truffa aggravata e falso ai danni dello Stato”). È comunque istruttivo riportare integralmente la cronologia delle truffe sgarbian-ministeriali ricostruite, nella sentenza di primo grado:
13-10-88/12-10-89: un anno di aspettativa senza assegni per motivi di famiglia (provv. del ministero del 22-11-88);
9-9-89: domanda di aspettativa senza assegni per motivi familiari per 3 mesi (dal 13-10-89 al 12-1-90);
13-10-89: certificato medico per tre mesi;
13-1-90: certificato medico per 32 giorni;
30-1-90: telegramma della soprintendente con invito a chiedere congedo o aspettativa in relazione al certificato del 13-1-90;
30-1-90: visita fiscale (h. 17,30) in cui risulta assente;
1-2-90: domanda di congedo per 32 giorni (dal 13-1-90 al 15-2-90);
12-2-90: domanda reiterata di congedo per motivi di salute (rettificata dal 12-1-90 al 12-2-90);
13-2-90: visita fiscale (h. 18,10) in cui viene giudicato idoneo a riprendere il lavoro dal 14-2-90 (in contrasto con certificato dello stesso giorno);
13-2-90: certificato medico (dott. Zamboni) per 30 giorni;
14-2-90: domanda di congedo per motivi di salute (vedi certificato dott. Zamboni) per 30 giorni;
20-2-90: parere-decisione del Consiglio di amministrazione del Ministero dei Beni culturali per una proroga ulteriore di mesi 3 per motivi di salute (dal 13-10-89 al 13-1-90);
28-2-90: fono del ministero alla Soprintendenza per invitare Sgarbi a fare la domanda corretta;
3-3-90: esplicito invito della Soprintendenza a Sgarbi a chiedere con urgenza la proroga eccezionale aspettativa nella quale possono rientrare le sue assenze dal servizio dal 13-1-90 e dal 13-2-90 non computabili (secondo la nota ministeriale del 28-290) come congedi straordinari, essendo già stata concessa proroga eccezionale aspettativa di mesi 3 a partire dal 13-10-89;
7-3-90: la Soprintendenza fa rilevare al ministero la contraddizione tra il certificato medico del 13-2-90 e la visita fiscale dello stesso giorno;
5-3-90: domanda di proroga eccezionale aspettativa (riproduce esattamente quanto contenuto nell’invito del ministero del 3-3-90). Non indicato il termine di fruizione del beneficio (periodo richiesto: dal 13-1-90 e dal 13-2-90);
12-3-90: certificato medico per 30 giorni;
13-3-90: domanda di proroga eccezionale aspettativa per un mese (dal 13-3-90 al 13-4-90) con allegato il certificato precedente;
21-4-90: decreto del Direttore generale del ministero che concede l’aspettativa per motivi di famiglia dal 13-10-89 al 12-1-90;
6-5-90: certificato medico per 20 giorni;
11-5-90: domanda di congedo per 20 giorni dal 6-5-90, con allegato precedente certificato medico;
31-7-90: viene emesso un parere vincolante favorevole a un ulteriore periodo di proroga eccezionale dal 13-1-90 al 12-4-90 senza specificare per quali motivi, ma richiamando lo stato di salute e omettendo di considerare espressamente il periodo 13-1-90/5-3-90;
9-10-90: il Consiglio di amministrazione concede “in via del tutto eccezionale e definitiva” la proroga dell’aspettativa;
26-11-90: decreto del Direttore superiore della Soprintendenza che concede il congedo straordinario per motivi di salute dal 6-5-90 al 25-5-90;
23-1-91: decreto del Direttore generale del ministero che concede l’aspettativa per motivi di famiglia dal 13-1-90 al 12-4-90 (90 giorni).
Il malato immaginario
Sgarbi viene processato e condannato per il periodo non coperto dall’amnistia: poco meno di 6 mesi di assenze ingiustificate. Divisi in due fasi: dal 13 ottobre ’89 al 12 gennaio ’90 e dal 13 gennaio al 12 aprile ’90. La prima, per imperscrutabili “motivi di famiglia”, col supporto di certificato medico compiacente del dottor Zamboni. La seconda, senza neppure la domanda dei motivi di famiglia né il certificato medico (che verrà inviato in un secondo tempo). “Lo Sgarbi sino al 4-3-90 risulta aver tratto in inganno la Pubblica amministrazione, e partitamente la Soprintendenza, che erroneamente lo ha ritenuto legittimamente impedito a svolgere le sue funzioni lavorative a causa di malattie che piú volte sono state dallo stesso falsamente documentate. E ciò è accaduto finché non è intervenuto, sua sponte, il ministero che chiedeva alla Soprintendenza di invitare lo Sgarbi a modificare la domanda da richiesta di congedo in richiesta di aspettativa, con passaggio di competenza alla Soprintendenza al ministero […]. È ovvio che quando Sgarbi accoglie il “suggerimento” del ministero viene meno cosí dal 5-3-90 la idoneità all’inganno”: nel senso che il ministero decide ufficialmente di farsi turlupinare, e Sgarbi saggiamente ne approfitta per qualche altro mese.
È lui stesso a spiegare i retroscena della truffa, vantandosi di essere un raccomandato di ferro e tracciando un edificante quadretto dell’illegalità che regnava al ministero dei Beni culturali: “Il ministero non si è mai doluto per il mio lavoro; nessuno si è mai lamentato che non facessi il mio lavoro, pur assente […]. Quale fosse la mia attività durante il periodo di aspettativa, i ministri lo hanno oscuramente intuito […]. Avevo una intrinsichezza [sic] continua con i ministri Facchiano e Bono Parrino […]. Ero d’accordo col Direttore generale per far apparire come motivi di famiglia le successive aspettative, perché erano esauriti i tempi dell’aspettativa per motivi di salute […]. Le causali delle mie aspettative erano suggerite dalla mia segreteria […]. Devo ad Andreotti, che, a quel tempo, era ministro ad interim dei Beni culturali, se non sono stato licenziato, e alla fine lo stesso mi dà un mese di sospensione che sia in qualche modo conclusivo di tutta la vicenda”.
Scrive il giudice che “nettamente differenziata appare la condotta della Soprintendenza da un lato – positiva ed encomiabile – rispetto a quella del Ministero, nel cui comportamento anzi vi sono indizi di reità”. Una serie di atti “illegittimi”, che configurano veri e propri “falsi in atto pubblico”, ad opera del direttore generale del Ministero e forse di altri funzionari. A questo proposito, ancor piú dura sarà la sentenza della II sezione della Cassazione (presidente Francesco Simeone): “Non è dubbio che lo Sgarbi […] abbia goduto nell’ambito della Amministrazione di appartenenza di ampia simpatia e considerazione che si sono tradotte in comportamento al limite dell’abuso: consigli e suggerimenti volti a giustificare amministrativamente l’assenza dal servizio che, non provenendo dall’organo competente a manifestare nella specie la volontà dello Stato, hanno oggettivamente contribuito a perfezionare i mezzi fraudolenti idonei a trarre in errore la persona giuridica pubblica”. In pratica, i vertici del Ministero hanno aiutato Sgarbi a truffare lo Stato, visto che, essendo solo e alle prime armi, rischiava di farsi scoprire. Infatti “il 21 aprile ’90 il direttore generale del Ministero faceva figurare, contrariamente alla deliberazione del Consiglio di amministrazione, che l’aspettativa era stata concessa per motivi di famiglia”.
Per giustificare lo scandalo, Sgarbi inventa le scuse piú puerili. La prima è da asilo infantile: io volevo lavorare, ma gli altri non me lo permettevano. “Dal 1987 – dice – alla fine del distacco a Rovigo, ero impossibilitato a esercitare la mia funzione perché non c’erano finanziamenti. I finanziamento negli anni 1987-88-89 erano inesistenti, per cui io non potevo lavorare. Cominciai un pellegrinaggio presso la Soprintendenza e il Ministero, perché io volevo poter fare il mio lavoro anche contro la volontà dello Stato. Non c’era niente da fare a Venezia, nella sede della Soprintendenza, e allora ho continuato a lavorare restandomene a casa, presentando diversi certificati medici”. Frottole anche quelle: come testimonia la soprintendente, “i soldi il ministero li ha stanziati annualmente”, e di lavoro ce n’era a bizzeffe. Bastava avere voglia.
Sgarbi sostiene poi di essersi portato il lavoro a casa, restando – a suo dire – “dentro la mia funzione istituzionale”. Il risultato è un fondamentale volume dal titolo “P. Brandolese del Genio de’ Lendinaresi per la pittura”, edito da Minelliana nel 1990. Opera fortemente voluta, a suo dire, dalla Soprintendenza e dunque realizzata per dar lustro a quell’ente fino ad allora condannato all’anonimato. Balle, solennissime balle. Di quel best-seller la Soprintendenza non sapeva nulla, non se ne faceva nulla, non ne aveva mai sentito l’esigenza. E non l’aveva mai autorizzata. Infatti era stata “commissionata allo Sgarbi dal presidente del Premio Campiello, dott. Cibotto”. E per giunta Sgarbi l’aveva scritta scopiazzando “alcune schede di catalogo provenienti dalla Soprintendenza”. “La Soprintendenza – conferma la Gaudioso – non ha partecipato in alcun modo a questo lavoro. Lo Sgarbi ci ha solo chiesto nel 1986 di poter consultare le schede di Lendinara”. Poi firmò il libro come se fosse tutta farina del suo sacco, senz’alcun riferimento alla Soprintendenza. Il pretore concorda col pm: “era sostanzialmente un’opera redatta da un privato e senza la spendita del nome del Ministero, ma fatta in nome proprio e risultando cosí tutelato quello stesso nome [di Sgarbi] in base al diritto di autore”. Impossibile dunque “compensare il danno subíto dallo Stato” per il suo assenteismo con quel lavoro.
Una sindrome intermittente
In ogni caso, nonostante l’imprescindibile importanza dell’opera sul Brandolese, ci vuol altro per giustificare tre anni e mezzo di latitanza. A questo punto Sgarbi fa scattare il piano B: l’alibi della terribile malattia, della rarissima patologia a base di sinusite, vertigini, artrosi e un velo di cimurro che martoriava il gracile corpo del Genio. Un’affezione, per giunta, intermittente: fortissima proprio nell’orario di lavoro, praticamente inesistente prima e dopo. Quando si dice la combinazione. “Io – assicura Sgarbi al giudice – ho una grande energia solo in alcune ore del giorno. Se fossi rimasto in ufficio dalle ore 8 alle ore 14 avrei fornito una prestazione parziale. Il senso di quei certificati era quello di evidenziare la mia inabilità manuale”. D’altra parte, trattandosi di un Genio, non può certo essere giudicato “dal rispetto dell’orario”, come un comune mortale: “Io non dovevo effettuare una prestazione quantitativa, ma qualitativa”. E se i suoi superiori, vecchi e antiquati burocrati, non arrivavano a cogliere “la modernità di questo mio atteggiamento”, non è certo colpa sua. Anzi, “è mio compito intervenire duramente contro i miei capi gerarchici, anche contro la disciplina d’ufficio, in caso di errori culturali. Io non ho mai rispettato l’autorità che non fosse autorità morale e del Sapere”. Conclusione: “Non sono io che traggo prestigio dalla carica di ispettore dell’arte, ma è quella carica che trae prestigio da me Vittorio Sgarbi”.
La pochade delle malattie fasulle tiene banco al processo per diverse udienze. Sgarbi ammette che le ragioni di salute erano “suggerite dalla mia segreteria” per giustificare in qualche modo le assenze. Ma ci sono i certificati firmati dal suo medico, che lo dipinge come una specie di enciclopedia delle malattie. Qualche esempio. “Dichiaro che il prof. Vittorio Sgarbi, per la presenza di un quadro di sindrome neuroastenica in soggetto con diatesi allergica, necessita di mesi 3 (tre) di cure e riposo medico sotto stretto controllo medico” (13-10-89). “Certifico che il prof. Vittorio Sgarbi, per la presenza di un quadro di crisi vertiginose parossistiche in iniziale cervico-artrosi accompagnate da ipotensione posturale, necessita di giorni 32 di cure mediche e riposo” (13-1-90). “Certifico che il prof. Vittorio Sgarbi, per la presenza di un quadro di crisi vertiginose in cervico-artrosi, necessita di giorni 30 di cure mediche e riposo medico” (13-2-90). “Certifico che il dotto Sgarbi, per la comparsa di cervicalgia e crisi vertiginose, necessita di giorni 30 di cure mediche” (12-3-90). Per non parlare della “ipoacusia destra”. Malattie che, secondo il giudice, anche se fossero vere, “non avrebbero motivato un periodo di astensione dal lavoro di circa sei mesi”, essendo del tutto compatibili con “l’espletamento di quella attività intellettuale” che Sgarbi doveva svolgere. In ogni caso erano false anche quelle. Tant’è che non furono “mai accertate e mai curate”. E “dello “stretto controllo medico” non s’è rilevata traccia”.
Quel po’ po’ di quadro clinico si manifestava magicamente soltanto dalle 8 alle 14: orario d’ufficio. Senonché la “visita” del dottor Zamboni del 19 febbraio ’90 avviene alle 20 della sera, quando in teoria i sintomi dovrebbero essere scomparsi da un pezzo. E sfortuna vuole che alle 18,50 di quello stesso giorno Sgarbi abbia già ricevuto la visita del medico fiscale: il quale l’ha trovato sano come un pesce e “idoneo a tornare a lavorare”. Ma Sgarbi “inspiegabilmente” si dimentica di avvertire il suo dottore. E questi, pover’uomo, non si avvede della guarigione del paziente e si becca l’incriminazione. Alla fine il giudice, pietosamente, lo assolve: è vero – osserva – che un medico degno di questo nome non si limita a trascrivere quanto gli racconta il paziente (altrimenti il medico potrebbero farlo tutti, anche i non laureati); ma “la falsa attestazione dell’esistenza della malattia di volta in volta descritta nei vari certificati è da addebitare alla condotta ingannatrice di Sgarbi”. Il quale, semplicemente, recitava. E dettava. Insomma, turlupinava anche il suo amico medico. Il quale, in barba alle “regole deontologiche”, si limitava a registrare.
In aula, dopo aver fatto slittare il processo a dopo le elezioni del 27 marzo ’94 (prima si diceva “impedito” a presenziare alle udienze, per imprecisate “minacce subíte durante la campagna elettorale”), Sgarbi ripete daccapo la pantomima del malato immaginario: “Io raggiungo la pienezza delle forze fisiche nelle ore pomeridiane, nel cuore della notte”. Strano – osserva il giudice – visto che le udienze si tengono al mattino, e l’imputato manifesta “perfetta padronanza e lucidità anche in orario antimeridiano”. Anche il povero Zamboni, completamente soggiogato dalla personalità sgarbiana, fa la sua bella figura in aula, assicurando di essere “sicuro” delle sue diagnosi, e spiegando di non aver mai sottoposto il paziente a esami perché “chi troppo cerca e approfondisce si allontana molto spesso dalla diagnosi”. Lo stesso Sgarbi lo sputtana pubblicamente, fornendo versioni continuamente diverse che alla fine demoliscono il grottesco quanto generoso sacrificio del giovane medico.
Il pretore fa visitare l’imputato da un perito (che rileverà soltanto una lieve ipoacusia, del tutto “normale”, un po’ di rinite e un filo di artrosi cervicale). Davanti al quale Sgarbi ne inventa un’altra delle sue: “Io la mattina comincio a starnutire e non finisco piú”. “Lo Sgarbi – chiosa il giudice – forniva una nuova versione, non piú facendo riferimento a quanto detto nel certificato, e cioè alla asserita vertigine, ma riferendo di essersi dovuto assentare dal servizio a seguito di “un’allergia da matrimonio”. Ha raccontato l’imputato, al riguardo, un episodio: una scenata di gelosia operata da una ragazza nei confronti di un’altra mentre questa era in sua compagnia. La prima avrebbe tagliato una treccia alla seconda. “Colpito” dall’episodio – sempre a detta dello Sgarbi – egli, successivamente e conseguentemente, si sentí di chiedere alla ragazza “lesa” di unirsi in matrimonio con lui. Nell’attesa della risposta, lo Sgarbi ha riferito di aver fatto un bagno in mare e di aver cominciato a starnutire appena uscito dall’acqua. E cosí concludeva poi a tale riguardo: “Dovevo essermi preso un’allergia da matrimonio”…”.
Il racconto è talmente demenziale da mettere in imbarazzo i suoi stessi avvocati, che cercano di minimizzare il colpo di scena con una battuta di spirito. “La difesa sul punto – si legge nella sentenza – ha sorriso e minimizzato su tale versione, affermando che presumibilmente lo Sgarbi la mattina si era alzato ed era andato quindi dal medico, al quale avrebbe cosí riferito di starnutire o raccontato della allergia da matrimonio – interpretazione e versione dei fatti rispetto ai quali lo Sgarbi annuiva e assentiva. Alfine la difesa si chiede, in forma residuale e chiaramente ironica, se non si fosse trattato di una “allergia da libri”…”.
Costretto a occuparsi anche dei presunti starnuti del Genio, il giudice conclude che anche quella è una bufala sesquipedale: “I periti, in ordine al disturbo di rinorrea mattutina, hanno evidenziato che il periziato, durante l’accertamento iniziato alle ore 10,30, non aveva mai starnutito né si era soffiato il naso. Solo dopo aver descritto la sua sintomatologia lo Sgarbi aveva iniziato a fare uso di fazzoletti di carta. Comunque, se fosse stata vera detta malattia, lo Sgarbi ben avrebbe potuto operare nell’ambito di un lavoro che gli permetteva anche di uscire dal territorio, fuori dal “critico” orario 8,00-14,00 […], potendo organizzare e dividere l’attività stessa come riteneva piú opportuno”. Già. Ma non avrebbe potuto fare tante altre cose carine che invece, mentre soffriva di tutti i mali dell’universo, riuscirà stoicamente a portare a termine: “oltre alle sue ripetute note apparizioni televisive, lo Sgarbi pose in essere una rilevantissima produzione scientifica, storico-artistica, attraverso il costante lavoro che è poi documentato in numerose pubblicazioni, la cui produzione è rilevante anche nei periodi in cui lo stesso afferma di essere stato affetto da malattia. Lo stesso, nell’anno 1989, ha pubblicato con la Rizzoli il noto scritto d’arte “Davanti all’immagine” (XXXVIII Premio Bancarella), nonché “La stanza dipinta” edito dalla Novecento”.
La “continuata attività falsificatrice e la condotta truffaldina di Sgarbi”, secondo il giudice, hanno danneggiato la Pubblica amministrazione, nella fattispecie la Soprintendenza: infatti “la conoscenza dell’inesistenza di malattie tali da giustificare un’assenza cosí continuata del dipendente non avrebbe potuto che comportare la dichiarazione di decadenza dall’impiego”. Cioè il suo licenziamento in tronco: “provvedimento questo che, per legge, consegue a una assenza arbitraria superiore ai 15 giorni”. Figurarsi per Sgarbi, che non ha lavorato per tre anni e mezzo. “Quindi la Pubblica amministrazione non è stata posta in grado di esercitare i propri poteri di autotutela […]. E la illegittima conservazione del posto da parte di Sgarbi, con la sua attività truffaldina, ha impedito che la Pubblica amministrazione potesse disporre dello stesso”. Rimpiazzandolo con un altro funzionario che, a differenza di Sgarbi, lavorasse.
Voleva la poltrona, non il lavoro
Un solo soggetto, in questa tragicomica vicenda, ci ha guadagnato: Sgarbi. “Il suo profitto morale e materiale è consistito nell’aver illecitamente conservato il posto di lavoro, mantenendo la carica e la qualifica di storico dell’arte presso la Soprintendenza di Venezia”. Cosa che lui stesso voleva fortemente, avendo ammesso di tenere parecchio “a essere un funzionario statale, a non voler lavorare come privato”, e di avere tutto l’interesse a “mantenere il mio rapporto istituzionale, a conservare il simbolo della mia funzione pubblica”. Insomma, voleva la poltrona, ma non le regole. Il posto di lavoro, ma non il lavoro. All’italiana.
Il processo di primo grado si chiude il 22 giugno ’94 con l’imputato Sgarbi che chiede di rendere una dichiarazione pubblica di stima nei confronti del giudice. Gli esterna la propria “naturale ammirazione e stima” e sottolinea come “apparisse giustificata l’ampia trattazione processuale dedicata a una vicenda giuridicamente complessa come questa”. Insomma, tenta di arruffianarsi il pretore. Inutilmente, visto che porta a casa 6 mesi e 10 giorni di carcere.
E ancor piú dure, se possibile, sono le sentenze della Corte d’appello di Venezia (8 gennaio 1995) e della Cassazione (12 luglio ’96), che rendono definitiva la condanna e fanno di Sgarbi un pregiudicato. Per i giudici d’appello, il professore “si è posto in modo sprezzante al di sopra della legge, sconfessando tra l’altro ingenerosamente la puntigliosa e faticosa difesa del coimputato Zamboni”. E, mentre era “malato” per lo Stato, “lavorava ovviamente per il suo esclusivo interesse”, come dimostra “la sua frenetica attività televisiva”. E non solo quella. La Corte si diverte a ricostruire una settimana-tipo del malato immaginario (nel periodo coperto da amnistia): “Sabato 9 settembre 1988, nozze di Bianca di Savoia nei pressi di Lucca; domenica a Lucca e la sera a Vallombrosa; lunedí a Milano per l’inaugurazione di due mostre; martedí sempre a Milano, con sopralluogo a un laboratorio di restauro e visita a tre mostre, con rientro a Ro Ferrarese in serata; mercoledí raccolta di materiale fotografico sulla Certosa di Ferrara per un prossimo convegno; giovedí mattina riunione per l’allestimento di una mostra, la sera cena in onore dei Rettori delle università del mondo e, dopo cena, a Firenze per l’inaugurazione di un’altra mostra; venerdí mattina sempre a Firenze per una lettura della mostra e la sera a Mantova per uno spettacolo di balletti”. In quel periodo, naturalmente, Sgarbi non lavorava: dai certificati medici risultava ridotto allo stato larvale, essendo affetto contemporaneamente da “crisi recidivanti di broncospasmi con rinofaringite subacuta e modesta sinusite”. Un’autentica tragedia che richiedeva, a detta del medico, i soliti “30 giorni di terapia adeguata e riposo”. Soprattutto riposo.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/05/19/vittorio-sgarbi-e-la-condanna-per-truffa-da-la-repubblica-delle-banane/112128/