lunedì 16 gennaio 2017

Renato Zero attacca i politici e fa un appello agli italiani:"Basta stadio. Andate in piazza"




Il cantante romano parla di sé, della sua musica e di politica.
Domenico, poliziotto, Ada, infermiera. I genitori. Tre sorelle, come in Cechov. E sotto la cruna dell’ago, a ballare dietro a tutte le lenzuola stinte di una vita, Renato Fiacchini. Libero di cambiare colore, abitudini, pianeti. Non fuma più Renato Zero: “Ho smesso cinque anni fa, ma era solo un vezzo. Pensate che idiota, non ho mai aspirato in vita mia. Feci una coronografia e mi andò così di lusso che decisi di non sfidare ulteriormente il destino”. Impegnato a scattare Polaroid “col ventricolo sinistro”, mente e rincorre ancora i giorni, le ferite invisibili e i sogni di ieri. Lontano anni luce, come in quel disco del ’67. Produceva Gianni Boncompagni (che l’aveva battezzato “Zero” per irridere ai sottovalutatori). Venti copie vendute: “Forse meno: io venti mica ne ho viste in giro…”. Formello. Vento, studi di registrazione, vecchi amici a sciamare nell’ora di pausa delle prove del grande concerto, che andrà in scena 15 volte in un mese, dal 27 aprile, al Palalottomatica di Roma (“Se bastano, 15: abbiamo già venduto 90 mila biglietti”). Dal 1950 Renato fa a pezzi l’amore cesellando i migliori anni della nostra esistenza precaria. A 11 anni, la sua famiglia si trasferì dal centro alla periferia: “Da via Ripetta alla Montagnola. E furono danni seri. Dalla lira, in un secondo e mezzo, so’ passato all’euro. Stavo meglio co’ la lira però”. (Ride).
Il mondo 2016 le fa paura?
Non c’è da star tanto tranquilli. C’è molta agitazione. Russia, Usa, Siria, Africa. E questi signori della Corea del Nord sembrano un po’ nervosi.
Due dei brani più dirompenti dell’album sono dedicati alla politica: Nemici miei, cioè i politici, e Rivoluzione. Che rivoluzione vorrebbe?
Le più importanti della mia vita le ho fatte negli scantinati. Negli androni: entravo crisalide e uscivo farfalla.
Molto colorata.
Più colorita che colorata. Ma i colori, nella mia partitura, non spariscono mai. Neppure quando non sono felice.
Anche quando è triste?
Qualcuno sostiene che la tristezza sia grigia, ma io non credo. Se hai fantasia, puoi trasformarla in compagna di giochi, in ballerina, in fonte di ispirazione.
Sono tutti impegnati ad allontanare la malinconia come la peste, ma è un errore di prospettiva. Ci si dimentica cosa viene dopo.
E cosa viene dopo?
Dopo la tristezza c’è la felicità. Dopo la felicità invece in molti casi si apre il baratro.
E per la creatività? Meglio l’allegria?
Meglio la sofferenza. Se non hai un po’ di sofferenza non scrivi nulla di buono. Quando ero contento non sempre ho prodotto cose importanti.
La rivoluzione di ieri era negli androni. Quella di oggi?
Per fare una rivoluzione bastano pochi ingredienti. Una sveglia, una matita, anzi una penna così quel che scrivi non si cancella, un megafono. E poi l’androne di oggi: la piazza.
Oggi in piazza non va quasi più nessuno.
Finiremo per tornarci, io ci spero. Il pensiero libero si amplifica lentamente. Ci mette più tempo, ma poi si impone.
A Roma i candidati a sindaco si fatica a contarli.
Quanti milioni di persone vivono a Roma? Più di 4? In proporzione sono pure pochi.
Sarebbero? Lei non vota?
Se mi presentate uno di cui fidarmi, perbene e di ottima famiglia, magari lo voto pure.
Bertolaso spara: “Roma ha 4 mila topi per abitante”.
Se conta anche i miei sorcini, magari ci azzecca.
La politica di oggi?
Impunità, transumanza, trasformismo. Una cosa mestissima. Cambi continui di ruolo e di sceneggiatura. E meno male che il travestito ero io…
Nella nostra ultima intervista, lei disse che era meglio Renzi di Bersani perché quest’ultimo “ha sbagliato le creme” e pareva più vecchio della sua età. Ora è insoddisfatto anche sotto Renzi: che cos’hanno sbagliato, i “nuovi” politici?
Non le creme, ma solo perché ancora non le usano. Diciamo che non somigliano neanche lontanamente ai vecchi comunisti che venivano a casa mia, ma neanche ai liberali alla Malagodi e alla Bozzi, che sembravano nati con la vocazione della politica. Fanno i politici come qualunque altro mestiere, infatti passano da una carriera all’altra senza rendersi conto che, ogni volta che votano in Parlamento, possono rovinare la vita a 60 milioni di italiani. E senza troppo pensare a come migliorarla.
Attori, cantanti, registi, scrittori. Ieri tutti contro Berlusconi. Oggi tutti o quasi a favore di Renzi. È solo conformismo?
Chi fa il nostro lavoro non ha interesse a scontentare nessuno. Il ‘tengo famiglia’ è un problema serio.
Lei come ha ovviato?
Con una botta di matto. Praticamente mi gestisco da solo, mi produco e mi distribuisco i miei dischi da me. È un rischio calcolato comunque.
Perché?
Perché, per leccare certi potenti, ci vuole una lingua di due metri e mezzo. Molto porosa. E io non l’ho mai avuta.
Nel disco se la prende anche con i sindacati.
Oggi molti sindacalisti diventano onorevoli e per me è una cosa inconcepibile. Io i veri onorevoli li vedevo in casa mia. Mio zio è Mario Tronti, un comunista vero, cioè critico. Andò in Russia sebbene zia Antonia – che aveva un banco ai mercati generali e sotto al banco teneva pure le sue sacrosante preoccupazioni – avesse provato a fermarlo: ‘Se ti prendono, con quel che scrivi, finisci dritto in Siberia’. Zio Mario tornò sano e salvo. Con le medaglie e gli allori. Ma sempre critico, mai allineato. Il marchio di famiglia.
Questo per dire?
Anche l’attore più consumato prima o poi compie un errore che lo smaschera: solo se non reciti, non fingi e sei vero, hai qualche possibilità di restare dalla parte buona della storia e di riuscire nel miracolo di scrivere la tua in autonomia.

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