Milena Gabanelli: “Rai, ecco la lista degli sprechi. Basta lottizzazione, o non ci avvicineremo mai alla Bbc”
“Per tornare efficiente e competitiva, la Rai andrebbe ‘snellita’, ma modifiche radicali saranno possibili solo se si interviene sulla riforma del 1975, meglio nota come lottizzazione”. Lo scrive in un lungo editoriale sul Corriere della Sera Milena Gabanelli, in cui fa la lista degli sprechi del servizio pubblico. Troppi telegiornali, reti e strutture inventate solo per accontentare politici, assessori e governatori di turno. Troppi incarichi dirigenziali e una proliferazione incredibile di sedi e strutture regionali. Nulla di più lontano dalla Bbc, “il miglior servizio pubblico al mondo” di cui tanto si parla ma che mai sarà avvicinato se non si mettono “competenza” e “merito” come criteri essenziali per la nomina della governance.
In seguito alla lottizzazione, scrive la giornalista, “ogni partito si è preso un canale, e poi ci ha infilato i suoi uomini scegliendo come unico criterio la ‘fedeltà’, non all’azienda ma al partito. Risultato: proliferazione di strutture e incarichi dirigenziali che negli anni si sono stratificati”. Per questo la Rai è imparagonabile a ogni altro servizio pubblico del mondo:
“Non esiste nessuna tv pubblica al mondo dentro la quale convivono 3 telegiornali che hanno come referenti 3 diverse aree politiche; ognuno ha una sua struttura autonoma, i suoi direttori, i suoi inviati, il suo apparato tecnico, i suoi studi, il suo budget. Poi c’è Rai news 24, che non si può dire sia seguitissima, e le 26 sedi per l’informazione regionale. Bisogna ‘ottimizzare’ si dice, ma da dove cominci se non metti mano al contratto di servizio con lo Stato? Le sedi regionali sono nate in funzione dei rapporti con le istituzioni locali. Un modello in crisi poiché le Regioni non rappresentano più il territorio, quindi bisognerà cambiare completamente la prospettiva in funzione delle macroaree. Si prende spesso a modello il miglior servizio pubblico al mondo, ovvero la Bbc, dove però i canali generalisti nazionali sono sostenuti solo dal canone: 174 euro, contro i nostri 113. Se tuttavia il modello a cui ispirarsi è Bbc, confrontiamoci. Le stazioni televisive locali inglesi sono 15, che interagiscono con quelle radiofoniche. I dipendenti sono circa 1.500 contro i nostri quasi 2.000. Le sedi occupano mediamente 2 piani (con una postazione fissa per il giornalista che si connette), la maggior parte sono in affitto. Noi occupiamo edifici giganteschi, quasi tutti di proprietà, con insostenibile spreco di spazi e costi. La loro sede più piccola è quella delle Channel Island: 2 dipendenti; da noi a Campobasso sono in 70. Nella sede di Cosenza lavorano 95 persone, ma il palazzo sembra quello di Viale Mazzini. Tutti i servizi finiscono dentro a Bbc One (la nostra Rai 1), con 4 brevi collegamenti al giorno. Inutile ribadire che la produzione locale del nostro servizio pubblico è perlopiù asservita ad assessori e governatori, che in caso di smantellamento di qualche sede si incateneranno pur di non vedere sottratta una telecamera a loro uso e consumo”.
Gabanelli fa poi tre esempi di strutture create e poi mantenute solo per non turbare la sensibilità di nessun ‘potente’: Rai Vaticano, Rai Expo e Rai Quirinale.
“Emblematica la genesi di Rai Vaticano. Nel ‘97 una decina di dipendenti occupavano due stanze per preparare gli eventi di Giubileo 2000. Senza budget, il team si relazionava con la Santa Sede per agevolare le reti nella produzione di programmi da trasmettere e vendere in tutto il mondo, e doveva essere operativo per 2 anni. Il Giubileo è finito da tempo, ma la piccola squadra si è trasformata in una struttura con i suoi funzionari e dirigenti per continuare a fare le stesse cose. Rai Expo è l’ultima creatura: una dirigenza, 45 dipendenti, una sede a Milano e una a Roma. Ma per raccontare il grande evento dell’alimentazione mondiale non bastano le sedi regionali e i programmi delle reti? A Expo finita (ottobre 2015) siamo sicuri che quella struttura non diventerà permanente? Anche Rai Quirinale, da postazione informativa è diventata nel tempo un elefantino, con un direttore e 35 dipendenti. Per fare cosa? Trasmettere il messaggio del presidente della Repubblica di fine anno e la cerimonia del 2 giugno”.
Secondo Gabanelli, per rinascere è inevitabile “eliminare sedi e strutture che non hanno nessun senso, ma non mandando a casa qualche migliaio di persone che hanno famiglia! L’azienda avrebbe bisogno di tutto il suo personale se venisse organizzata in modo produttivo; è pur sempre la più grande industria culturale del Paese! Ricordiamo inoltre che non ha ammortizzatori sociali, e sarebbe paradossale creare disoccupati per dare 80 euro in più a chi uno stipendio (anche se magro) ce l’ha. Certo occorrerà poi liberarsi dai burocrati e intervenire sui contratti collettivi di lavoro”. Un cambiamento di questa portata – sostiene ancora la giornalista – non può essere realizzato da un direttore generale da solo, ma ha bisogno dell’aiuto del governo. Come? Appunto dando la priorità a “merito” e “competenza” come unici criteri per la scelta dei vertici. Come fa la Bbc, dove “quando un dirigente sbaglia, va a casa senza tante storie”.
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