Se fossimo a scuola sarebbe la giornata in cui si giustificano tutti, della serie “maestra non è colpa mia ma il compito a casa me l’ha mangiato il cane”. Il Parlamento davanti alla proposta di legge dei 5 stelle per ridurre le indennità degli eletti a 5mila euro lordi (e non netti) al mese ha risposto con arrampicate sugli specchi degne di una quinta elementare il giorno della verifica a sorpresa. “Farsa”, “demagogia”, “populismo”. E poi ancora: “Usate gli scranni per fare il vostro show”. Fra tutti ha spiccato la renzianissima Alessia Morani: “Volete ridurvi lo stipendio? Tagliatevelo voi da domani”. I colleghi devono averla considerata una bella scusa e uno dopo l’altro hanno cominciato a mettere sotto i riflettori le controverse note spese dei grillini. Una sorta di boomerang considerato che gli eletti M5s restituiscono metà dello stipendio da quando sono entrati in Parlamento e la diaria non rendicontata (pubblicando online i rimborsi spese che ricevono nel dettaglio). Renato Brunetta l’ha pensata meglio di tutti: rilanciare una proposta perché l’indennità sia calcolata sulla base del reddito pregresso, ovvero pagare di più chi è già ricco e meno chi è povero. E chi è disoccupato? “In quel caso si farà ricorso al reddito di cittadinanza“, che per la cronaca in Italia non esiste tanto che i 5 stelle hanno depositato una legge perché venga introdotto per legge. Oltre alla beffa l’autogol. Sulla scia di Brunetta si è messo con orgoglio il viceministro dell’Economia Enrico Zanetti che ha detto no ai “tagli lineari” e proposto uno stipendio pari a quello che il parlamentare ha dichiarato in media negli ultimi 3 anni prima di essere eletto.
In un’Aula semivuota, con i banchi del centrodestra deserti (tranne per il fittiano Palese che si è presentato con t-shirt con scritta sulla maglietta le sue presenze, ovvero il 99 per cento), gli onorevoli hanno fatto le barricate in difesa del loro stipendio. I motivi dopo quattro ore di discussione restano ancora oscuri. Le argomentazioni accampate dal microfono per opporsi alle legge infatti non sono entrate nel merito. Così nei vari interventi ognuno ha dato spazio alla fantasia. C’è stato ad esempio il deputato dem Alan Ferrariche ha elencato i risparmi che il governo ha ottenuto con la riforma della Pubblica amministrazione e di conseguenza i taglia alle partecipate e la semplificazione della vita dei cittadini con meno burocrazia. “Non è questo il modo per ridare dignità alla politica”. Mistero su quale sia la correlazione con il suo stipendio da parlamentare e sul perché non lo possa dimezzare. Per il collega Marco Miccoli quella dei grillini è tutta strategia per nascondere i cattivi risultati: “E’ un tema che aiuta molto a nascondere l’assenza totale di risultati ottenuti dal M5s. Il dibattito di oggi si trasforma, per motivi elettorali, nella sagra della demagogia e del populismo più inconcludente”. Anche qui non pervenute le ragioni sul perché non può rinunciare a metà dello stipendio. Per la deputata Giuditta Pini vale la pena (addirittura) ritirare fuori tristemente celebri frasi: “Una volta in quest’aula si disse che si poteva trasformare la camera in un bivacco di manipoli”, come appunto disse Mussolini, “ora la si vuole trasformare in una platea per uno show, ma noi non lo consentiremo”. La vicepresidente della Camera Morani ha firmato l’intervento più scivoloso della serie azzardando un “ma allora voi”: “Cari deputati M5s, volete tagliarvi lo stipendio? Fatelo da domani, a prescindere da questo voto, passando dai 10mila euro che intascate oggi al mese al tetto dei 2.500 che predicava francescanamente il vostro leader Grillo ai tempi dello Tsunami tour”. I 5 stelle però, come non fanno altro che ripetere da mesi (molto spesso anche per nascondere grane interne) restituiscono eccome e con quei soldi hanno creato un fondo per la piccola e media impresa. La Morani ha chiuso lanciando lo slogan per il referendum: “Ci farà risparmiare 500 milioni l’anno”. In sua difesa anche la deputata Stella Bianchi: “Questa proposta ha un solo effetto: il taglio di credibilità della politica. Noi lavoriamo per restituire fiducia ai cittadini, per migliorare le istituzioni e il loro funzionamento, i 5 Stelle per screditare gli eletti. E’ un gioco molto pericoloso”.
L’imbarazzo per i parlamentari si è fatto ancora più forte dopo che sul tema è intervenuto a sorpresa anche il presidente della Cei Angelo Bagnasco: “La riduzione degli stipendi sarebbe di sicuro un segno positivo”, ha detto, “anche se non conosco bene i termini della questione, ma come principio generale sicuramente sarebbe un buon segnale. Poi il riavvicinamento degli italiani alla politica, l’ innamoramento, richiede anche altro”. Chissà se anche questa volta grideranno all’ingerenza della Chiesa. Intanto il voto in Aula è previsto per il 25 ottobre, ma il colpo di mano è già pronto: dalle fila della maggioranza si prospetta il voto per far tornare il teso in commissione ed evitare la figuraccia prima del referendum e in piena campagna elettorale. Resta tutto da vedere. Chi gongola per il momento sono i grillini che dopo settimane di crisi interne e passi falsi, hanno imbroccato una strada che per il momento li mette in buona luce. E quindi battono il chiodo finché caldo cercando di ottenere il più possibile, elettoralmente parlando. Tanto per capirci lo stesso Beppe Grillo è sceso a Roma e sarà presente in Parlamento al momento del voto (se si farà) o del rinvio (sempre più probabile). Nelle scorse ore ha invitato gli attivisti a venire in Aula e sul blog ha lanciato un appello ai democratici: “Renzi poteva dire ai suoi di votare questa legge ma non lo ha fatto perché pensa che sarebbe una vittoria del M5s. Un ragionamento egoista. Domani può essere il Pace e bene Day, un V Day all’incontrario. Siate generosi. I cittadini vi guardano: non deludeteci”. In mattinata era stato Luigi Di Maio a rivolgersi direttamente al presidente del Consiglio: “Renzi ci dica chiaramente se il Pd voterà oppure no il nostro disegno di legge. Se vogliono fare proposte ben venga, se invece vogliono rimandare il testo in commissione significa affossare tutto e tenersi il malloppo”.
La proposta di legge e il rischio che torni in commissione – Il ddl a prima firma Roberta Lombardi è arrivato in Aula senza relatore, così come stabilito dall’ufficio di presidenza giovedì scorso. L’assemblea, dopo la discussione generale di oggi, è stata aggiornata al 25 ottobre alle 15 con la proposta fissata al terzo punto dell’ordine del giorno. L’ipotesi più probabile è che già il 25 sera la maggioranza chieda una votazione per rimandare il testo in commissione ed evitare così la resa dei conti prima del referendum. I deputati grillini in commissione Affari costituzionali hanno insistito che se fosse approvato il loro testo, si risparmierebbero “circa 87 milioni di euro“. Una cifra, hanno detto, che “supera di 30 milioni di euro il risparmio stimato della riforma Boschi“.
FONTE
IL FATTO QUOTIDIANO
E quando mollano l'osso queste iene.
RispondiElimina